Malattie rare: quando pochi diventano tanti

Sono rare ma sono tante. In Europa colpiscono quasi trenta milioni di persone, e sono una sfida per la medicina e per la ricerca

Il 29 febbraio è la Giornata Nazionale delle Malattie Rare. Non c’è una vera e propria definizione di malattia rara condivisa a livello mondiale. In Europa è considerata rara una malattia che si manifesta in meno di un caso ogni duemila persone. Con questo parametro sono state identificate tra le sei e le ottomila malattie rare, e questo porta a una sorta di paradosso: se è infatti vero che ognuna di queste malattie è rara (la maggior parte interessa infatti meno di una persona su un milione), ve ne sono così tante da far sì che il numero complessivo di persone affette da una di queste malattie sia in realtà di tutto rispetto. L’associazione Eurodis (che raccoglie associazioni di pazienti di malattie rare in tutta Europa), stima che le persone affette da malattie rare in Europa superino i trenta milioni, ovvero circa il quattro percento della popolazione.

Questo significa che, prendendo per buona la stima dell’antropologo Robin Dunbar secondo la quale in media ognuno di noi ha centocinquanta conoscenze significative, ognuno di noi conosce più o meno personalmente sei persone affette da una qualche malattia rara. Tuttavia, ognuna di queste malattie è e rimane un evento raro – quando non rarissimo – e ognuna di esse fa storia clinica a sé. In alcuni casi, anche le differenze con cui si manifesta tra un paziente e un altro sono tali da far sì che quasi ogni persona sia un caso a sé. Questo rende tutto tremendamente complicato.

Ottenere una diagnosi tempestiva

La prima difficoltà che incontra chi ha a che fare con una malattia rara è la diagnosi stessa. Capire tempestivamente di che cosa si soffre, e come affrontare al meglio la malattia, può fare una grande differenza per la qualità della vita, anche nei casi in cui non esistano vere e proprie cure. Alcune malattie rare possono dare sin dall’inizio sintomi abbastanza particolari da insospettire il proprio medico e indirizzarlo verso una diagnosi tempestiva. Molte altre invece cominciano con sintomi troppo vaghi che, uniti alla rarità stessa della malattia, rendono estremamente difficile per i medici identificarla immediatamente. I sintomi possono anche essere diversi da persona a persona, per una stessa malattia, e questo rende ancora più difficile anche solo sospettare l’esistenza di una malattia vera e propria al di sotto di disturbi che possono rimanere per lungo tempo vaghi e sporadici.

Essere seguiti vicino a casa è quasi impossibile

Il gran numero di malattie rare, la loro eterogeneicità e la loro rarità, rendono di fatto impossibile dotare ogni singola struttura sanitaria di tutto il necessario per affrontare ogni singola mattia rara secondo lo stato dell’arte, a cominciare dalle competenze scientifiche e tecniche del personale. Le strutture sarebbero per la stragrande maggioranza dei casi sottoutilizzate o del tutto inutilizzate, e la mole di competenze tecniche richieste al personale sanitario sarebbe semplicemente al di là della capacità di apprendimento umana.

Diverse strutture sanitarie, quindi, si occupano ognuna di un numero ristretto di malattie rare. Per individuare quali strutture si occupino di una data malattia, esiste un portale nazionale gestito dal Ministero della Salute e dall’Istituto Superiore di Sanità.

Dal punto di vista del paziente, però, questa situazione non è ideale: la probabilità che una struttura sanitaria che si occupa della malattia di cui soffre si trovi vicino a casa finisce con l’essere molto bassa. Trasferte lunghe e frequenti possono essere un peso psicologico e finanziario importante. Peso che si aggiunge a quello della malattia ed è aggravato dalla stessa, in un circolo vizioso che finisce con il degradare sensibilmente la qualità della vita.

A Parma l’Ospedale Maggiore, in quanto ospedale universitario, può contare su un’ampia rosa di competenze, che gli permettono di gestire un gran numero di malattie rare. Ma non tutti i capoluoghi di provincia sono anche città universitarie, e spostarsi con una certa regolarità anche solo nella provincia vicina in alcuni casi può già essere impegnativo.

Terapie quasi sempre palliative

La rarità di ogni singola malattia rende difficile la ricerca scientifica per due ragioni. Anzitutto il numero ridotto di potenziali pazienti esclude di fatto il settore privato, che non può occuparsi efficacemente di qualcosa per cui non è ipotizzabile neppure la copertura dei costi di ricerca e sviluppo. Il settore pubblico è invece cronicamente sottofinanziato, e molto raramente può sostenere i costi di ricerche che vanno al di là della pur indispensabile ricerca di base. Per la ricerca sulle malattie rare sono le fondazioni, come Telethon, e le stesse associazioni di pazienti a fornire una parte consistente dei finanziamenti per la ricerca. Le associazioni di pazienzi, inoltre, contribuiscono in modo essenziale all’assistenza ai pazienti e ai loro familiari.

La rarità dei casi comporta anche un ostacolo diretto alla ricerca. Ad esempio, nel caso della progeria (la cosiddetta Sindrome da Invecchiamento Precoce), sono stati documentati solo 140 casi in tutto il mondo; di questi a malapena un centinaio sono tuttora viventi, di cui cinque in territorio italiano. Tutto ciò rende difficile reclutare, seguire e coordinare un numero di pazienti sufficiente a sostenere una qualunque sperimentazione. Questa situazione allunga i tempi della ricerca, e rende i risultati “deboli” perché inevitabilmente valutati su pochi casi, o per tempi ridotti.

A tutto questo vanno aggiunte infine le difficoltà intrinseche alle malattie stesse, che spesso hanno una base genetica. Quando una malattia ha base genetica è molto più difficile da affrontare, perché le cure non possono puntare a ristabilire la “normalità” dell’organismo: nelle malattie genetiche, la malattia è la “normalità” per quella persona.

Ad oggi sono pochissime le malattie genetiche per le quali sono disponibili delle cure nel vero senso della parola; a volte non sono neppure disponibili dei test diagnostici standard, e i medici devono capire come muoversi per ogni singola persona. Stessa situazione anche per la terapia, che nella maggior parte dei casi è palliativa o poco più: si cerca cioè di alleviare i sintomi della malattia e rallentarne la progressione. Sarebbe però un grave errore sottovalutare l’importanza delle cure palliative per il solo motivo che non sono “risolutive”: l’assistenza medica tempestiva e puntuale, anche quando generica, può fare un’enorme differenza sulla speranza di vita del paziente, e ancor più sulla qualità di questa vita.

Per le malattie rare il contributo e il sostegno dei singoli cittadini è un elemento essenziale per i pazienti. Contributo che può passare sia con il sostegno finanziario alla ricerca, attraverso fondazioni e associazioni, sia con il sostegno più diretto agli stessi pazienti, attraverso le molte associazioni che si occupano di tutte quelle piccole, grandi esigenze di chi rischia di ritrovarsi da solo ad affrontare una malattia che troppo spesso sembra non interessare a nessuno.

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