Siamo circondati da distopie: quali sono le origini e perché ne siamo affascinati?

Il filosofo John Stuart Mill utilizza per la prima volta il termine distopia durante un discorso al Parlamento inglese nel 1868. Ancora oggi, però, il termine rappresenta temi attuali e tantissime sono le opere letterarie e non solo che ci affascinano, come mai?

Se Tommaso Moro inventò l’utopia, John Stuart Mill conia il termine distopia in piena Rivoluzione Industriale. Nel linguaggio comune, è intesa come l’opposto dell’utopia e se quest’ultima descrive una società ideale e giusta, la distopia delinea i tratti di una società inferiore e ingiusta. Dal XIX secolo, periodo di grande sviluppo tecnologico e scientifico, fino ai giorni nostri diventano sempre più popolari le narrazioni distopiche grazie a romanzi e cinema. Quali sono stati gli autori più importanti e perché questo interesse verso un genere così particolare?

Le radici del genere

Se è dal XIX secolo in poi con la Rivoluzione Industriale che si è sviluppato il genere della distopia in ambito letterario, si potrebbero trovare nel periodo della Rivoluzione Francese le radici della narrativa distopica. L’aspirazione a creare una società perfetta e l’uomo moderno mostra, infatti, anche le conseguenze politiche e sociali e soprattutto contribuisce a immaginare un futuro distopico. La politica, la scienza e la tecnologia iniziano ad innescare il meccanismo dell’immaginario distopico grazie alle loro conseguenze negative.

Nel 1818, Mary Shelley inaugura il genere fantascientifico pubblicando Frankenstein ed è anche in questo romanzo che si può trovare l’inizio e l’origine del genere distopico. L’autrice affronta nell’opera i pericoli che ossessionano la società novecentesca. Il tema della hybris, l’orgogliosa tracotanza che porta l’uomo a presumere della propria potenza e fortuna e a ribellarsi contro l’ordine costituito, è qui centrale, proprio perché il personaggio Victor Frankenstein ne pecca e, di conseguenza, vi è l’idea che la scienza e la tecnica siano destinate a peggiorare le condizioni di vita e di lavoro dell’uomo, oltre che a cambiare profondamente la stessa natura umana.

Nella seconda metà del XIX secolo, aumentano i segnali di allarme verso la scienza e verso la politica. Si diffonde sempre di più la convinzione che il paradiso utopico è ormai lontano e ci si avvicina ad un universo distopico.

La distopia moderna

Il vero padre della distopia è considerato Herbert George Wells, scrittore inglese che tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento pubblica una serie di opere che rappresentano un vero e proprio ciclo distopico che inizia con The Time Machine (1895) e si conclude con The Shape of Things to Come (1933). La visione del futuro di Wells è, infatti, pessimista e cupa: In The Time Machine, per esempio, un inventore costruisce una macchina del tempo con cui raggiunge l’anno 802 701 e trova un mondo decadente in cui la lotta di classe è divisa in due: da un lato i Morlocks, discendenti dei proletari che servono i deboli e parassitari Eloj, eredi dei capitalisti. Di notte, invece, i Morlocks danno la caccia agli Eloj e l’immagine finale di un mondo popolato da granchi giganti che vivono sotto ad un sole che sta per spegnersi è sicuramente terrificante ed evocativa delle idee di Wells. In The Shape of Things to Come, invece, descrive un futuro altrettanto drammatico attraverso due guerre mondiali, l’avanzata delle pandemie e l’instaurazione di una dittatura che conduce al trionfo della scienza e della tecnologia.

Herbert George Wells

Nel corso del XX secolo, poi, avviene l’ascesa delle distopie con gli autori più importanti del genere quali Evgenij Zamjatin, Aldous Huxley e George Orwell.

L’intellettuale russo Zamjatin scrive un romanzo pubblicato in inglese nel 1924 intitolato Noi in cui critica l’assoggettamento dell’individuo al potere: la società capitalistica e il taylorismo, che fabbrica uomini tutti uguali e alienati, ed il potere totalitario del comunismo sovietico, che in nome dell’uguaglianza nega la libertà della persona, sono i temi principali. Il romanzo, quindi, è una chiara critica all’idea che la felicità possa essere raggiunta e garantita attraverso la rinuncia alla libertà e l’assoggettamento al potere. Il protagonista, D-503, racconta le vicende sotto forma di diario: l’omogeneità e l’inconsapevolezza dei cittadini vengono raggiunte grazie al controllo continuo e alla chirurgia (la trasgressione viene curata attraverso la lobotomia).

Aldous Huxley scrive nel 1932 Brave New World, in cui di nuovo l’immagine è quella di un futuro negativo e terrificante. Huxley, attraverso il suo romanzo, critica il Fordismo, il consumismo e il capitalismo borghese del XX secolo. Dopo una guerra apocalittica, lo scenario vede lo Stato strutturato in modo classista, promiscuo ed edonistico. Qui, la scienza e la psicologia diventano strumento di governo: il condizionamento eugenetico e psicologico sostituisce la sorveglianza costante e repressiva che si serve della minaccia o della paura.

