“Fondi alla ricerca azzerati? E io non presento i miei lavori”: il matematico Mingione boicotta la valutazione Vqr

PROFESSORE E RICERCATORE TRA I PIU' CITATI AL MONDO, IN PROTESTA CONTRO RETTORI E POLITICA

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Classe 1972,  vincitore di diversi premi nazionali e internazionali tra cui Premio Caccioppoli nel 2010, European Research Council Award nel 2007, Medaglia Stampacchia nel 2006, ricercatore tra i più citati al mondoGiuseppe Mingione è il professore ordinario di Analisi matematica dell’Università di Parma che ha deciso di boicottare la Vqr, il sistema di valutazione della qualità della ricerca universitaria, non presentando i prodotti della sua ricerca. Una protesta quasi per principio, quella condotta dal matematico casertano, per portare avanti una battaglia volta a migliorare le opportunità di lavoro dei giovani ricercatori in Italia.

 

Il problema ricerca-fondi è tra i più dibattuti ma lei recentemente ha messo in evidenza un altro aspetto: quello dalla VQR (Valutazione della Qualità della Ricerca). Quali sono i limiti di questo sistema di valutazione? E nel campo specifico degli studi matematici?

“Questo sistema è stato originariamente concepito con l’intento di evidenziare le persone che da tempo non producono pubblicazioni scientifiche. Prevede quindi un meccanismo di valutazione col quale si richiede di presentare a tutti lo stesso numero di pubblicazioni ogni quattro anni; in questo caso, due. Ciò a mio parere non permette di misurare in modo efficiente la produttività di un dipartimento, perché non tiene evidentemente conto della reale produzione complessiva, ma di quella media. Si tratta di un punto principale. Altri punti problematici sono ravvisabili nel fatto che la VQR analizza solo quello che si è prodotto nei quattro anni precedenti. Per alcuni settori come il mio questo appare essere un arco temporale troppo breve, specialmente se, come adesso, si usano meccanismi bibliometrici per valutare. Gli effetti dell’impatto di una pubblicazione possono cominciare infatti a manifestarsi solo dopo un certo numero di anni da quando è apparsa. Non solo: in alcuni settori si produce tantissimo in termini quantitativi e due lavori ciascuno possono essere poco. Di contro, in altri si produce di meno e si punta di più alla qualità della singola pubblicazione e due lavori costituiscono già un numero significativo ai fini dell’analisi. In altre parole, settori di ricerca diversissimi vengono trattati allo stesso modo, senza quindi una necessaria rinormalizzazione. Questo costituisce una evidente distorsione. Infine con la VQR viene premiata l’intera università e non i singoli dipartimenti. Ciò non è in armonia con l’attuale struttura del sistema universitario italiano, costituito da eccellenze distribuite a “macchia di leopardo”. Alcune università affondano anche se hanno buoni dipartimenti e mentre altre ascendono anche se hanno pessimi dipartimenti. Uno spreco che possiamo difficilmente permetterci.”

Cosa si potrebbe fare per migliorare l’attuale sistema di valutazione della ricerca universitaria?

“Sarebbe necessaria una differenziazione di criteri a seconda del settore. Inoltre, nel momento in cui si valuta un dipartimento, non si dovrebbero chiedere due pubblicazioni ad ogni afferente, ma un numero totale di pubblicazioni proporzionale al numero di afferenti. Rimarrebbe poi al dipartimento il compito di ottimizzare la scelta per massimizzare la valutazione e di creare poi una propria politica premiale interna di incentivi. Cosa che, tra l’altro, mi rendo conto essere di non facile implementazione, conoscendo la naturale ritrosia alla premialità diffusa nell’università odierna.”

Perché boicottare la VQR per protesta e non scegliere altri canali?

“Perché mi pare sia al momento l’unico mezzo con cui si possa fare pressione per chiedere di rettificare alcune situazioni oggettivamente scandalose.  Tra esse la cancellazione di cinque anni di anzianità maturata per il personale universitario e la quantità ridicolmente esigua di finanziamenti alla ricerca di base. Per quanto riguarda il primo aspetto, si tratta di una operazione che non trova giustificazione alcuna, né alcun termine di paragone nazionale o internazionale. In essa si scorge tutto il naturale disprezzo che una certa classe politica ha sviluppato nei confronti dell’accademia. Un odio che andrebbe indagato forse con metodi psicanalitici, alla luce del fatto che al giorno d’oggi un significativo numero di politici non sembra avere un elevatissimo grado di istruzione. Per quanto riguarda i fondi, quelli alla ricerca di base sono stati letteralmente azzerati negli ultimi anni. Chiedere di valutare il lavoro delle persone dopo che non si è fornito loro alcuno strumento per lavorare appare un’operazione di scarsa credibilità. Vale anche la pena di ricordare che lo sciopero classico come mezzo di pressione non è un’opzione. Il personale universitario non ha orario fisso di lavoro e uno sciopero passerebbe letteralmente inosservato.”

Come la sta portando avanti?

“In un certo senso non la sto portando avanti. Semplicemente non ho presentato i lavori. Mi sono limitato a fare questo. E questo basta.”

La sua è una protesta che in qualche modo invita alla disobbedienza civile. A suo avviso può migliorare il sistema dei finanziamenti della ricerca?

“Spero serva a qualcosa e spero soprattutto serva a convincere i rettori, negli ultimi anni colpevolmente inerti dinanzi alle devastazioni operate sul sistema universitario dai vari governi, a scendere in campo sul serio e non solo a parole. Un aspetto interessante è che anche una scarsa adesione alla protesta avrà notevoli effetti poiché porterà a falsare le classifiche finali stilate con la VQR. In esse, infatti, tutto si gioca su uno scarto di pochi punti percentuali.

Lei è un professore pluripremiato e tra i più citati a livello internazionale. Come viene valutato all’interno dell’Università di Parma?

“Non bene, secondo i particolari meccanismi interni di valutazione ideati dall’attuale governance dell’Ateneo. Ma non me ne curo più di tanto, il mio sguardo è principalmente rivolto al resto del mondo, dove le regole sono assai diverse. Il problema mi sembra più di chi certe regole le ha concepite e approvate, non mio.”

 

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