Uscire dalla violenza si può: 221 vittime accolte al centro per le donne
"MI SENTIVO SPORCA, QUASI COLPEVOLE"; IL PERCORSO PER DIRE NO E IL PROGETTO LDV ATTIVO PER GLI AGGRESSORI
“Nessuno è di fronte alle donne più arrogante, aggressivo e sdegnoso dell’uomo malsicuro della propria virilità.” Simone de Beauvoir
Sottrarsi alla violenza si può. Questo è il presupposto del Centro Antiviolenza di Parma. “Un luogo delle donne per le donne – spiega una delle operatrici della struttura sita in vicolo Grossardi, 8 – dove si creano le condizioni per l’autonomia”. Nato nel 1985 e diventato operativo all’inizio degli anni Novanta, si occupa di assistere le donne che subiscono violenza psicologica, fisica e sessuale attraverso il lavoro di operatrici e volontarie che per statuto possono essere solo di sesso femminile.
I NUMERI DELLA VIOLENZA A PARMA – Le donne che fino ad ottobre 2015 hanno contattato il centro, tra Parma e provincia, sono state 238, di cui 221 vittime di violenza. Un numero in aumento rispetto al 2014 che aveva invece registrato 225 casi di donne che si erano rivolte all’associazione. I dati non comprendono tuttavia le minorenni che invece vengono indirizzate ai centri giovanili. La maggior parte delle donne accolte al Centro Antiviolenza ha 40 anni e ha dei figli, lavora ed è economicamente indipendente: è un fattore da tenere presente in quanto proprio l’indipendenza economica, qualora avvertita come minaccia, può essere uno degli elementi di disturbo per l’uomo tanto da innescare un comportamento violento. Anche i dati Istat a livello nazionale dimostrano che, nella maggior parte dei casi, sono donne autonome, che hanno studiato ad essere vittime di violenza. Questo perché, spiega l’operatrice, viene meno “il tradizionale controllo, soprattutto economico, dell’uomo sulla donna, frutto della nostra cultura patriarcale”.
Ma quando si può chiamare violenza? Ci sono più tipi di violenza che si possono esercitare: psicologica, fisica, economica e sessuale. Il primo vede coinvolte molte più donne ma spesso si tratta di una combinazione di tutte le forme. Nella grande maggioranza dei casi a commettere la violenza è il coniuge, un familiare, l’ex compagno o un conoscente. “Non ricordo di aver mai visto donne aggredite o violentate all’esterno di questi contesti che si siano rivolte al centro”, confermano alcune operatrici. Solitamente il ciclo della violenza, non necessariamente fisica, inizia con l’isolamento della donna che si allontana da parenti e amici. S’innesca così un rapporto di dipendenza dal proprio partner. “Nonostante le diverse avvisaglie, è l’episodio di grande violenza fisica che porta le donne al centro. Parma costituisce una realtà violenta per le donne, premettendo che anche un solo caso sarebbe troppo. C’è anche da dire che l’Emilia Romagna è la regione con più centri antiviolenza in Italia, perciò forse è normale che ci siano più denunce e che ci sia una maggior consapevolezza”. In tutto il territorio, secondo i dati raccolti dal Centro Antiviolenza regionale, nel 2013 sono state accolte 3176 donne, delle quali il 62,9% italiane. Nel 2010 i numeri erano decisamente più bassi: le donne accolte sono state 2591. Tuttavia si tratta di dati non esaustivi rispetto alla realtà nel suo complesso, dato che si basano solo sulle violenze denunciate. Quante donne invece subiscono e non denunciano? E’ un dato che non avremo mai.
“MI SENTIVO SPORCA, QUASI COLPEVOLE PER QUELLO CHE MI ERA SUCCESSO” – Tra le storie taciute per “paura, vergogna”, c’è quella che S. ha vissuto in un’università del nord Italia. Tutto inizia durante una pausa pranzo con il docente che lei ha cominciato a seguire per il tirocinio. A tavola, giocando con il bicchiere di vino, quasi turbato l’uomo le racconta che le cose con la moglie non vanno bene. Tornati in studio, S. comincia a mettere nella borsa i suoi libri e si china su una sedia. E’ luglio, fa molto caldo e lei indossa un vestito bianco, con le spalle larghe, stretto in vita e lungo fino al ginocchio. Sta prendendo l’ultimo libro quando avverte un movimento strano dietro di lei. Si volta. Lui le stava alzando la gonna. S. si scosta e urla. Il docente si avventa su di lei e le mette una mano sulla bocca mentre l’altra sale sotto la gonna. La studentessa tenta di divincolarsi, cerca di togliere quella mano ma lui è troppo forte. “Ho cominciato a piangere presa dal panico. Avevo paura perché sapevo quello che sarebbe successo”. Non smette di lottare ma lui la spinge ancora per farla sdraiare sulla scrivania mentre la mano arriva agli slip e lui sorride. Si guardano negli occhi. “Si è messo a ridere. Sono rimasta ancora più sconvolta, se possibile. Ho sentito la rabbia prendere il posto della paura”. A quel punto S. smette di lottare contro di lui, afferra invece la lampada da tavolo e lo colpisce sul viso, una, due, tre volte. Stordito, lui indietreggia e cade in ginocchio mentre S. corre via. “Non ne ho parlato con nessuno. Mi sentivo sporca, quasi colpevole perché se non avessi messo quel vestito forse a lui non sarebbe mai saltato in mente di fare una cosa del genere. Avevo paura di tornare all’università. Non ci sono più andata da sola. Ogni volta che lo vedevo da lontano mi veniva la nausea. Per anni ho pensato che parte della colpa fosse mia. Lo penso tutt’ora. Provo rabbia nei confronti di me stessa per aver creduto in un essere simile, per avergli permesso di farmi questo”. Perchè allora non denunciare?
