Ciak, si dipinge. Francesco Barilli: “Il cinema non è uno scherzo”

TRA PASSATO E PRESENTE DEL NOTO REGISTA PARMIGIANO

francesco barilli arDall’amore per la pittura al rapporto con Bertolucci fino agli ultimi documentari come quello sul Teatro Regio che presenterà alla città in occasione del Festival di Verdi: il regista Francesco Barilli si racconta.

Iniziamo dalla sua biografia. E’ nato a Parma in una famiglia che ha l’arte nel sangue, infatti è nipote di Cecrope Barilli, noto pittore parmigiano. Com’è il suo rapporto con l’arte in generale?

“Ci staremmo un pomeriggio! (ride). Io nasco veramente in una famiglia di artisti: scrittori, pittori… nella casa in cui vivo ancora oggi tutti avevano uno studio, dove vi era un viavai di quadri. E per noi era molto naturale. Per me è stato naturale ‘saltare il fosso’, saltare il ‘problema’ di Cecrope, di Latino, di Bruno che erano geniali a loro modo. Ma era inutile seguirli, dovevo fare la mia strada. E io allora ho fatto un’arte. Una famiglia così ingombrante devi farla diventare un ricordo, una storia che fa parte della tua vita, ma senza farsi sottomettere dalla paura di altri. Io ho dovuto inventarmi un altro mondo, anche perché è un altro mondo”.

La scelta della carriera da attore dove e come è incominciata? Quali sono state le motivazioni principali che l’hanno spinta ad intraprendere sin da giovane la carriera nel mondo del cinema? Come fu l’impatto con esso?

“Io non ho preso alcuna decisione sulla recitazione. Io ho fatto la Parmigiana con ‘Pietrangeli’ (film d’esordio, ndr) mentre facevo l’assistente volontario con lui, senza sapere il motivo per cui mi avesse scelto per fare una parte. Probabilmente perché ho la faccia da attore (ride). Non mi era mai venuto in mente di farlo… Ho quasi fatto 30 film come attore, sempre con amici, e finché mi piacevano. L’inizio è stato più faticoso ed era tosto, dal momento che non sapevo recitare”.

Lei fu indicato in seguito come l’interprete protagonista del film di Bertolucci ‘Prima della rivoluzione’. Per quali motivazioni il regista ha scelto lei? Com’era il rapporto dentro e fuori dal set?

“Anche lì ero assistente volontario. Dopo mesi di ricerca per fare la parte di Fabrizio erano spariti tutti. Una sera a Parma, dopo mesi, Bernardo è tornato a casa mia e mi fece leggere una poesia di Pasolini, ed il giorno dopo ero a Roma a fare il provino. E facemmo il film. E così Bernardo mi ha condannato ad avere vent’anni per l’eternità (ride). Io e Bernardo ci conosciamo fin da bambini. Abbiamo fatto il piccolo teatro nel cinema dei preti in borgo Guazzo. Quando ho fatto il film io amavo già il cinema. E quindi nel rapporto con Bernardo tutto ciò che riguardava il cinema era normale, non so come spiegarmi, mentre durante la recitazione era diverso. Quando il film fu finito Bernardo mi disse: ‘Adesso tu sei pronto a fare il film’. E in parte aveva ragione, poi non ho più fatto film”.

Successivamente lei ha deciso di intraprendere la strada della regia e della sceneggiatura. Cosa le ha spinto ad andare ‘dall’altra parte’ della cinepresa?

“Io volevo fare il regista e l’ho fatto; malamente, ma l’ho fatto. L’ho sempre avuto in mente. Dopo il film di Bernardo mi hanno offerto svariati film, ho fatto provini insomma, roba grossa, ma poi scappavo dal successo. Io volevo fare il regista. La mia passione è sempre esistita: il fatto che il pubblico si siede e guarda il film che tu racconti, una storia tua, non è così complicato e neanche semplice. Perché tu non è che sai, tu sei. Se sei, fai“.

Oltre a dirigere film, lei si è prevalentemente occupato di realizzare documentari e cortometraggi che mostrano la città di Parma e la sua cultura, la sua storia, i suoi paesaggi naturalistici, i suoi più illustri rappresentanti. Perché ha scelto di rendere visibile questo rapporto con la sua città?

“Succede così: nasci in una città e rimane la tua. Io con Parma ho avuto un rapporto che, vuoi per un periodo in cui non ci sono più venuto, poi forse in vecchiaia ci si rimbambisce un po’ ma non per nostalgia, mi ha portato a lasciare dei documenti. Più che altro non è Parma in sé, è che io conosco la mia terra: io vengo dalla Bassa, ed è la nebbia che ti fa diventar scrittore. Con la nebbia tu inventi… chissà cosa c’è là dietro. E allora io sono di Parma e della Bassa, cosa a cui ci tengo molto perché un po’ la mia follia viene da lì! Purtroppo essendo vecchi il racconto è sempre del passato, che era tutto meraviglioso e oggi è una m…. Questo viene fuori di continuo. E non è colpa mia, non lo faccio io, viene da solo“.

