Botteghe storiche e artigiani: ricordi del passato, nel presente
TRA PASSATO E MODERNITA' GLI ESERCIZI COMMERCIALI CHE HANNO FATTO LA STORIA DI PARMA
E’ una piccola targa – di solito esposta in vetrina – ad affidare il titolo di ‘Bottega storica dell’Emilia Romagna‘ a quelle attività commerciali che, non solo hanno vissuto una buona parte della storia della città, ma hanno anche contribuito ad arricchirla di artigianato, di gastronomia e di cultura. Un piccolo patrimonio, insomma, a cui è stato dedicato un apposito albo istituito anni fa dall’amministrazione comunale con l’intento di “sperimentare un circuito per valorizzare tutte le attività storiche del nostro territorio” e “un percorso importante anche per il turista, che, frequentando Parma, vuole conoscere le migliori tradizioni del commercio, della ristorazione e dell’artigianato della nostra città”.
Ma che ne è oggi delle botteghe storiche e degli artigiani che un tempo popolano l’Oltretorrente o i borghi del centro? Come riescono a mantenere l’attività di fronte a tanta concorrenza?
L’albo comunale delle botteghe storiche annovera diversi esercizi commerciali fra cui l’Orologeria Ferrari (dal 1922), Melley Calzature (dal 1924), Profumeria La Mammola (dal 1923), Torrefazione Anceschi (dal 1929), Foto Carra (dal 1934), Ferraglia antichità (dal 1959), Bottiglia azzurra osteria con cucina (dal 1921). Da aggiungere a queste, nonostante chiusa nel 2012, la libreria Battei, punto di riferimento per moltissimi parmigiani e detentrice di un posto d’onore nel cuore della città. Nonostante il lavoro della casa editrice omonima prosegua, la libreria a malincuore ha dovuto chiudere. Ormai, a far leva è lo “strapotere delle grandi catene, e una piccola libreria non può sopravvivere, solo le grandi ce la fanno. Certo, provo rammarico, è logico, ma la decisione seppur sofferta, era la più logica da prendere”, commenta l’editore Luigi Battei.
Meno popolare alla città, ma comunque parmigiano da 33 anni dopo il trasferimento dall’Egitto, da 28 Mohamed gestisce la sua attività in barriera Bixio. ‘Storico’ tappezziere dell’Oltretorrente, fino a cinque anni fa, quando i suoi negozi erano due, racconta che le cose andavano meglio. “In totale da una decina d’anni – spiega – le vendite sono calate del 90%. Si va avanti un po’ con l’artigianato, con il lavaggio ed il restauro dei tappeti, ma non è facile”, continua. “Sono venute tv e radio locali per propormi un po’ di pubblicità, ma non ho accettato: preferisco lavorare di meno ma con calma, perchè i miei sono prodotti di qualità, tutti fatti a mano“. Mosso da una passione pura, genuina ed instancabile nei confronti del suo lavoro, se gli si fa notare che un tappeto – per quanto oggetto di valore estetico – sia un bene superfluo in tempi di crisi, Mohamed ribatte: “E’ qui che ci si sbaglia, questo è un ragionamento errato: un tappeto è come una casa“.
Tra gli artigiani ancora in attività in città, c’è anche Giovanni Alinovi, ultimo esponente della famiglia che da tre generazioni, dal 1935, gestisce lo storico negozio di cornici in via Farini: “Il modo di lavorare è sicuramente cambiato nel tempo, anche se poi nemmeno così tanto. Mio nonno Giovanni ha acquistato l’attività nel 1935 iniziando con vetreria e lattoneria. Dopo la guerra, ha ceduto l’attività a mio padre Francesco, che ha introdotto l’innovazione di fare cornici”. Un ampliamento non da poco che da lì a qualche anno ha messo la bottega in concorrenza con nuove attività. “Fino agli inizi degli anni ’80 – spiega infatti Giovanni – per fare le cornici con angoli di 45° si metteva la colla e si inchiodava sul lato. In seguito si sono diffuse invece le macchine assemblatrici che chiudono le cornici con delle linguette di acciaio”. Questo ha ovviamente determinato un boom di corniciai, ma solo “quelli che hanno saputo tornare al lavoro tradizionale sono sopravvissuti“. Nel 1985 è Giovanni a rilevare l’attività del padre, continuando non solo ad assemblare cornici, ma anche realizzandole partendo dal pezzo di legno grezzo e restaurando quelle più antiche, trovandosi a lavorare anche su cornici antecedenti all’800 e rivestite in oro da 23-24 carati. “Il rapporto con la città è buono, proprio perchè essendo una vecchia bottega si ha un rapporto di fiducia con il cliente, che spesso preferisce un ambiente familiare rispetto ai mondi asettici e freddi dei grandi magazzini”, continua Alinovi, che aggiunge: “Si riesce a respirare ancora il bel rapporto di una volta, come ad andare dal salumiere nel negozio sotto casa. Certo, con le nuove generazioni sembra che si perda questo valore: il rapporto di oggi fra i giovani e la città è freddo e menefreghista”.
