Giocando si impara? Videogames, tra dipendenza e utilizzi educativi
PER GLI ESPERTI LA CONSOLLE PUO' ESSERE ANCHE EDUCATIVA, MA OCCHIO AL RISCHIO ISOLAMENTO
Nel corso dei secoli tutte le innovazioni in campo tecnologico hanno attraversato una ‘fase di demonizzazione‘. Nel 1895, i fratelli Lumière inventarono il cinematografo, da cui ebbe origine il cinema, ma l’integrazione di questo strumento nella società di allora fu tutt’altro che una passeggiata. Stessa cosa accadde per la televisione, inventata a cavallo tra gli anni ’20 e ’30 del Novecento, che dovette attendere quasi un quindicennio per diffondersi pienamente. Adesso la storia si ripete e al centro del dibattito ci sono i videogiochi, settore dell’intrattenimento che in questi ultimi anni, nonostante la crisi, è cresciuto in maniera esponenziale. Ed è proprio questo il motivo per cui solamente adesso ci si comincia a fare delle domande al riguardo.
IL PARERE DELL’ESPERTA – È possibile che i videogiochi possano essere di utilità per l’insegnamento? Secondo Roberta Graiani, psicologa e psicoterapeuta dell’età evolutiva, non solo è possibile ma già avviene nella realtà. “Esistono dei materiali estremamente semplici che possono essere usati per l’apprendimento della grammatica e della storia, suddivisi per la difficoltà e la fascia d’eta, che prevedono uno spettatore passivo oppure più interattivo”. Questa tipologia di videogiochi viene utilizzata particolarmente nei casi di disturbi dell’apprendimento, dove i modi per conoscere sono differenti. Secondo Graiani i videogiochi sono anche efficaci da un punto di vista cognitivo: “Si è notato che tramite il canale percettivo-visivo è più facile apprendere, come per un film“. Infatti la maggior parte dei giochi virtuali sono dei problem solving, i quali attivano cognitivamente funzioni di analisi, discriminazione, strategia, riflessione. Lo stesso discorso può valere anche nel caso di titoli creati appositamente per divertire l’utente con le dovute precisazioni, dal momento che questi ultimi sono arricchiti di elementi di violenza.
“Chi l’ha detto che non si può imparare giocando? -dice la psicologa citando Rodari-. Apprendere tramite videogiochi è molto più facile e divertente rispetto alla lezione o alla lettura, sopratutto nei casi di disturbi dell’apprendimento (Dsa). La violenza non deve essere, comunque, la modalità esclusiva di apprendimento, anche in ottica proprio dell’insegnamento. Infatti spesso in quella categoria si attiva anche una parte emotiva e, dal momento che stiamo parlando di una realtà virtuale, i ragazzi possono confondere la realtà col gioco, di chiudersi nelle relazioni“. Con il pericolo di perdere la dimensione autentica dei rapporti. Infatti l’esperta sostiene che le principali patologie derivino da una mancanza di attenzione da parte del genitore, ma anche dall’assenza di una rete sociale che fino a qualche tempo fa era presente. “I ragazzi sono soli. In casa i compagni sono la tv, Whatsapp e appunto i videogiochi. Di base c’è una fragilità del soggetto. Se uno è felice, non passa giornate davanti ad una tv. C’è solitudine, frustrazione, tristezza che trovano soluzione se non davanti allo schermo televisivo. Soluzioni alla dipendenza? Parlarne per uscire dal guscio. Esistono psicoterapie ad hoc per queste problematiche” aggiune Graiani, la quale ritiene che la prospettiva dell’apprendimento tramite i videogames sia una nuova frontiera dell’insegnamento e quindi avrà uno sviluppo importante, nonostante vi siano stati dei rapidi cambiamenti e dunque non si conoscano chiaramente i possibili rischi ma anche potenzialità nascoste.
