Naval’nyj, morte di un dissidente: l’analisi all’UniPr

L'ateneo universitario di Parma ricorda l'oppositore russo con una lezione aperta a lui dedicata. Ma chi era davvero Aleksej Naval'nyj?

Il 27 febbraio si è tenuta, presso la Sede Centrale dell’Università di Parma, una lezione aperta sulla figura dell’oppositore politico russo Aleksej Naval’nyj.

La lezione è stata celermente organizzata dopo che il mondo ha ricevuto la notizia della morte del dissidente, il 16 febbraio 2024. Il decesso di Naval’nyj è stato reso pubblico proprio quel giorno, all’interno di uno statement pubblicato sul sito del Servizio Penitenziario Russo. Ad ora, le cause della morte non sono ancora state accertate e le dinamiche rimangono poco chiare, nonostante i media russi abbiano parlato inizialmente di un malore che il prigioniero avrebbe avuto durante una passeggiata.

L’incontro è stato curato da tre docenti di Lingua e letteratura russa dell’ateneo: Nicoletta Cabassi, Giulia de Florio e Maria Candida Ghidini. Le professoresse hanno dato il via alla lezione con i propri interventi, preceduti da quelli di altri due partecipanti, il prorettore vicario Fabrizio Storti e il direttore del Dipartimento di Discipline Umanistiche, Sociali e delle Imprese Culturali Massimo Magnani. La lezione aperta è successivamente continuata con la presentazione del documentario Naval’nyj del 2022, vincitore del premio Oscar come miglior film documentario nell’edizione della premiazione del 2023.

Gli interventi per Naval’nyj

Il primo intervento è stato tenuto da Storti che ha parlato del dovere pubblico – e culturale – che le istituzioni universitarie hanno, ossia quello di creare discussione e dibattito, in particolare su questo genere di avvenimenti, che – in realtà – non riguardano solo il popolo russo, ma tutti noi. Il Prorettore si ricollega poi al documento che sintetizza la ben nota Agenda 2030. Dalle parole dello stesso Storti si comprende quanto tale progetto non riguardi solo la sostenibilità ambientale, a tutti estremamente cara ed essenziale, ma anche quella sociale e di giustizia sociale da cui eventi come quello della morte di Navaln’nyj ci fa allontanare in misura sempre maggiore.

La professoressa Ghidini inscrive invece la questione Naval’nyj all’interno di un più grande e complesso quadro che riguarda in primis noi, il target delle notizie. Ghidini parla di “assuefazione alle catastrofi” e di come queste ci lascino con poco tempo per riflettere e dunque poco tempo per avere la possibilità di compiere una buona rielaborazione critica, in particolare relativamente alla questione Russia. La professoressa parla poi dell’impossibilità di “guardare il male negli occhi, direttamente” data dal fatto che in contesti come quello russo non è possibile denominare le realtà con il proprio nome, tanto che spesso questo porta a processi di auto-censura, più che di censura esterna.

La professoressa Ghidini esprime poi un concetto centrale per parlare della figura di Aleksej Naval’nyj, quella del mito: “Noi non abbiamo bisogno di creare un nuovo mito, di cadere nella trappola del mito”. Naval’nyj non è un mito e non deve essere considerato come tale, ma è considerabile un eroe, così come tanti altri in quel contesto. E non solo: è necessario ricordare che Naval’nyj fosse un essere umano, con i suoi difetti e con le sue contraddizioni (come il fatto di aver sostenuto e partecipato a manifestazioni nazionaliste russe).

Un altro eroe è protagonista invece delle parole di De Florio che riportato il discorso di un altro dissidente, il giornalista e attivista Oleg Orlov. Orlov è stato condannato a due anni e mezzo di regime detentivo per aver espresso il suo dissenso.

Durante l‘ultima dichiarazione in tribunale – la quale in Russia, per legge, è completamente libera – Orlov fa riferimento proprio all’assassinio di stato di Naval’nyj: “Era una persona straordinaria, coraggiosa e onesta che, in condizioni rese incredibilmente dure proprio per lui, non ha perso l’ottimismo e la fiducia nel futuro del nostro Paese. Qualunque siano state le circostanze specifiche della sua morte, si è trattato di un omicidio.”