Passiamo all’attualità. Il film ‘Poltrone rosse’ è stato presentato al Festival di Venezia, motivo di orgoglio per lei e la città. Quale immagine pensa di aver fornito al mondo della città di Parma e del suo rapporto con il cinema?

“Questa è una città molto strana. Ho un rapporto con il pubblico che è non male, però è una città strana, una città dove tu fai una cose e pensi di… Ma non gliene frega niente a nessuno. Loro sanno che io non scherzo, io faccio. Poi però finisce lì, muore lì, nessuno mi chiede, nessuno mi dice. Insomma: sono stato a Venezia, ho vinto un premio, lo hanno visto in tutto il mondo, lo abbiamo proiettato da tutte le parti. Quindi penso di aver fornito un messaggio molto serio. Il cinema non è uno scherzo”.

In occasione del Festival di Verdi lei presenterà ‘Il Regio nel Paese del melodramma’, in cui “racconta cosa il Teatro, la sua tradizione e il suo intenso rapporto col pubblico rappresentano per Parma e per l’Italia”. Cosa è stato decisivo nella scelta della realizzazione di questo documentario?

“Sono anni che pensavo di fare il Teatro Regio, in realtà è il lavoro più complicato che abbia mai fatto. Fare un documentario è una cosa bellissima. Questo documentario è un affresco, mi sono reso conto ieri che l’ho montato come un affresco gigantesco. Se lo faccio per ‘Geo&Geo’ faccio solo natura e invento un film nella natura. Qua è la lirica, ma il fulcro è comunque intorno al Regio perché oggi non si ricorda niente nessuno tranne qualche vecchio, però i giovani non sanno niente. Non vanno di certo in coda 36 ore per prendere un biglietto come facevano allora con mezzo metro di neve. E allora ho raccontato questo mondo che non c’è più, con delle opere bellissime, saltando da ieri a oggi, e da oggi a ieri, con un grido d’allarme e aiuto. Ho inventato un marchingegno con cui non disturbo nessuno ma io grido. E grido aiuto. Perché ormai è un problema che c’è ovunque nel mondo dell’arte”.

Molti sanno della sua passione per la pittura. Data la sua provenienza artistica in famiglia, da dove nasce questa sua passione?

“Io nasco pittore, sono pittore tutt’ora e da sempre, però mi piaceva il cinema per dispetto a chi mi voleva solo come pittore. E’ una cosa innata. A 8 anni in terza elementare vincevo già i premi; i miei compagni disegnavano Topolino e Paperino e ricopiavano quelli, io facevo il negozio del macellaio con tutti i personaggi che guardavano fuori dalla vetrina. Già disegnavo. Posso dire che è la pittura che ha scelto me e non io che ho scelto la pittura. Tu non sei Paganini, ma sei nato Paganini. Poi lui ha studiato ma il talento vero c’era già. Per questo ho fatto l’Accademia delle belle arti con mio nonno come professore”.

Infine, le domandiamo un’opinione. Data la sua storia cinematografica, cosa ritiene di consigliare a chi vuole intraprendere una carriera nel mondo del cinema?

“Mio figlio, che ha 30 anni ed è un cantante rap ma adesso fa il cuoco, diceva sempre: ‘Tu papà la devi piantare di parlare di te in rapporto agli anni ’50, perché tu hai visto una vita pazzesca, voi avevate le macerie vere della guerra e un futuro davanti‘. Quando ha detto così mi sono rivisto con gli amici che compravamo i dischi jazz e ci vestivamo come gli americani ed eravamo scatenati. Ma mio figlio poi dice: ‘Oggi noi abbiamo delle macerie finte, senza futuro’. È una cosa che mi ha molto colpito. Ma in realtà è vero. Questi giovani, non che io ce l’abbia con loro, secondo me non si preparano. Per esempio scopro che i film che conoscono sono tutti da Tarantino in su, ma ci sono film che non puoi non aver visto. Un capolavoro è un capolavoro, anche se in bianco e nero. Questo è un problema. Noi stiamo aprendo una scuola al posto del cinema Edison, una scuola di documentaristica internazionale. Mi piacerebbe trasmettere ai ragazzi come si fa. Il capire cosa stai facendo, pensare al pubblico, di non annoiarlo, di dargli un colpo di frusta, svegliarlo… sono tecniche che i giovani non conoscono. E che io conoscevo invece, vedendo film su film. E poi c’è il problema che qui se vuoi fare il regista non te lo fanno fare. È molto complicato, nessuno vuole spendere più niente: questo è il problema vero. È tutto bloccato, c’è solo Sorrentino, e non è giusto. Il futuro non è certo qui in Italia. Io a 20 anni sono andato a vivere a Londra, poi a Venezia, poi in Turchia… io ho fatto un film come attore a 20 anni, e tutta la troupe aveva 20 anni. E sapevamo tutto”.

di Jacopo Orlo e Mariana Guazzi

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