Elogio dell’odio

LA RECENSIONE DI "THE HATEFUL EIGHT"

hateful_eight_payoff_final_jpg_1003x0_crop_q85Prendiamo otto sconosciuti, mettiamoli in una stanza, e vediamo che succede. L’idea è tremendamente semplice quanto devastante. Aggiungete un clima western – thriller, attori fenomenali e Tarantino, e il risultato è The Hateful Eight. Un film che porta una boccata d’aria fresca in una Hollywood povera di idee e di novità. Non solo per un soggetto così originale, ma perché dimostra come il cinema è anche arte. E l’arte ed il genio, se uniti assieme, creano capolavori assoluti.

Ma l’elogio della bellezza si tramuta fin da subito in un elogio dell’odio. Il film infatti non mostra una storia edulcorata, non ha intenzione di creare pietismi o affezione per il villan di turno. Ciascuno di quegli otto personaggi è un malvagio. E come tali essi si comportano.
Ciò che la pellicola rappresenta è un ritratto di un’umanità che fa dell’odio non il fine, bensì il mezzo per un proprio tornaconto personale.
Ancora una volta, Tarantino dimostra di essere “regista”; ovvero dirigere mirabilmente immagini, suoni, parole all’interno di uno spazio ridotto. Ma soprattutto nel manovrare e dipingere sapientemente con la sanguinella ciascuno degli otto brutali personaggi senza che nessuno rimanga ai margini. Senza che nessuno possa esimersi dalle proprie scelte e responsabilità a cui è chiamato a risponderne. Senza che alcuno possa redimersi.

Ma in questo tormentato contrasto tra la bellezza del cinema e la violenza della storia, ecco il colpo di genio: non esiste una morale. Non ci sono eroi che rimedieranno al male del mondo, sconfiggeranno i cattivi e saliranno ai gloriosi altari della memoria degli spettatori. Non esiste un lieto fine. Non bisogna trovare una lettura ideologica, se vi dev’essere, nelle azioni degli individui riuniti sotto quel medesimo tetto. Esiste solo la realtà. E la realtà è questa: un boia che fa la predica su cos’è la giustizia, un innocente che pur di rimanere vivo accetta l’ordine del sistema, uno sceriffo che si vende al migliore offerente. La divisione dell’angusta locanda tra Nord e Sud, eccetto la tavola da pranzo dove consumare l’ennesima ipocrisia. In definitiva, non si salva nessuno. Perché tramite allegorie e dialoghi intriganti, taglienti e dissacranti, il film è un’irriverenza continua alla tragedia che si sta consumando nella nostra società. Al regista infatti non interessa essere nichilista o dire la sua sul mondo. A lui importa divertirsi con la cruda e disumana realtà.

In sostanza, il film è riuscito a donare a ciascun personaggio un tratteggio sfuggente ma unico, ed esaltare il potere delle parole, spesso sottovalutato. Tarantino è un raccontastorie. Un raccontastorie pop che porta sulla scena il dramma dell’umanità di oggi.

di Jacopo Orlo

(Recensione è tratta dal sito https://wootmockmovie.wordpress.com/)

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