Chi era Naval’nyj, oppositore politico di Putin

Aleksej Naval’nyj è stato uno dei più conosciuti oppositori del regime di Putin e dello stesso presidente. Inizialmente, nella sua carriera politica, era al vertice del partito da lui fondato denominato Russia del Futuro e presidente della Coalizione Democratica, all’interno della quale presiedeva in precedenza anche con un altro dissidente, Boris Nemcov, già assassinato nel 2015. L’oppositore era soprattutto conosciuto per aver fondato la FBK, una fondazione anti-corruzione che si batte per una maggior trasparenza nell’ambiente politico russo tramite la pubblicazione di approfondite indagini su politici e funzionari del governo. La fondazione, considerata un’organizzazione terroristica, è stata sciolta il 20 luglio 2020 in Russia, ma continua ad operare all’estero, dal 2019 sotto la guida di Ivan Zdanov, stretto collaboratore di Naval’nyj.

Oltre all’attivismo anti-corruzione, l’agenda dell’oppositore verteva su diversi argomenti, sia di politica interna che di politica estera. Nel primo caso, Navaln’nyj si concentrava sulle politiche economiche e sociali, tra cui l’aumento del salario minimo e l’aumento degli investimenti in ambito educativo, sanitario ed infrastrutturale. Per quanto riguarda invece la politica estera, Naval’nyj desiderava una Russia che, nella scacchiera internazionale, si facesse promotrice del sistema democratico su base occidentale. Più nel dettaglio, il politico ha più volte condannato l’annessione della Crimea prima e, in tempi recenti, anche l’attacco nei confronti dell’Ucraina.

Naval’nyj e il governo russo: il tentato omicidio

L’operato dell’oppositore politico non è ovviamente passato inosservato da parte del governo russo, anche se sia gli alti funzionari del partito che lo stesso presidente Putin hanno sempre tentato di sminuirne l’importanza e l’impatto sul governo e sulla popolazione, all’interno di comunicati ufficiali e dichiarazioni. Proprio per questo motivo, non sono mancati i tentativi, da parte dei servizi segreti russi, di eliminare il dissidente. Un primo attacco è avvenuto il 27 aprile 2017, quando Naval’nyj è stato assalito proprio fuori gli uffici della sua fondazione. L’oppositore ha subito una perdita dell’80% della vista nell’occhio destro a causa di una sostanza acida non ben identificata. Nonostante gli assalitori fossero sconosciuti, Aleksej aveva apertamente accusato il Cremlino di aver organizzato l’attacco.

Ma il tentativo che ha avuto maggior risonanza, e che è stato riportato e fa da cardine allo stesso documentario della CNN, è stato l’avvelenamento avvenuto il 20 agosto 2020. Dopo essere stato nella città di Tomsk -anche per girare una parte del documentario – durante il volo di ritorno verso Mosca, Naval’nyj comincia a manifestare dei sintomi da avvelenamento e perde conoscenza (nel documentario sono riportati anche i video degli altri passeggeri in cui si possono distinguere le urla di dolore dell’uomo). Dunque, l’aereo ha fatto un atterraggio di emergenza presso l’aeroporto di Omsk, città presso il cui ospedale Naval’nyj è stato poi ricoverato. Proprio dal documentario si può assistere ai tentativi di insabbiare il malore dell’uomo e le sue cause e anche il ruolo della moglie di Aleksej, Julia Navalnaya, nel tentare di farlo uscire dall’ospedale in cui “al momento, ci sono più poliziotti che medici“.

