Nicola Tasso: montando un sogno

Una generosa testimonianza sull’ingresso nel mondo dell’audiovisivo. Il montatore Nicola Tasso si racconta ripercorrendo le tappe che fra televisione e cinema lo hanno portato a lavorare al film Il Paese del melodramma, presentato in anteprima mondiale alla ventiseiesima edizione del Parma Film Festival

Nicola Tasso, che si definisce prima ancora che un professionista un grande spettatore di cinema, riconduce lo stupore nel provare forti emozioni davanti a prodotti di finzione a una scioccante scoperta in tenera età: l’attore della serie televisiva di Hulk, Lou Ferrigno, non si trasformava veramente ma si dipingeva con vernice verde!

Prima del liceo ammette che per lui il cinema si fermava a I Goonies e Le Tartarughe Ninja, poi negli anni, anche grazie all’influenza della sua professoressa di italiano, ha iniziato ad informarsi da autodidatta. “La svolta è arrivata con Toro scatenato e l’approfondimento di un certo Kubrick di cui, a quanto pare, bisognava vedere assolutamente tutto”.

Ricollegandosi a un tema che sembra stia andando sempre di più a scemare, Tasso pone l’accento sull’importanza del valorizzare la dinamica del fare gruppo e di creare rapporti di condivisone di idee. L’intervistato riconduce questa sua tendenza ai primi anni di aspirante cineasta, quando “io e un paio di amici coraggiosi, che qualcosina di recitazione avevamo già fatto, abbiamo proposto alla scuola di fare un cortometraggio. Il risultato finale era decisamente problematico, ma è stato molto divertente e puro”.

Ripercorrendo la carriera di questo giovane montatore, la prima cosa che colpisce è il debutto televisivo appena ventenne. Il passaggio che lo ha portato in breve tempo da essere uno studente a un montatore SKY risale al periodo universitario, quando per pagarsi gli studi ha trovato lavoro in una piccola televisione locale di Pontremoli

Necessitavano di un montatore, cosa che lui non aveva mai fatto né aveva mai contemplato come potenziale lavoro, ma a cui si è dedicato immediatamente, consapevole del fatto di poter apprendere sul campo competenze difficilmente apprendibili da altre parti.

Convinto fin dai tempi del liceo che la narrazione cinematografica fosse la sua vera vocazione, afferma “la mia aspirazione è sempre stata fare film e nonostante il pregiudizio verso la televisione tuttora esista, io mi ispiro a miti come Lynch, Fellini, Scorsese, Spielberg, tutti capaci di destreggiarsi, senza compromettere la loro artisticità, fra spot televisivi e cinema autoriale”.

A 25 anni, l’esperienza fra i set di Parma lo porta a conoscere Gigi Dall’Aglio che in quel periodo tentava di realizzare alcune sue sceneggiature. Proprio con il regista teatrale parte in Africa per la pre-produzione di Walking Shadows, una storia meta cinematografica che ruotava intorno a un adattamento di Macbeth con attori locali.

Il film attira l’attenzione di una delle maggiori compagnie cinematografiche italiane che però successivamente abbandona il progetto bollandolo come poco interessante. “Ci dissero «Negri e teatro? Non ci interessano». Dopo questa esperienza ho capito quanto siano incerte le opportunità nel cinema…magari un giorno hai un attore internazionale interessato al progetto e il giorno dopo saltano i finanziamenti”.

Volendo applicare termini cinematografici al mondo reale, si può dire che di fatto la nostra vita è un unico piano sequenza, il montaggio appare come un qualcosa di estremamente artificiale e lontano dalla realtà

L’intervistato, partendo dal presupposto che “la grande bugia del cinema è che vuole restituire il reale con modalità che di reale non hanno nulla”, afferma che il montaggio è una semplice dichiarazione di artificio. Ritiene che l’immagine cinematografica stessa sia la volontà di incorniciare un qualcosa di fittizio, “un centimetro sopra il contorno del frame ci sono tutti gli strumenti e le persone che rendono possibile tale artificiosità”. 

Tasso ritiene che fin dal cinema delle origini il montaggio sia stato accolto, accettato e riconosciuto con disinvoltura perché “alla fine nei sogni, dove il concetto di tempo non coincide con la realtà, sperimentiamo un qualcosa di molto simile”.

Nella sua carriera ha avuto modo di approcciarsi a numerosi generi e prodotti legati al mondo televisivo e cinematografico. Alla domanda se esiste un film che nelle sue fantasie desidera rimontare per donare una nuova vita alla storia, Tasso ammette che “presuntuosamente” un film che gli pacerebbe rimontare è Le crociate di Ridley Scott, “visivamente pazzesco ma con il difetto di avere in mano tanti personaggi e concentrasi troppo sul protagonista che è di fatto quello meno interessante”.

La storia di un grande sodalizio con il regista Francesco Barilli

Fra le numerose collaborazioni, un nome in particolare spicca più di altri: il regista Francesco Barilli

Insieme hanno collaborato a numerosi film e ciò che appare evidente è che oltre al rapporto lavorativo vi sia anche una profonda amicizia.

Tasso, mostrandosi entusiasta, spiega che ha conosciuto Barilli nel 2009 grazie a Michele Guerra.

