‘Io, Robot’: umanoidi e macchine intelligenti all’Università di Parma

RICERCHE SU DRONI E AUTOMI, DALLA ROBOTICA ALLE NEUROSCIENZE

robot nao-h25 notte ricercatori parma 2016All’Università di Parma si vedono cose che noi umani non possiamo immaginare. E al di là della citazione a Blade Runner, nei laboratori dell’Ateneo coi robot non si scherza. Anzi: si pianificano nuovi scenari. Prospettive del futuro, affascinanti e al contempo piene di incognite. Diversi sono infatti i progetti in via sperimentale o già operativi, che vanno dall’uso di droni, sensori e dispositivi per diversi scopi, fino all’interazione con robot umanoidi. Per ora sono importanti implicazioni con precise finalità di ricerca ed utilizzo, ma lo spauracchio di un Terminator sembra proprio non andarsene.

UN ROBOT A NEUROSCIENZE – Uno degli ambiti più inaspettati in cui vengono impiegati i robot è quello del laboratorio di Psicologia Cognitiva, nel seminterrato del plesso di Biotecnologie Integrate. Ad occuparsene è un team composto da una decina di persone, prevalentemente volontari: collaboratori esterni e studenti, in particolare tesisti e tirocinanti di diversi ambiti di studio. In collaborazione con ingegneri dell’informazione, il gruppo di ricerca ha programmato Nao-H25, robot umanoide interattivo in grado di muoversi, riconoscere gli altri, ascoltare e parlare, con una funzione particolare. Il suo impiego consiste nel sostituire alcune azioni dell’operatore umano, simulando e svolgendo movimenti e compiti ripetitivi previsti nella terapia di stimolazione cognitiva, come guidare bambini e anziani nelle tabelline di matematica. Può indicare e realizzare la serie di esercizi da svolgere al paziente affetto da patologie motorie. In altre parole: “Metà del lavoro di una seduta, che prevede il ripetere gesti motori o percorsi, sarebbe compiuto dal Nao -spiega la professoressa Olimpia Pino, psicologa responsabile del gruppo di ricerca attivo
nel laboratorio-, consentendo di risparmiare fondi nell’assegnazione del ruolo agli psicologi”. Fra pochi giorni comincerà la sperimentazione controllata coi primi pazienti, in collaborazione con il Centro di Disturbi Cognitivi dell’Ausl di Parma.

Ma è solo l’inizio. Infatti Nao rappresenta il primo gradino verso obiettivi molto più grandi. La Bci (Brain Computer Interface), tema di studio delle neuroscienze e del gruppo di ricerca di Parma, è il punto di incontro tra cervello e robotica. Lo scopo è quello di creare con il robot una Bci. “Ad esempio -riprende Pino- un soggetto fermo a letto, con gravi disabilità motorie, può indossare una cuffietta che legge i suoi segnali neurali, così da comandare a Nao dove muoversi e cosa fare, secondo le esigenze della persona”. E poi ci sono altre prospettive di utilizzo del robot, come fare di Nao una guida nei musei: vedendo un’opera d’arte, può collegarsi alle banche dati e fornire una spiegazione completa su cosa sta osservando, oppure memorizzare un percorso artistico.

drone rimlab parma GLI ESPERIMENTI DEL RIMLAB DI PARMA – Ma il robottino Nao-H25 e gli sviluppi verso la Bci non sono l’unica cosa che sta realizzando l’Ateneo. I possibili impieghi dei robot sono numerosi e il RIMLab (Robotics and Intelligent Machines Laboratory) sta sperimentando delle applicazioni nei contesti più diversi. Una di queste è il progetto Xdrone, in collaborazione con l’Imem del Cnr di Parma. Esso nasce dalla necessità di “individuare fonti radioattive e rifiuti tossici, provenienti da ospedali, smaltiti in discariche non adatte ad accoglierli, monitorando via aerea le zone circoscritte”, spiega Giorgio Micconi, dottorando del laboratorio in dirittura d’arrivo . Poi c’è anche il progetto Maris, che ha lo scopo di realizzare robot che, in un ambiente sottomarino, siano in grado di identificare, afferrare e rimuovere oggetti, come gli oleodotti dismessi. O ancora, vi è il progetto Aladin, “che si avvale del contributo di droni per monitorare e rendere efficiente la fase di irrigazione dei campi“, spiega invece Dario Lodi Rizzini, docente di Robotica al corso di Ingegneria informatica. La maggior parte delle collaborazioni “non sono solo finanziate dall’Università di Parma”, ricorda ancora Lodi Rizzini, aggiungendo: “Lavoriamo anche con aziende private, ma sempre del territorio, nelle quali i robot trovano applicazione in ambito industriale”. In definitiva, al RIMlab ci sono progetti che nascono da necessità concrete e che presentano applicazioni ben tangibili, non solo come mera ricerca. “Questo mi affascina della robotica -riprende Micconi-: è un’applicazione pratica della scienza informatica, non rimane sul disco fisso di una macchina”.

QUESTIONI DI ROBO(E)TICA –  Eppure, per chi osserva il mondo dei robot dall’esterno, qualche preoccupazione rimane. Dalle tre leggi della robotica di Asimov all’autonomia e alla coscienza delle macchine il passo è breve. Attraverso l’inserimento sempre più diffuso di sensori e dispositivi intelligenti, diventano pressanti i problemi di ordine deontologico di chi deve programmare l’automa nelle sue funzionalità e mansioni. “Il problema è percepito dalla comunità, ma resta ancora apertorobot-umanoide-675, proprio come le conseguenze che tutto questo avrà sull’occupazione -ammette Lodi Rizzini-. Al RIMLab siamo però sempre molto attenti all’aspetto della sicurezza per l’essere umano: esistono e vengono utilizzati algoritmi appositi in fase di programmazione“. Dunque al RIMLab, così come al laboratorio di Psicologia Cognitiva, non ci sono timori riguardo l’avvento dei robot: sembra ormai chiaro che il loro scopo non è sostituire l’uomo, ma supportarlo e rafforzarlo nelle sue attività. “L’obiettivo ultimo è quello di migliorarne l’accettabilità sociale -ribadisce la professoressa Pino-. Ho sentito dire diverse volte dai colleghi dei servizi che si snaturano i rapporti con le persone; il robot non sostituisce ma ottimizza il lavoro degli operatori“.

L’avvento dell’era robotica sarà poco percettibile ma al contempo radicale, sostengono gli esperti, attraverso lo sviluppo di capacità di apprendimento e risposta da parte dei robot, che porterà ad una sempre più elevata automatizzazione di funzioni. Il vero problema, semmai, dipenderà da come si instaurerà il rapporto con il robot. “Il passaggio mentale decisivo sta nel capire come deve essere concepito il robot –descrive infine la professoressa Pino-, cioè se avrà lo scopo di migliorare l’autonomia e l’indipendenza delle persone, mettendo punti fermi relativi al suo uso, oppure come fonte di guadagno, ignorando le conseguenze”. In altre parole, le preoccupazioni maggiori sono per chi istruisce l’automa che la macchina in sé. Per questo la responsabile del laboratorio propone la figura del ‘neurotecnologo‘, colui che conosce come instaurare la relazione ed i rischi nella programmazione con i robot. In ogni caso, conclude l’esperta, “il problema è comunque sempre educazionale e di conseguenza di tipo valoriale”.

Le paure di Philip K. Dick possono dunque aspettare ancora un po’: il pericolo che i robot prendano il sopravvento è lontano. Bisogna però continuare a tenere gli occhi aperti.

di Jacopo Orlo e Ludovica Salvatori 

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