La stessa Navalnaya, insieme al partito del marito Russia del Futuro, hanno fatto richiesta al presidente francese Emmanuelle Macron e all’allora cancelliera tedesca Angela Merkel, di trasferirlo in un ospedale europeo. La cancelliera accolse la domanda e riuscì a far trasferire Naval’nyj nell’ospedale de la Charité a Berlino. Proprio il team di medici dell’ospedale, come ha confermato un portavoce del governo tedesco, aveva riscontrato la presenza di Novichok, firma incontestabile del governo russo. Si tratta, infatti, di un’arma chimica che il governo sovietico aveva sviluppato durante il periodo della Guerra Fredda e che è stato utilizzato per altri omicidi a sfondo politico, come quello dell’ex spia KGB Sergej Skripal’ nel 2018.

L’indagine Bellingcat, il cuore del documentario

Come si può vedere dal documentario, dopo che Naval’nyj è uscito dal coma farmacologico ed era abbastanza in forze, è stato dimesso dall’ospedale. Nonostante ciò, ha deciso di rimanere almeno per qualche mese in Germania – in un piccolo paesino della Foresta Nera – per riprendersi completamente e tornare poi in Russia, cosa a cui lui non avrebbe mai e poi mai rinunciato. In Germania, è entrato in contatto con un elemento del team di giornalismo investigativo olandese Bellingcat, il bulgaro Christo Grozev. Data la sua provenienza, il team di Naval’nyj, in particolare la sua portavoce Kira Yarmysh, non erano inizialmente tranquilli nel farlo avvicinare. Nonostante ciò, Grozev ha conquistato la fiducia di Kira e dello stesso Aleksej dimostrando le proprie capacità informatiche e come queste fossero state messe al loro servizio.

Il cuore del documentario è stata proprio la telefonata organizzata da Grozev e Naval’nyj allo scopo di ottenere più informazioni riguardo al tentativo di avvelenamento dello stesso Naval’nyj. Ciò che i due non si aspettavano era una confessione vera e propria. Dopo aver chiamato diversi membri del FSB coinvolti (i servizi segreti russi), Naval’nyj cambia approccio. Si finge infatti un sottoposto del direttore dei servizi segreti Nikolaj Patrusev, e contatta il chimico e agente FSB Konstantin Kudrjavcev. Quest’ultimo, credendo di essere sotto esame per il “fallimento” dell’operazione, racconta dettagliatamente al finto sottoposto di Patrusev le probabili motivazioni di tale fallimento. Da questa telefonata si apprende che l’agente nervino era stato applicato ai boxer del dissidente nella sua stanza d’albergo a Tomsk e che, probabilmente, la sostanza non era entrata in circolo abbastanza in fretta. Anche per questo però, durante il primo ricovero, agenti del FSB avevano eliminato qualsiasi traccia di Novichok dai vestiti di Naval’nyj. L’indagine di Bellingcat, in collaborazione con CNN, è stata resa pubblica il 21 dicembre 2020, poco tempo prima del ritono di Naval’nyj in patria, avvenuto il 17 gennaio 2021.

Il ritorno in patria, la prigionia e la morte

Proprio il 17 gennaio 2021, Naval’nyj compie il viaggio di ritorno verso casa, verso Mosca. Arrivato all’aeroporto di Mosca-Seremt’evo ci sono ad attenderlo numerosi supporter, anche se molti erano già stati arrestati dalla polizia anche solo per aver presenziato all’arrivo del dissidente e per aver urlato slogan contro Putin e contro il governo russo. Per arrestarlo, il dipartimento di polizia ha fatto forza sull’accusa di appropriazione indebita che lo avrebbe portato alla detenzione per 3 anni e 6 mesi, considerata politicamente motivata dagli osservatori politici e dalle associazioni per i diritti umani. Naval’nyj fu quindi arrestato e portato in prigione. Poco dopo, il dissidente ha dovuto affrontare e presenziare a numerosi processi.

Dopo 2 anni di prigionia, il 25 dicembre 2023, la portavoce di Naval’nyj, Kira Yarmysh, assieme ad altri collaboratori, dà la notizia del trasferimento di Aleksej nella colonia penale IK-3, nel circolo polare artico, in condizioni di quasi completo isolamento e che dunque non permettevano alcun tipo di comunicazione. Qui è dove Navan’nyj muore, appunto il 16 febbraio 2024.

Di Martina Leva

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