L’importanza del rapporto di fiducia che si instaura con la clientela è sottolineato anche dalla proprietaria della storica Casa del Bottone. A fondarla nel 1964 era Anna Chierici, la sede era la Ghiaia e i “bottoni si vendevano a iosa”. A rilevare l’attività – trasferitasi da quattro anni in via d’Azeglio – la figlia Maria Cecilia, che parla con nostalgia dei tempi della Parma e della Ghiaia “di una volta ora” non esistono più, con la piazza che risulta essere “snaturata”. Ma gli affari, tra alti e bassi, vanno avanti alla Casa del Bottone, grazie alla posizione favorevole e trafficata e anche alle due ditte di calze che hanno incrementato il lavoro, non più solo incentrato su bottoni e pizzi ma anche su calze, guanti e sciarpe.
Chi invece negli ultimi anni ha registrato un ampliamento dell’attività è il calzolaio di piazzale Corridoni, che spiega quanto invece il suo non sia un settore in crisi. “Si aggiusta di più rispetto a prima perché la gente preferisce riparare le scarpe rotte invece che acquistarne un paio nuovo”. Gli incassi ci sono: oltre alla vendita, il negozio effettua anche riparazioni e non tratta soltanto scarpe ma pelle in generale. “Importanti negozi di scarpe del centro – racconta il calzolaio – ci affidano le loro merci se fallate invece che rispedirle alla produzione, noi le ripariamo e loro risparmiano soldi e tempo”. Ma, pur offrendo il negozio riparazioni convenienti, la crisi economica lascia la clientela sempre con l’amaro in bocca parlando di prezzi. “I miei prezzi sono rimasti gli stessi, ma la gente li percepisce in maniera più alta; a loro sembra tutto più caro“, spiega il commerciante.
Infine c’è chi ha fatto dell’innovazione un valore aggiunto, rimanendo però un nostalgico della tradizione del lavoro di una volta. Foto Carra a Parma è un nome dal 1934, da quando cioè William e Walter, figli di Giuseppe che firmava fotografie già dal lontano 1904, diedero vita all’allora Foto fratelli Carra, ora nelle mani del figlio di William Claudio. Sessantuno anni di professione alle spalle e una passione entusiastica che lo spinge a parlare del suo lavoro per ore, a raccontare la sua storia, le crisi del presente, a mostrare orgogliosamente il suo studio, i suoi lavori, le sue fotografie più particolari, i suoi libri e le sue targhe in onore dei 50 anni in cui ha fotografato il ParmaCalcio. Centoundici anni di attività dello studio, 81 di questi in Piazzale Cervi. Anni attraversati da cambiamenti, anni in cui la fotografia è stata spodestata dall’arrivo del digitale e dalla crisi: “La domanda gliela pongo io: come mai nessuno sta più a sfogliare un album di fotografie in famiglia o tra amici” e tutti invece fanno a gara per “mostrare le miriadi di foto che hanno fatto su computer o ipad?”, si chiede il proprietario. “L’attività funziona, a noi il lavoro non manca, ma la tradizionalità dello studio si è persa, una volta stava in piedi da solo, adesso è stroncato dai tempi”, dichiara Claudio. La maggior parte del lavoro oggi si concentra nella post-produzione e solo il 10% delle persone vanno a fare stampare le fotografie. Bei tempi andati quelli in cui la gente faceva la fila nelle scale del vecchio studio per far fotografare in posa la figlia che doveva prendere la comunione. “Il bilancio non è positivo, le spese sono troppe e anche i matrimoni hanno subito un calo, sia per effetto della concorrenza spietata, che per colpa delle convivenze”, sottolinea il fotografo. Oggi lo studio va avanti grazie a pubblicità, moda e aziende, della maggior parte delle quali si occupa il figlio Alessandro, 41 anni, nel secondo studio in via Picasso.
Lui, da buon artigiano, rimane rimane affezionato alla sua ‘bottega’, disponibile a raccontare la storia e il fascino di un mestiere che, come altri, affronta sfide e difficoltà di tempi cambiati, forte però di una ricchezza che solo il tempo e la tradizione concedono.
di Darika Fuochi, Francesca Gatti
Un grazie per i cari ricordi di una Parma che pian piano va sparendo agli occhi di un parmigiano che ormai da anni trasferitosi lontano, ma ogni tanto il cuore lo riporta nella ” mia cara Parma”. Vi invio un suggerimento di ricerca per alcune botteghe da anni scomparse, le seguenti: Caffè pasticceria Cantarelli Piazza della Steccata, Drogheria Pelosi via Aurelio Saffi, Bottega gen.alimentari Petrolini v.le Tanara, vi sarei grato poter rivedere alcune loro immagini e commento. grazie e buon lavoro.
Cordialmente. Mauro Fulchieri