No-Triv Vs Ottimisti: un referendum per il futuro, prossimo o lontano

IL 17 APRILE VOTO PER FERMARE LE TRIVELLAZIONI NELLE COSTE ITALIANE: RISCHI, POSIZIONI E RESPONSABILITA'

trivelleIl 17 aprile si voterà per un referendum abrogativo riguardo alla legge che regola le trivellazioni entro le 12 miglia marine dalle coste italiane. L’iniziativa per la prima volta non è stata promossa direttamente dai cittadini, piuttosto dalle Regioni, nove in particolare (Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Veneto), che si sono fatte carico di un lavoro iniziato dall’associazione Possibile già nel 2015. Con questo voto si chiede agli italiani di cancellare un articolo del codice dell’ambiente che permette una proroga agli impianti delle società petrolifere già in opera vicino alla costa per continuare l’estrazione di metano oltre la scadenza delle concessioni. Se il voto passasse, ottenendo il quorum con più del 50% dei ‘sì’, nel giro di qualche anno le operazioni dovranno essere sospese, in caso contrario proseguiranno verosimilmente fino all’esaurimento dei giacimenti. La questione ambientale cui sono chiamati ad esprimersi gli italiani è dibattuta anche oltreoceano. In questi stessi giorni infatti negli Stati Uniti il presidente Obama sembrerebbe aver deciso di ritirare un piano di espansione per le piattaforme off-shore nell’Oceano Atlatico.

FAVOREVOLI E CONTRARI – Sul cosiddetto ‘referendum trivelle’ le posizioni sono contrastanti: da una parte si schiera il comitato ‘Vota sì per fermare le trivelle‘ appoggiato dalle maggiori associazioni ambientaliste italiane e da diverse Regioni, dall’altro gli ‘Ottimisti e Razionali‘, comitato presentato pochi giorni fa a Roma e sostenuto da una parte del Governo. Per la parte politica i vertici del Partito Democratico negli ultimi giorni si sono espressi  per l’astensione, con l’ennesima spaccatura interna. Il fronte dei partiti che propendono per il sì è invece molto ampio: sono diverse le formazioni di sinistra, tra cui Sel, Possibile e L’Altra Europa con Tzipras, mentre a destra spicca la Lega Nord. Della stessa opinione il Movimento 5 Stelle e, ovviamente, la Federazione dei Verdi. Forza Italia e Fratelli d’Italia mantengono invece una posizione più neutrale, temporeggiando prima di schierarsi apertamente, anche se a livello delle Regioni più coinvolte sembrerebbe propendere per il sì.

DATI ALLA MANO – Ma di che mole di estrazioni si tratta e che impatto hanno sul fabbisogno generale? A fornire qualche dato è Renzo Valloni, professore di Geologia applicata e Valutazione dell’impatto ambientale del Dipartimento di Ingegneria Civile, dell’Ambiente, del Territorio e Architettura dell’Università di Parma. “Arrotondando, possiamo considerare che la produzione di idrocarburi sul territorio nazionale soddisfi il 10% del fabbisogno del Paese. Si tratta principalmente di gas metano che dalle piattaforme in Adriatico viene fornito in quantità pari al 60-70 % di tutto il gas estratto in Italia.
Il referendum influenzerà il destino di 64 piattaforme, la cui attività altrimenti avrebbe proseguito fino all’esaurimento dei giacimenti, al ritmo di estrazione attuale stimato, secondo alcune fonti, intorno al 2050. Un altro dato da sottolineare è che la gran parte delle piattaforme estrae metano, non petrolio, decisamente più pericoloso del primo. Proprio a quest’ultimo fanno riferimento molte delle campagne No-Triv. Eppure “non dobbiamo lasciarci coinvolgere nel contraddittorio spicciolo sul carattere innocuo o pericoloso delle attività estrattive”, sottolinea ancora il prof. Valloni. “L’approvazione di queste norme che proiettano in avanti la produzione di combustibili fossili cade nel momento sbagliato, è altamente contraddittoria. Il Paese si sottrae all’urgenza di combattere il cambiamento climatico e di riconvertire la politica energetica nazionale verso le fonti rinnovabili. In questo senso per il bene generale, nostro e delle future generazioni, è utile votare si.”

