“Cara Giulia”. Cecchettin presenta a Parma il libro dedicato alla figlia

Prendere il proprio dolore e trasformarlo in un messaggio: è quello che ha fatto il padre della ragazza uccisa quando si è reso conto che il dolore per la perdita della figlia non era più soltanto un fatto privato, ma aveva travolto l’opinione pubblica

Prendere il proprio dolore e trasformarlo in un messaggio: è quello che ha fatto Gino Cecchettin quando si è reso conto che il dolore per la perdita della figlia Giulia– uccisa dal suo ex fidanzato l’11 novembre 2023- non era più soltanto un fatto privato che riguardava la sua famiglia, ma aveva travolto l’opinione pubblica al punto da renderla un simbolo della lotta alla violenza di genere.

La volontà di farsi portavoce di questa battaglia è il motivo per cui Cecchettin sta portando la sua testimonianza in giro per l’Italia, presentando in un tour promozionale il libro che ha scritto in collaborazione con Marco Franzoso: “Cara Giulia. Quello che ho imparato da mia figlia”. Il libro, edito da Rizzoli, è una lunga lettera alla figlia, un dono che ha deciso di farle per onorarne la memoria, continuando a parlare di lei e degli insegnamenti che Giulia in soli ventidue anni di vita ha saputo trasmettergli, dandogli la forza di affrontarne l’assenza e di trarre un senso dal dolore che lo ha colpito.

Anche a Parma è risuonato l’eco della reazione collettiva al femminicidio di Giulia Cecchettin: lo si è visto con la straordinaria partecipazione alla manifestazione del 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza di genere. E lo hanno sottolineato anche il sindaco Michele Guerra e l’assessora alle Pari Opportunità Caterina Bonetti in occasione della presentazione del libro tenutasi presso l’auditorium Bodoni, in collaborazione con Mondadori Bookstore Ghiaia e moderato dalla giornalista Giovanna Pavesi.

In dialogo con Pavesi, Cecchettin parla con gratitudine di sua figlia Giulia: la definisce la figlia perfetta, quella che non dà mai problemi. Racconta di come fosse stata capace di portare gioia e allegria nella sua famiglia anche dopo la morte della madre, e di come fosse sempre pronta a donarsi cercando di venire incontro ai bisogni e alle difficoltà delle persone che le stavano accanto, anche al di fuori dell’ambito familiare. “Giulia non era solo brava, era una sagoma, ci metteva allegria, mimava Totò a ritmo di techno. Quando tornavi dal lavoro stressato e la trovavi ballare non potevi non restare affascinato dall’entusiasmo che aveva”.

La capacità di Giulia di trovare il bello nelle cose è stata il motore grazie al quale Cecchettin è riuscito a non trincerarsi dietro l’odio che inizialmente lo ha travolto, “Stava nascendo in me un odio pazzesco e una voglia di vendetta ma ho capito subito che non sarei riuscito a gestirla, quindi ho pensato di concentrarmi sulla parte più positiva prendendo Giulia come esempio”. Pur non essendo credente, Cecchettin racconta di aver provato a comportarsi come un buon cattolico, concentrandosi sul bene. “Sarebbe stato molto più semplice chiudersi in casa, aspettare che il dolore passasse e far finta di niente, ma ho voluto dare il mio contributo a questa battaglia contro la violenza di genere, ho rinunciato a un po’ di privacy per far sì che il problema venga alla ribalta”.

E se da un lato il volto di Giulia, con il suo sguardo buono, la sua giovane età e il suo carattere hanno fatto sì che la sua morte avesse una reazione inedita, un ruolo importante nella presa di coscienza collettiva lo hanno avuto anche le parole della sorella Elena. “Elena ha chiamato in causa il sistema patriarcale, lo ha chiamato col proprio nome. Ha rotto il tabù del dolore che è valido solo se è contrito, se è silenzioso, se è struccato, se è mite e riservato. Elena è stato subito molto netta, è stata esplicita e si è esposta, ha costretto l’opinione pubblica a un esame di coscienza veramente molto urgente“, osserva Pavesi. “Elena è stata il catalizzatore di tutta una serie di eventi”, ha confermato Cecchettin. “Io non ne ho capito il motivo all’inizio, per me era un omicidio d’amore, di gelosia. Ma quando lei me lo ha spiegato, con parole secche e il suo modo perentorio, non c’è stato modo di cambiare idea”.

Parla con umiltà degli insegnamenti appresi dalla figlia, dichiara che seppur con modi e approcci diversi, sosterrà sempre la figlia Elena e insieme combatteranno la stessa battaglia: “Oltre al classico significato di patriarcato, c’è anche un costrutto di atteggiamenti di prevaricazione che limitano la libertà delle donne. Questo significa che se una figlia vuole fare ragioneria e il padre vuol farle fare il liceo, quella è un’applicazione del patriarcato. Se una moglie vuole andare a prendere un caffè con le amiche, ma il marito è geloso, questo è patriarcato. Se una ragazza dice «non ti amo più» e si arriva a gesti estremi, anche questo è patriarcato.” Da qui, l’idea di creare una fondazione che aiuti le donne vittime di violenza grazie ai proventi della vendita del libro.

Fino al momento della scomparsa di Giulia, Gino Cecchettin non aveva mai pensato che un evento del genere potesse accadere alla sua famiglia: aveva una famiglia solida, che non apparteneva alle condizioni sociali a cui credeva fossero riservate certe dinamiche. “La nostra era una famiglia comune, era considerata una famiglia che non avrebbe dovuto avere problemi di sorta, sia la nostra che quella di Filippo”. Eppure così non è stato, e Cecchettin in poco tempo ha acquisito, suo malgrado, delle nuove consapevolezze in materia di rapporti tra i generi, interrogandosi in quanto uomo e in quanto padre. Si è reso conto di quanto sessismo si celasse nelle espressioni di uso comune, e di quanto sia fondamentale, da genitori, insegnare il valore dei no.

Giulia è uscita dalla dimensione familiare ed è diventata una figura di riferimento pubblica”, ha osservato il sindaco Guerra, introducendo l’incontro, ed è innegabile che la sua scomparsa abbia segnato, in qualche modo, un prima e un dopo nella percezione collettiva recente della violenza di genere e del femminicidio. Il volto di Giulia è diventato un simbolo, e se inizialmente è stato difficile per i suoi cari vederlo ovunque, adesso sono orgogliosi del fatto che la loro Giulia sia diventata “la Giulia di tutti”.

L’assenza di Giulia si sente, in casa Cecchettin, “si avverte nelle piccole cose: le tovagliette della colazione la mattina, il numero delle lavatrici, i soldi per la spesa”, ma la porta della sua camera rimane aperta: “Quella porta rappresenta la connessione con Giulia, la speranza. Bisogna mantenere la speranza, lo devo fare per i miei figli e anche per me stesso: tutti meritano di essere felici. Quando è morta mia moglie ho capito che realizzi che non vedrai mai più i tuoi cari scomparsi quando cominci a pensare a loro con un sorriso. Io penso a Giulia con un sorriso, perché mi ha dato tanto e doveva ancora darmi tanto”.

di Marta Montana

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