Epatite B: i progressi della cura parlano parmigiano

INNOVAZIONI E SCOPERTE DEL TEAM COORDINATO DAL PROFESSOR FERRARI

Ospedale Maggiore“La nostra è un’unità operativa con una forte integrazione tra attività clinica e attività di ricerca. Quindi, è molto articolata e formata da due settori di degenza, uno infettivologico e uno epatologico”. A parlare è il professor Carlo Ferrari, coordinatore, insieme al dottor Gabriele Missale, di un team di ricerca di fondamentale importanza per l’ospedale cittadino, nonchè direttore dell’unità operativa di Malattie Infettive ed Epatologia. Gli anni di ricerche nel campo delle epatiti virali hanno permesso di rendere Parma un centro di eccellenza per lo studio e la cura dei virus epatici. Avere una ricerca forte infatti, “permette di potere sempre disporre dei presidi diagnostici e terapeutici più avanzati che ci siano e di potere quindi curare i pazienti nella maniera migliore possibile”, continua il professore. Ed è anche per questa ragione che l’unità operativa  dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma diretta da Ferrari sarà uno dei 4 centri di riferimento su tutto il territorio nazionale che condurranno nei prossimi mesi innovativi studi per le terapie contro i virus epatici, nello specifico per l’epatite virale di tipo B.

CHE COS’E’ E COME SI TRASMETTE L’EPATITE B L’epatite B è una malattia infettiva che colpisce il fegato e si contrae tramite esposizione a sangue infetto o a fluidi corporei contenenti il virus, come sperma e liquido vaginale. Il DNA virale è stato riscontrato in piccole quantità anche in lacrime, urina e saliva. La trasmissione dell’infezione tuttavia no avviene per contatti casuali, ma richiede che fluidi corporei contenenti il virus penetrino nel sangue di un’altra persona attraverso ferite della cute o abrasioni delle mucose. Quindi, il tocco delle meni, la condivisione di posate o bicchieri, l’allattamento, i baci, gli abbracci, la tosse o gli starnuti non sono a rischio di trasmettere l’infezione. Sono circa 600.000 le vittime annue di questa infezione che può portare alla cirrosi epatica o al tumore del fegato, patologia che ha una scarsa risposta ai trattamenti di chemioterapia. 

L’infezione si trasmette soprattutto con “la droga attraverso lo scambio di aghi e siringhe infetti dato che i liquidi biologici devono penetrare all’interno dell’organismo (non via oro-fecale) per poter infettare”. Purtroppo, ricorda Ferrari, esiste la possibilità di infezione “anche in ambito ospedaliero legata a manovre diagnostiche o terapeutiche invasive, anche se il rischio è minimo e le trasfusioni sono sicure al 100%. Inoltre l’infezione si può trasmettere per via sessuale e verticalmente alla nascita dalla madre al neonato, anche se quest’ultima modalità di trasmissione può essere prevenuta con la vaccinazione per l’epatite B e attuando cure preventive sulla madre e il bambino”.

“Studi locali attendibili sull’epidemiologia dell’infezione non ne abbiamo -continua Ferrari-, i quanto stratta di studi molto complessi che richiedono valutazioni a tappeto su tutta la popolazione. Il nostro Paese è tra quelli a bassa endemia, con una percentuale d portatori sotto l’1%, mentre la massima prevalenza si ha in alcuni paesi asiatici e africani. Nessun allarmismo per le popolazioni immigrate da paesi ad alta prevalenza di infezione dato che la trasmissione del virus può essere prevenuta attuando le semplici norme igienico-sanitarie generali. “Tra l’altro per l’epatite B c’è un vaccino efficacissimo; tutte le popolazioni giovani ormai sono vaccinate e il problema sono eventualmente le persone avanti con l’età”.

11080304_914081491946576_5652216232385880696_o L’ATTIVITA’ DI LABORATORIO – “L’attività di ricerca -prosegue il dottor Ferrari- è effettuata nel laboratorio interno all’unità operativa. “Qui si fa soprattutto ricerca di tipo immunologico focalizzata sullo studio delle patologie associate ai virus epatici (in particolare B e C). “Conoscendo i meccanismi patogenetici, cioè i meccanismi causali di cronicizzazione (persistenza del virus) o di controllo dell’infezione, è possibile dal punto di vista terapeutico tentare di modificare la reattività del sistema immunilogico per renderlo capace di controllare l’infezione. “L’obiettivo delle nostre attuali ricerche è quello di identificare delle immunoterapie per le epatiti croniche con l’intento di correggere e potenziare il sistema immunitario dei pazienti stimolando le difese immunitarie del soggetto. “Si tratta -spiega ancora il direttore- di una ricerca preclinica, cerchiamo di sviluppare le conoscenze necessarie per potere costruire questi farmaci”.

L’EPATITE C –  Se l’epatite di tipo B viene trasmessa soprattutto tramite rapporti sessuali non protetti, la C è soprattutto legata alla tossicodipendenza. “Per quel che riguarda l’epatite C sono state sviluppate terapie molto efficaci di tipo antivirale diretto, cioè basate su farmaci  che sopprimono direttamente il virus eliminandolo dall’organismo infettato in percentuali di casi che si avvicinano al 100% dei soggetti trattati. “Terapie che stiamo iniziando a fare ora su tutto il territorio nazionale, farmaci che si assumono per un periodo brevissimo (in genere tre mesi) senza effetti collaterali particolari. “Quello che stiamo facendo noi è di cercare di sviluppare farmaci più o meno equivalenti per l’epatite B perchè questa infezione è diffusissima nel mondo: circa 400 milioni di portatori cronici. “I farmaci attualmente disponibili non eradicano l’infezione, il virus persiste nell’organismo anche in piccole tracce e può, in ogni caso, riattivarsi alla sospensione della terapia; il problema maggiore è che questi farmaci devono essere assunti per tutta la vita”.

di Andrea Cammarata, Darika Fuochi, Francesca Gatti, Michele Panariello

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