smoke-258786_1920LE RAGIONI A CONFRONTO – “Se la maggioranza degli italiani voterà sì, il Governo dovrà tener conto del fatto che il Paese vuole che venga rivista profondamente la Strategia Energetica Nazionale che fissa nel raddoppio della produzione nazionale di gas e petrolio uno dei suoi principali obiettivi.” Questa è la posizione del coordinamento No-Triv, che sottolinea come lo schieramento contro il referendum faccia leva sulla questione occupazionale quando in realtà “le attività estrattive già esistenti entro le 12 miglia non cesserebbero di colpo: avrebbero a disposizione, grazie al meccanismo delle proroghe, mediamente 5/6 anni (in qualche caso anche quasi 11) prima di dover avviare la fase di messa in sicurezza e di ripristino.” Di contro il comitato pone l’accento sulla crisi del settore petrolifero già in corso anche “per effetto della migliorata efficienza del sistema Paese.” “Dire che non c’è lavoro per colpa del Referendum –  contrattacca il comitato – è il modo più comodo per nascondere responsabilità che sono principalmente degli ultimi Governi”. L’alternativa proposta è invece “sfidare il futuro innovando”. “In Italia esistono ampi margini di incremento per la produzione di energia da fonte solare, eolica, ecc. soprattutto incoraggiando la generazione elettrica diffusa. L’Italia è il Paese del sole e del mare, non del petrolio“. Della stessa posizione sul fattore occupazionale il professor Valloni: “E’ chiaramente dimostrato che una convinta politica in favore delle rinnovabili crea crescita economica con posti di lavoro a tassi incomparabilmente più alti di quelli creati dal mondo degli idrocarburi.”

Sul versante contrario il comitato ‘Ottimisti e Razionali’, secondo cui bisognerebbe votare no al referendum in quanto ingannevole e dannoso. “E’ ingannevole – ha spiegato Gianfranco Borghini durante la presentazione  – perché i promotori vogliono far credere agli italiani che con il referendum si dirà no a nuove trivellazioni entro le 12 miglia; e questo proprio a breve distanza dalla decisione del Parlamento di approvare una legge che espressamente le vieta.” Il risultato di questo referendum, continua “è anche dannoso. Il vero obiettivo dei suoi promotori non è impedire le trivellazioni, che comunque sarebbero vietate, ma è quello di bloccare le piattaforme che già esistono e che da anni riforniscono, in tutta sicurezza e senza danneggiare nessuno, una parte significativa del gas che serve al Paese.”

La faccenda infatti inizia ad intorpidirsi se pensiamo alle conseguenze della cessazione delle attività estrattive nel Mediterraneo, fine ultimo di questo primo referendum. In un suo articolo Marco Cattaneo evidenzia che Matteo Renzi assieme ai dirigenti del gruppo Eni si sono recati in Mozambico, nell’estate del 2014, per decidere di un investimento di diversi miliardi di euro per l’estrazione di 2400 miliardi di metri cubi di gas. Quindi l’Italia molto probabilmente trivellerà il canale di Mozambico e spedirà le proprie navi ai rigassificatori sulle proprie coste. Le probabilità di un referendum in quella nazione? Praticamente nulla, considerando che i mozambicani si spostano prevalentemente a piedi, il riscaldamento non serve e sopravvivono con un reddito medio di 1,60 dollari al giorno. Ed è proprio questo il punto, perché non si può far finta che gas e petrolio non abbiano portato alcuni benefici, anzi, se ora abbiamo le conoscenze e la lungimiranza per riconoscere i nostri errori, lo dobbiamo anche ai combustibili fossili. Tra le due possibilità, se estrarlo qui in Italia o lì in Mozambico, chiunque tenterebbe la strada del ‘meglio non estrarlo’, ma quanti sono disposti a rinunciarci?


MASSIMA RESPONSABILITÀ
– Il tutto si riduce alla fatidica domanda: cosa votare? In questo caso è fondamentale avere ben chiare le conseguenze del proprio voto: che sia esso favorevole o meno, entrambe le posizioni si assumono dei rischi. Da una parte chi voterà no al referendum dovrà piegarsi in un certo senso alle regole di mercato, soppesando l’impatto economico di una eventuale chiusura degli impianti e le relative conseguenze sui poli industriali come quello di Ravenna, sempre consapevole di aver contribuito alla reiterazione di un’economia ancora immatura per guardare alle fonti rinnovabili. Chi voterà sì, d’altro canto, si farà carico di un’enorme responsabilità: il voto è un segnale forte, rivolto al mondo politico ed economico, di rifiuto verso le solite dinamiche di sfruttamento delle risorse naturali, “un voto di speranza per un futuro che non è nostro, ma dei nostri nipoti”. Ma non si può far finta di vivere in un mondo di favole. La filosofia “Not in my backyard” dovrà probabilmente fare i conti con maggiori spese per l’importazione di energia, magari trasportata sotto forma di carburante con petroliere e navi cisterna, con il rischio di aumentare di fatto nel breve periodo l’impatto sull’ambiente. La soluzione? Al di là della casella che si deciderà di sbarrare sulla scheda elettorale, una via per salvaguardare l’ambiente è diminuire i propri consumi di gas e derivati del petrolio. Se ogni persona indirizzata a votare sì il 17 aprile iniziasse nel suo piccolo a limitare lo sfruttamento dalle risorse non rinnovabili risparmiando sul riscaldamento, sulla benzina e sulla plastica, l’impatto andrebbe ben oltre la chiusura di una manciata di piattaforme.

 

di Matteo Buonanno Seves

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