Profughi a Baganzola, l’altra faccia dell’accoglienza: i volontari si raccontano
STORIE DI UMANITA' E FIDUCIA ALL'EX SCUOLA DI CASTELNUOVO
“Una persona è una persona attraverso altre persone” recita un detto Zulu.
Il centro di accoglienza situato nell’ex scuola di Castelnuovo, a Baganzola, ospita ad oggi 47 immigrati ed è aperto solo da pochi mesi. Ha già visto due manifestazioni, che per fortuna non hanno sortito danni, e una cena con il sindaco Pizzarotti. I ragazzi all’interno sono tranquilli, fanno lezione di italiano, curano un piccolo orto e attendono i documenti necessari alla loro permanenza dalla Questura. E nel frattempo, a parlare con loro, ascoltare le loro storie e le loro sofferenze, ci sono i volontari di varie associazioni, di cui la più importante è Croce Rossa Italiana, che gestisce il centro.
A CONTATTO CON LA SOFFERENZA – “Ho lavorato quarant’anni in terapia intensiva all’ospedale di Parma. Da tre anni sono in pensione e ho scelto di prendermi cura di loro, di iniziare questa nuova avventura”. A parlare è il medico Riccardo Campodonico, che ha prestato servizio anche in Africa, in Mauritania e in Sudan, a stretto contatto con realtà difficili da raccontare. “E’ facile creare panico intorno a questa situazione, come fanno certi organi di stampa. In realtà non c’è niente di cui avere paura, sono solo dei poveri cristi – continua -. Questi ragazzi non sono malati, prima di venire qui vengono visitati più volte. E’ stupido dire che portino malattie”. Il rapporto che si crea tra il medico e i suoi pazienti è di profonda empatia. Il dottor Campodonico ha visto con i suoi occhi i segni delle torture, gli ematomi, le ferite. I segni della sofferenza. “Un ragazzo è arrivato a piedi dal Pakistan – racconta – e non riusciva più a camminare. Sulla pianta del piede aveva un callo grande quasi quanto la mia mano”. Come si può tornare a casa la sera e fare finta di niente, continuare a vivere la propria vita stando ogni giorno a contatto con tali incubi? “In quarant’anni di lavoro in terapia intensiva ne ho viste di tutti i colori. Ho imparato a conservare la freddezza e il distacco per poter intervenire quando sia necessario” spiega il medico. “Non conosciamo il loro passato e mi sembra indelicato fare domande – dice invece Francesco, entrato in Croce rossa a giugno – ma quando parlando riusciamo a far spuntare un sorriso sui loro volti… quella sì che è soddisfazione“.
STORIE DI NORMALE UMANITA’ – Persone che vanno e vengono, a seconda di quanto tempo impiegano i documenti ad arrivare dalla Questura. Nonostante questo, i volontari che lavorano nel centro di Baganzola riescono ad instaurare un vero rapporto di fiducia coi loro ospiti. E spesso e volentieri, di propria iniziativa, i ragazzi aiutano nelle pulizie, a scaricare, a sistemare. Vedono i volontari lavorare e vogliono aiutare. Ad ora sono solo maschi, di varia età, con l’eccezione di una ragazza arrivata con il marito. La complicità, le risate e la fiducia sembrano venire naturali, nulla di ciò che raccontano i media tutti i giorni. “Quando sento gente dire che prima viene l’italiano o che sono qui solo a far danni, mi dà fastidio. Però non puoi fargli cambiare idea, perciò tanto vale non darci peso” alza le spalle Rosaria, una volontaria della Protezione Civile (all’interno del centro di Baganzola operano la Lodisana, il Ciac, la Croce Rossa, la Protezione Civile e diverse altre associazioni). Scegliere di operare a contatto con queste realtà aiuta a vedere la vita in modo diverso. Aiuta a capire quanto siamo fortunati ad avere una chiave che apre una casa, a poter scegliere cosa indossare al mattino. Tanto non abbiamo solo due magliette in armadio. “Ciò che era importante prima, ora non lo è più” continua Rosaria. Gli ospiti rendono più semplice il compito: sono collaborativi, cercano di aiutare, spiegano i volontari. Psicologicamente non è facile, tuttavia umanamente è un’esperienza formativa di proporzioni colossali. “Io sono in Croce Rossa sin dalle superiori – comincia a parlare Susanna – e mi è quasi venuta come scelta naturale. Non mi bastava quello che avevo, volevo sentirmi utile. Insomma, non potrei non farlo“. Umanità. Ecco ciò che manca ad alcune persone. Tornare a casa dopo aver toccato con mano la vera sofferenza non è facile. Non si può far finta di niente. La prospettiva cambia. L’essere umano si completa stando a contatto con gli altri. Come insegna il proverbio Zulu.
L’ITER DI PASSAGGIO – “Vorrei ringraziare davvero i volontari di Croce Rossa. Sono persone oneste e competenti e ne sono orgoglioso” afferma Giuseppe Zammarchi, presidente provinciale dell’associazione. E in merito alla vicenda di quel volontario che ha scritto un post razzista su Facebook, dice apertamente: “Dal punto di vista umano mi dispiace, perché mai mi sarei aspettato questo sfogo da parte sua. Purtroppo in Croce Rossa non possiamo permetterci simili atteggiamenti e l’iter per l’espulsione era inevitabile”. Quello di Baganzola, invece, è uno dei centri di primo aiuto: gli ospiti sostano solo il tempo necessario per avere i documenti dalla Questura. Dopo vengono smistati in strutture pubbliche o private messe a disposizione per inserirli nella società. A decidere quante persone mandare in una determinata regione è il prefetto, in comune accordo con il Ministero degli Interni, mentre poi a livello locale, per l’Emilia-Romagna, se ne occupano da Bologna. Non c’è profitto per la Croce Rossa: ogni centro riceve un rimborso spese dalla Prefettura. Al momento, dato che Baganzola è aperto da pochissimo, non ci sono ancora stime di ciò che è stato speso. Tuttavia Zammarchi afferma che solo per i pasti servono dieci euro circa a persona.
di Stefano Frungillo e Silvia Moranduzzo
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