“Non potei, sul momento non avevo la forza di ricordare io stessa, figuriamoci dirlo a un carabiniere. Non avevo prove – racconta -. Senza contare che nel mondo dell’università si sente così tante volte di docenti che vanno con le studentesse che avrebbero potuto non credermi”. La violenza, seppur non consumata, resta nella mente. Tornare alla normalità è stato difficile per lei perchè “la violenza sottrae la fiducia nel prossimo, rende insicuri”. Lacera l’anima e può far cadere in un buco nero dal quale non ci si potrebbe rialzare più. La violenza è propria dei vigliacchi.
INIZIARE IL PERCORSO SI PUO’ – Per chi invece decide di denunciare e di rivolgersi al Centro Antiviolenza, inizia un percorso duro e interiore innanzitutto. “Il fatto importante è che sia la donna che subisce che ci contatti – spiega una collaboratrice – perché è segno della presa di coscienza di essere succubi di violenza. Capita che chiamino amici o familiari ma è colei che subisce che deve fare il primo passo”. Dalla telefonata comincia un cammino con colloqui mirati a capire di cosa necessita la donna: consulenza legale, psicologica, lavorativa o una casa rifugio. E’ importante che lei si allontani fin da subito dal compagno violento. Per questo il Centro Antiviolenza, in collaborazione con i Servizi sociali, offre la possibilità di usufruire della casa rifugio, un luogo sicuro e accogliente dove poter scappare dall’inferno domestico. La durata delle permanenza, in accordo con gli assistenti sociali e il gip, può arrivare fino a un anno, in base alla gravità della situazione. Nel 2014 sono state 42 le donne accolte, nel 2013, invece, solo 17. I bambini possono restare con le loro madri fino ai 13 anni mentre le bambine fino ai 18. Di particolare importanza è poi lo sportello lavoro, organizzato in collaborazione con la Regione, perché è proprio attraverso la conquista dell’autonomia economica che le donne possono allontanarsi da compagni violenti. Tuttavia non tutte le donne riescono a terminare il percorso. Spesso capita che dopo la violenza subita il compagno entri nella cosiddetta fase della ‘luna di miele’: si scusa, promette che non lo farà più e torna ad essere amorevole. Ma troppo spesso è un’illusione e nella maggior parte dei casi, in seguito, la donna torna ferita più di prima e disillusa.
Oltre all’assistenza a chi è vittima di violenza, tra le varie attività svolte sul territorio dal Centro Antiviolenza esiste anche un percorso di prevenzione nelle scuole per lavorare con e sulle nuove generazioni il cui scopo è “goccia a goccia, di formare, informare e sensibilizzare”. Anche quest’anno, in occasione del 25 novembre 2015, Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, sono state diverse le iniziative organizzate nel territorio in collaborazione con il centro per sensibilizzare la cittadinanza sul tema: dalla Mostra ‘Non chiamatelo raptus’ della vignettista Stefania Spanò, in arte Anarikakka, alla rappresentazione teatrale ‘I monologhi della vagina’ di Eve Ensler, messa in scena il 28 novembre al Teatro comunale di Felino.
LDV, OVVERO ‘LIBERIAMOCI DALLA VIOLENZA’ – A fronte però di un fenomeno che negli ultimi anni emerge sempre più spesso tra le cronache giornaliere, aumentano anche le iniziative di contrasto messe in campo. Tra queste c’è un progetto sperimentale per l’eliminazione della violenza sulle donne nato nel 2009 nella Regione Emilia Romagna. “Una vera e propria sfida”, la definisce la dottoressa Carla Verrotti, che ha lo scopo di offrire un percorso di cambiamento per gli uomini che hanno comportamenti violenti. Il nome del progetto è Ldv, ‘Liberiamoci dalla violenza’, arrivato all’Ausl di Parma nel dicembre 2011. Il Centro Ldv opera presso la Casa della Salute e si basa sull’adesione volontaria dell’uomo. Una volta verificata, a seguito di un colloquio, la reale motivazione dell’utente, è possibile iniziare il percorso di cambiamento. Durante questa prima fase la compagna dell’uomo che si è rivolto al Centro Ldv viene contattata e informata anche dei servizi di cui lei può usufruire. Ha inizio così la terapia individuale, della durata di circa un anno, o di gruppo, più breve. Il trattamento, come spiega la dottoressa Verrotti, prevede 4 fasi: la prima è incentrata sul riconoscimento della propria violenza, la seconda prevede la piena assunzione di responsabilità da parte dell’utente della violenza messa in atto. Il fine della terza fase, invece, è quello di riflettere sul legame tra la propria storia personale e i comportamenti violenti mentre la quarta fase è incentrata sugli effetti e le conseguenze della violenza. L’uomo è chiamato ad assumere il punto di vista della vittima “cogliere paura e dolore di chi subisce la violenza, direttamente o assistendovi”. Al termine del percorso c’è il ‘follow up’ per verificare, attraverso la doppia testimonianza dell’utente e della compagna, che non ci siano recidive. Il progetto portato avanti dagli operatori del Centro Ldv, innovativo nel territorio di Parma e provincia, affronta la questione da un punto di vista nuovo: “E’ necessario – sottolinea Verrotti – che il mondo maschile inizi a riflettere sulla violenza di genere e sulle ragioni profonde che spingono un uomo ad avere comportamenti violenti in una relazione di coppia”. Perché “la violenza sulle donne riguarda anche gli uomini“.
di Marta Costantini e Silvia Moranduzzo
Salve, avrei bisogno di sapere la foto dove è stata presa?
Saluti