USARE IL SENSO CRITICO – Emanuele Cabrini, responsabile del progetto ‘GameSearch.it‘, sito italiano di critica videoludica, è sulla stessa linea d’onda di pensiero sull’utilizzo dei giochi virtuali per trasmettere contenuti. “E’ difficile identificare un genere specifico con una maggiore funzione educativa. Negli anni ho notato che può essere il modo in cui li si utilizza a fare la differenza. Se però dovessi scegliere, direi videogame che, in generale, hanno una forte componente narrativa, quindi avventure o giochi di ruolo“. In alcune occasioni, espone Cabrini, questi sono già utilizzati anche nelle scuole all’estero, mentre in Italia i videogames faticano ad essere accettati come strumento serio di educazione, in quanto ci si scontra con una mentalità ancora chiusa dell’insegnamento frontale. A questa visione si aggiungono le difficoltà nell’intraprendere un nuovo progetto con le importanti novità che ne conseguono e che non tutti sono disposti a compiere. Per portare quindi un gioco a scuola o nelle biblioteche, sebbene esistano tipi specifici pensati per partite brevi ed intuitive con l’intento di insegnare o trasmettere informazioni in modo divertente, veloce e chiaro (come i serious game e gli applied game), “in alcuni casi si può sfruttare un videogame ‘commerciale’. Come Assassin’s Creed –continua il critico- dove in ogni caso vi deve essere il ‘docente’ a conoscere bene il gioco e ad estrapolarne alcuni momenti che possono tornare utili per trasmettere qualcosa, sia nozioni che emozioni”. Lo stesso Cabrini ha già realizzato alcuni laboratori di lezione con l’ausilio di titoli creati appositamente per l’intrattenimento e ad alto contenuto di violenza. Pur ribadendo chiaramente il concetto che non bisogna sempre esagerare, soprattutto riguardo alla responsabilità della persona di poter selezionare e presentare gli elementi principali per l’apprendimento. Diventa quindi lecito domandarsi se allora i videogiochi plasmino la mente dei soggetti, creando comportamenti devianti a livello relazionale, come ha avvertito precedentemente la psicologa. “Onestamente è facile accusarli di deviare la mente delle persone, ma i videogame non sono la soluzione dei nostri problemi, ma non sono neanche la causa. Io sono convinto che quando certe persone compiono azioni molto gravi, è perché queste persone hanno delle mancanze ben più gravi che provengono, in molti casi, da dentro le mura di casa. Credo che la violenza, la deviazione, sia sintomo della mancanza di amore. Ma qui potremmo aprire un capitolo lunghissimo” conclude il responsabile della redazione online.
COSA NE PENSANO I GIOVANI – Rispetto a quanto emerge da alcune domande poste agli studenti in età compresa tra i 18 e i 30 anni, in realtà, il fenomeno ‘videogiochi’ non ha un grande riscontro, come contrariamente accade in molti altri Paesi. La maggior parte infatti dichiara di dedicare davvero poco tempo ad attività di stampo videoludico. Quello che è interessante, invece, è che il numero di maschi e femmine che manifestano una certa sensibilità rispetto all’argomento è quasi alla pari (51% i primi, contro 49%). Sfatato quindi il mito che il videogioco sia un qualcosa che riguardi solamente gli uomini. Rispetto al fatto di ritenere i giochi, educativi o meno nessuno se la sente di prendere una posizione netta. Chi crede che lo siano ‘poco‘ generalmente dichiara di preferire giochi sportivi e di azione, chi invece ritiene che i videogiochi siano ‘abbastanza‘ educativi tende più verso i giochi di ruolo e le avventure, segno che il coinvolgimento emotivo dato dalla presenza di una trama strutturata ha il suo peso. C’è molto più scetticismo invece sull’utilizzo dei videogiochi nell’apprendimento scolastico. La maggior parte si dichiara non proprio sicura che possa trattarsi di qualcosa di positivo. Discorso che va legato all’altro elemento che emerge dagli intervistati: in linea di massima sono tutti d’accordo nel riconoscere che i videogiochi possano portare a forme di dipendenza. Nonostante tutto, ciò non porterebbe per forza alla solitudine e all’isolamento. La gran parte degli studenti dichiara infatti di non sapere se ci sia davvero un nesso tra le due cose, anche se alcuni riconoscono che possano comunque verificarsi dei casi.
DALL’ALTRA PARTE DELLA BARRICATA – Qual è invece il punto di vista sulla faccenda di chi si occupa di vendere proprio i videogiochi? Secondo Giulia, commessa del Gamestop al Barilla Center, “la tendenza che viene riscontrata è prevalentemente di marketing. Quando il cliente entra in negozio si dirige nel settore Playstation ed Xbox, che si occupano maggiormente di proporre giochi d’intrattenimento basati sulla violenza”. Nonostante ciò esistono dei giochi che possiedono un’impostazione tendente all’apprendimento di contenuti. L’esempio principale è la Nintendo, che solitamente propone titoli rivolti alle fasce più piccole dell’utenza complessiva, a basso contenuto di violenza. Inoltre, sostiene Giulia, “c’è anche un ritorno del gioco in senso ‘fisico’, non solamente virtuale, come Skylander, dove il giocatore intraprende un’avventura online ma che può continuare anche fuori dallo schermo”. Comunque sia, “nell’ottica commerciale la casa nipponica non è ritenuta tra le più importanti -continua la ragazza- in quanto i giovani giocatori sono più attratti da quella tipologia di videogiochi che offrono sul mercato. Basti pensare che ci sono bambini di 7 anni che chiedono ai genitori di comprare GTA 5″.
di Luca Mautone e Jacopo Orlo
I videogiochi non sono realmente un problema, qualunque eccesso non è mai salutare. Da patito dei videogiochi ,a differenza di molti miei amici, ho notato una netta differenza di abilità e apprendimento tra me e loro.
Se iniziavamo assieme un nuovo sport o gioco di abilità riuscivo sempre a capire le meccaniche prima degli altri.
GTA non si deve considerare come un mostro, i bambini riescono a riconoscere la differenza realtà e finzione