Lungs di Duncan MacMillan

Una coppia in una stanza vuota parla e si confronta sul futuro: il pensiero di un figlio è solo il primo granello di una valanga di dubbi, pensieri e confronto in un dialogo in cui le battute si susseguono a ritmo sfrenato, si accavallano e si intrecciano. Respirare è l’ultima cosa che ci si ricorda di fare.

Una stanza vuota. Un uomo e una donna dialogano. Non sappiamo nulla di loro, ma è come se li conoscessimo da tempo. Potremmo essere noi, con il nostro partner. 

La Piccola Sala del Teatro Due a tratti si fa piccola, quasi claustrofobica, a tratti si ingigantisce: gli spazi si dilatano creando una sensazione di vuoto e di solitudine immensa. Questo movimento, dettato dalla dilatazione e del restringimento metaforico degli spazi, richiama la meccanica del respiro dei polmoni. Forse la scena potrebbe essere una cassa toracica, il cui cuore è rappresentato dalla coppia e la stanza dai polmoni?

La meccanica dei polmoni diventa meccanica della vita:

“Un bambino?”

“Respira.”

Due battute semplici che cadono come una sentenza. Da quel momento ogni argomento è riversato sulla scena come un fiume in piena incontenibile, irrefrenabile. Il dialogo diventa talmente serrato che non c’è tempo per respirare, si è completamente rapiti da ciò che viene portato in scena. Nonostante la scenografia semplice e scarna, questa è ricolma di pensieri, paure, riflessioni che i due personaggi portano sulla scena

Non è una semplice storia di una coppia, è l’essere umano con le sue parole, le sue preoccupazioni, i pensieri; quelle due battute iniziali sono davvero i primi sassolini di una valanga di tematiche che dal semplice pensiero della nascita di un figlio portano a preoccupazioni relative la gravidanza, il peso della stessa e cosa comporta cresce un essere umano in questo mondo. 

crediti: Michele Lamanna

La pièce è un’unica grande riflessione sulla vita e sulla morte, sul mondo in cui viviamo e in cui una nuova vita sarebbe costretta a vivere. Dal figlio, il focus è spostato sull’ambientalismo, l’importanza del benessere della terra e il rispetto di essa; a questa si unisce il ruolo del genitore che deve essere un esempio e guidare il figlio nelle proprie scelte; a ciò si aggiunge il pensiero della scuola, portando ad una riflessione sull’importanza dell’educazione del figlio.

Quel bambino che è ancora “in potenza” diventa “atto”, atto teatrale: diventa presenza fisica nei pensieri e nelle parole dei due protagonisti; anch’esso è presente in scena, un’essenza evanescente, a tratti quasi tangibile e pressante. Diventa reale nonostante la sua immaterialità. 

Dubbi che si fanno concreti e che frenano l’impulso della gravidanza, ma che poi si dissipano come la nebbia mattutina, quando si inizia a desiderare quel figlio di cui si è tanto parlato. E allora ci si prova, fino a perdere le speranze nel poterlo concepire, ma proprio quando si sono perse queste ultime, arriva la buona novella di una terza presenza: quel bambino di cui si è discusso e che era solo un pensiero è diventato reale, in un’altra cavità.

crediti: Michele Lamanna

Davide Gagliardini e Sara Putignano portano in scena un dramma, un rapporto vero, reale e tangibile, fatto di parole e gesti. Dominano la scena: si avvicinano, si allontanano. Si abbracciano e si respingono. Si confrontano, uno di fronte all’altra: si guardano negli occhi, piangono, si arrabbiano, alzano il tono della voce. È uno spettacolo che interpella in primo luogo gli spettatori che, come in uno specchio, si ritrovano nelle parole degli attori.

L’aspetto più interessante di tutta la pièce non riguarda solamente il testo di Duncan MacMillan (2011), che tratta tematiche molto attuali, ma è lo studio degli spazi; questi ultimi non riguardano solo la tangibilità, ma anche la loro immaterialità, come spazio in cui si muovono i protagonisti. La vita occupa spazio, non solo quando ancora è in potenza nella cavità uterina, ma anche nel mondo reale. Essa rappresenta dei cambiamenti, non solo nel corpo della donna (come viene sottolineato nel testo teatrale), ma anche all’interno del pianeta, nella vita di tutti i giorni. E questa vita si muove, si dilata e si espande abbracciando tutto ciò che ha intorno a sé. La scelta di portare questo testo in una scena scarna e vuota permette alla vita (vera e propria protagonista della pièce) di potersi muovere liberamente in uno spazio che è posta sullo stesso piano di quello del pubblico.

La scelta della Piccola Sala non è un caso: pochi posti a sedere, permettono un dialogo a tu per tu con gli spettatori che, a tratti, vengono interpellati, in modo silente, dagli sguardi degli attori. 

crediti immagine iniziale: Michele Lamanna

di Erika V. Lanthaler

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