Tuttavia, è con molta probabilità 1984 (1949) di George Orwell la distopia più famosa del XX secolo. Orwell ambienta la vicenda in un futuro (il 1984) in cui il mondo è diviso in tre macro-nazioni che si contendono, attraverso la Terza Guerra Mondiale, una quarta fascia territoriale. La storia si svolge a Londra, retta da un regime di stampo socialista in cui il potere è retto da un partito, che non ha rivali all’opposizione, al cui capo è posto il Grande Fratello, una figura che nessuno ha mai visto e che viene rappresentato con dei tratti che ricordano le fisionomie di Stalin e Hitler. La vita degli abitanti dell’Oceania è costantemente spiata da telecamere, invasa dalla propaganda, dal terrore e dalla guerra. Estremizzando i totalitarismi del Novecento, 1984 mostra le conseguenze negative dell’uso dei mass media e della distorsione del linguaggio. Come lascia presagire Orwell, la speranza per un avvenire differente non esiste. Le persone vivono in un presente incerto e non c’è memoria del passato. Sicuramente un’opera attuale confrontato alla situazione attuale e perfino oggetto d’ispirazione per il concept e per il nome del celebre reality Big Brother (Grande Fratello).

crediti: BBC

Narrazioni distopiche contemporanee

La narrazione distopica ha assunto un ruolo centrale nella produzione culturale contemporanea sia nella letteratura che, soprattutto, nel cinema. La diffusione dei temi distopici si declina in numerosi universi narrativi ed acquista sempre più popolarità grazie alle tematiche attuali: dalle catastrofi naturali e dalle invasioni di zombie e alieni, alle profezie e alla tecnologia usata come mezzo di potere e anche all’uomo stesso come responsabile della distruzione del mondo. Che sia all’interno di una distopia ecologica, politica, religiosa o tecnologica, ciò che accomuna questo tipo di racconto è sempre la rappresentazione di un mondo in rovina e di una società ingiusta e deteriorata.

Da Metropolis del 1927 di Fritz Lang fino ai giorni nostri, sono davvero tantissimi i film distopici che si servono di un’ambientazione distopica per contestare la società contemporanea proiettandone nel futuro le caratteristiche più negative. Tra i numerosissimi film, si citano Alphaville, une etrange aventure de Lemmy Caution (1965) di Jean-Luc Godard, Fahrenheit 451 (1966) di François Truffaut che si ispira all’omonimo romanzo, Arancia Meccanica (1971) di Stanley Kubrick, Blade Runner (1982) di Ridley Scott, Matrix (1999) dei fratelli Andy e Larry Wachowski e i più recenti V per Vendetta (2005) di James McTeigue, Hunger Games (2012) di Gary Ross, La notte del giudizio (2013) di James DeMonaco, Maze Runner (2014) di Wes Ball e The Lobster (2015) di Yorgos Lanthimos.

Negli ultimi anni, si sono sviluppate anche tante serie tv a tema distopico: sicuramente Black Mirror (2011), serie antologica che esplora le paure legate alla tecnologia, con storie che attingono ai disagi collettivi del mondo moderno è una delle più famose. Si ricordano anche The Walking Dead (2010), The 100 (2014), 3% (2016), The Handmaid’s Tale (2017), Dark (2017), Snowpiercer (2020) e Squid Game (2021).

una scena della serie The Walking Dead

Il fascino dei racconti distopici

La distopia ha avuto grande fortuna nella letteratura e nel cinema, ma come mai siamo così affascinati da racconti altrettanto interessanti ma sicuramente drammatici e terrificanti?

La narrativa distopica agisce, in qualche modo, in maniera preventiva mettendo in guardia il lettore o lo spettatore: per evitare che il passato e il presente siano destinati a trasformarsi in un incubo futuro, il romanzo o il film mostra le conseguenze di quello stesso futuro tragico.

In un’epoca tutt’altro che pacifica e caratterizzata da incertezze come la nostra, la distopia può incarnare le nostre paure e le nostre angosce per il futuro dubbioso che ci aspetta e, spesso, le estremizza. Si potrebbe pensare che la distopia ci aiuti ad apprezzare il nostro presente, mostrando mondi ed universi in cui la situazione è ben più catastrofica ma, quello che le distopie dovrebbero fare ed il motivo principale per cui hanno così successo è, probabilmente, un altro. Compito delle distopie è risvegliare in noi la consapevolezza, il pensiero e la coscienza critica. Se i personaggi inventati dagli autori devono agire per cambiare il mondo in cui vivono, i lettori e gli spettatori hanno ugualmente modo di riflettere e pensare. D’altronde, i racconti distopici prendono ispirazione dal mondo e dalla società che circonda gli autori e ne riflettono le ansie e le paure. Non è, forse, un caso che le prime distopie siano nate in periodi di piena Rivoluzione e di guerre in cui le persone erano vittime di regimi totalitari e non avevano possibilità di essere libere?

crediti: BBC

crediti immagine iniziale: Pixabay

crediti seconda foto: ThoughtCo

crediti quarta foto: Los Angeles Times

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