Con lui ha per la prima volta sperimentato con stupore l’enorme differenza dei ritmi lavorativi rispetto alla precedente esperienza televisiva. “Abbiamo costruito un solido rapporto passando ore a chiacchierare, mangiare e lavorare solo quando c’era una reale ispirazione”.

Approfondendo il rapporto con Barilli, ne elogia l’intelligenza e l’umiltà nel rendersi disponibile a considerare intuizioni altrui all’apparenza molto distanti dalle sue indicazioni originarie. “La frase che gli sentirai dire più spesso è «va bene proviamo a farlo così».

In occasione del Parma Film Festival, è stato proiettato in anteprima mondiale Il Paese del melodramma. Ancora una volta Tasso si è occupato del montaggio di un film di Barilli, ricoprendo però anche l’inedito ruolo di co-sceneggiatore.

La sceneggiatura del film racconta essere stata scritta in due mesi partendo da “uno dei tanti deliranti sogni di Francesco che ha l’abitudine di raccontare ad orari improponibili”.

In periodo Covid si sono ritrovati in casa seduti a un lungo tavolo, con mascherine, a tentare di dare forma alle loro numerose intuizioni. “Il mio lavoro è stato quindi derivativo dall’esperienza di montaggio, mettevo in fila e davo coerenza agli infiniti spunti che ricevevo da lui”.

Parlando del duplice ruolo sceneggiatore – montatore, Tasso ammette di percepire il passaggio mancante della regia. “Io arrivo in sala di montaggio e cerco di ottenere, sbagliando, quello che avevo in testa quando scrivevo, ma mi accorgo subito che manca tutto quel processo di direzione artistica che è in mano al regista…di fatto è proprio in quella fase che il film inizia a pendere una determinata strada su cui poi non si ha troppo margine di intervento”.

Tasso ritiene che la sceneggiatura sia sicuramente un elemento di primaria importanza, ma il film in corso d’opera cambia innumerevoli volte a causa di molteplici variabili, il suo compito è quello di seguire questo flusso di mutazione senza contrastarlo.

Tasso ricorda l’iniziale choc nel momento in cui il film è approdato al cinema: “l’idea di non poter più lavorare, sistemare o intervenire sul prodotto finale mi ha fatto capire quanto un’opera una volta uscita non sia più tua ma diventa di tutti quelli che la vedono”.

Guardando il film sorge spontaneo riconoscere fin dall’inizio intuizioni e dinamiche simili a quelle de Il settimo sigillo. Il capolavoro di Bergman riecheggia ancora a distanza di decenni e quando si trattano temi come quello del film è inevitabile un confronto. 

Tasso, rispondendo prontamente, anticipa eventuali paragoni dicendo “sapevamo benissimo che quando al cinema vai a tirare fuori la morte vestita di nero c’è Bergman fra i piedi. Quel film è un picco talmente alto e inarrivabile che al massimo puoi omaggiarlo”.

Ciò nonostante afferma che Barilli in fase di scrittura tendeva ad allontanarsi da tutte quelle idee che potevano ricordare la poetica del regista svedese, proprio per non sfociare in una copia snaturata del suo film. 

Di primaria influenza è stato invece Giorni perduti di Billy Wilder, da cui riprende il tema dell’alcolismo e la gag della sigaretta al contrario. 

Tasso afferma che Billy Wilder è il principale punto di riferimento del regista con il quale, a suo parere, condivide anche numerose sfaccettature caratteriali. “È risaputo che Wilder fosse una persona pungente e scherzosa e, come lui, anche Francesco è un tipo molto schietto, ma se può dirti le cose sotto forma di battuta preferisce…almeno ci si ride su”.

Avvicinandoci alla fine della nostra chiacchierata e parlando di aspirazioni o progetti personali, Tasso ammette che un giorno gli piacerebbe dirigere lui stesso diverse sceneggiature ancora chiuse nel cassetto. Continua dicendo “la mia ambizione è fare dei film che io stesso vorrei guardare”. 

Nonostante egli confessi di non essere mai stato interessato ad attività agonistiche, lavorando in televisione spiega di aver capito che narrativamente lo sport può dare tanto. “Queste storie hanno la capacità di coniugare intrattenimento con il valore allegorico… sia che tu vinca o che tu perda impari qualcosa. Non a caso il film sportivo più famoso al mondo è Rocky, dove alla fine il protagonista perde l’incontro”.

Per quanto banale appaia, l’intervista si conclude con un sincero e incoraggiante consiglio per tutti i giovani lettori che come lui da ragazzo, sognano di entrare in questo magico ma difficile mondo. 

“In questo mestiere bisogna sempre tenersi aperte molte strade, io negli anni ho fatto di tutto: fonico, operatore di macchina, assistente, montatore e ora pure sceneggiatore”.

Ricorda che agli inizi, quando si è reso conto che questa passione stava diventando più grande di lui, la notte andava a letto pregando che il materiale andasse perso o rovinato in modo tale da potersi auto giustificare e dire che non era colpa sua. 

Conclude affermando con assoluta lucidità che nel corso della vita c’è sempre un punto in cui si è troppo coinvolti per tornare indietro ma troppo spaventati per continuare. “Quello che ho fatto io è stato rimboccarmi le maniche e dopo innumerevoli tentativi ho superato questo senso di impotenza e non ho più smesso di fare cinema”. 

di Luca Casadei

crediti foto iniziale: Fabrizio Piscopo

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