Mediterraneo e Oriente, ‘crollo’ della flotta: a lezione dalla Marina Militare

ACCORDO TRA ATENEO E FORZA ARMATA PER STAGE E SCAMBIO DI CONOSCENZE

IMG_0393Potrebbe suonare strano che un’Università lontana dal mare si interessi a faccende marittime, eppure sono diversi gli ambiti per i quali è importante il documento quadro firmato lo scorso 4 aprile tra l’Ateneo di Parma, rappresentato dal rettore Loris Borghi, e la Marina Militare, impersonata dall’ammiraglio di squadra e comandante delle scuole della Marina Militare, Salvatore Ruzittu. Presenti all’incontro anche la pro rettrice alla Didattica, Maria Cristina Ossiprandi e Laura Pineschi, presidente del Centro Studi in Affari Europei e Internazionali, nonché diversi ufficiali, a ribadire l’interesse delle due identità in una crescita reciproca.
L’accordo, infatti, nasce dalla comune volontà di “apertura verso la società esterna”, sottolinea il rettore, che ribadisce anche il doppio vantaggio della firma che “fa bene sicuramente agli studenti: questo avvicinamento consente loro di vedere il mondo esterno ed è un vantaggio per le aziende del settore, perché esse stesse si mettono in connessione col sapere dell’Università.” Un sapere al quale, prima tra tutti, attingerà la Marina: “Abbiamo una preparazione per gli ufficiali – continua l’ammiraglio Ruzittu – tradizionalmente centrata sugli aspetti tecnologici, militari e dei sistemi d’arma, che via via si è modificata. Ora crediamo di avere la possibilità di allargare a trecentosessanta gradi le nostre conoscenze.”

IMG_0435La prima fase della collaborazione dovrebbe incentrarsi sul corso di laurea in Scienze Politiche e delle relazioni internazionali, e sui due corsi di laurea magistrale in Relazioni internazionali ed europee e Giurisprudenza. In un secondo momento verranno attuati dei progetti formativi per coinvolgere anche il settore dell’ingegneria, dei sistemi, delle tecnologie, senza tralasciare tematiche di natura storica e economica, dando la possibilità agli studenti di accedere a stage e tirocini alla Marina Militare.

IMG_0436LECTIO MAGISTRALIS – Appena dopo la firma dell’accordo, l’ammiraglio Ruzittu, accompagnato dai proff. Laura Pineschi e Alberto Cadoppi, docente di diritto penale, si è spostato nell’Aula dei Filosofi, dove ha tenuto una Lectio Magistralis intitolata ‘La funzione della Marina Militare nell’attuale situazione del Mediterraneo’. “Mentre per millenni e millenni – ha esordito – il mare è stato considerato più che altro una via di comunicazione e di sostentamento, oggi il mare rappresenta un enorme serbatoio di risorse naturali e diventa inevitabile il verificarsi di una collisione di interessi nel suo sfruttamento.” Partendo da questa considerazione, è stato dipinto il quadro attuale della flotta italiana e la sua necessaria evoluzione per rimanere al passo con le Marine delle altre Nazioni, sottolineando come i compiti svolti siano già e saranno i più disparati, dalla protezione di navi mercantili in territorio ostile alle operazione di soccorso come Mare Nostrum.

La situazione nel Mediterraneo, infatti, verte in uno stato di generale instabilità diventando teatro di una conflittualità permanente, con l’espansione dello Stato Islamico e l’incremento dell’attività terroristica tra le sue criticità maggiori. A questa già preoccupante tensione si aggiunge un dato allarmante: “Attualmente solo il 29% del Mediterraneo non è sottoposto a rivendicazione di esclusività.” Conflittualità permanente, appunto.IMG_0443
D’altra parte la Marina è impegnata anche in acque più lontane principalmente con missioni di scorta, scontrandosi con “conflitti asimmetrici, l’impiego di mine e la pirateria nell’oceano Indiano e nel golfo di Guinea”.
Un impegno costante che grava sullo stato attuale della flotta italiana che conta 62 unità tra fregate, cacciatorpediniere e altri mezzi con diverse funzioni, senza dimenticare la portaerei Cavour, ammiraglia della flotta.  Tra qualche decina d’anni, però, questo numero potrebbe assottigliarsi parecchio fino a ridurre la flotta a meno di un terzo nell’arco di quarant’anni, situazione irreversibile, secondo l’ammiraglio, a meno di un programma di aggiornamento ad ampio respiro: “Il conto è molto facile da fare: la vita media utile di una nave da guerra è di venti anni, solo per mantenere la consistenza attuale, cioè sessantadue unità, occorrerebbero più o meno tre navi ogni anno. Attualmente il programma di costruzione approvato dal Parlamento prevede un finanziamento di circa 5,4 miliardi di euro che consentiranno l’ingresso di circa dodici navi in dieci anni. A fronte di questa immissione andranno comunque in disarmo cinquanta navi, la flotta si contrarrà in maniera inaccettabile“. Al momento, almeno sull’aspetto qualitativo, la flotta italiana non ha nulla da invidiare a quelle delle Nazioni più avanzate, anche grazie a una rete di più settori all’avanguardia: “La costruzione di una nave militare, che per definizione è un sistema ad architettura complessa ad elevato contenuto tecnologico, rappresenta la sintesi delle capacità industriali di ogni Paese e comporta quanto di meglio una Nazione può produrre, dalla cantieristica all’elettronica, dall’elettromeccanica all’informatica. Sul futuro di questi settori la Marina esercita una funzione di propulsore e di stimolo per il raggiungimento di traguardi tecnologici sempre più avanzati.”

Conclusa la lezione, l’ammiraglio ha speso qualche parola nel descrivere la presenza della flotta russa nelle acque mediterranee, considerata ciclica e di importanza solo relativa visto che gli obiettivi dello strumento navale russo sarebbero fondamentalmente tre: manifestazione del prestigio internazionale, tutela degli interessi nazionali nella sfera di influenza e il mantenimento della capacità di risposta strategica. Proprio su questa linea già nel 2008 si rilevò un ritorno della flotta Russa nel Mediterraneo e la sua partecipazione a operazioni di contrasto alla pirateria attorno alle coste del Corno d’Africa.
La situazione in Oriente risulta ancora più singolare: il conflitto, per ora ancora ‘semifreddo’, ha come matrice l’accaparramento di alcuni arcipelaghi nel Mari Cinesi Orientale  e Meridionale, e vede protagonisti Cina, Giappone, Corea del Sud e Vietman. La disputa di alcuni isolotti e scogli nasconde il vero obbiettivo: controllare acque strategiche per commerci e rifornimenti energetici che gravitano attorno a quei ristretti lembi di terra, nonché risorse minerarie e ittiche.

 

di Matteo Buonanno Seves

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