Tra guerra, orrore e intimità: l’Italia del ’43 negli scatti di Robert Capa
78 FOTO IN MOSTRA AL P.ZZO PIGORINI RACCONTANO GLI ANNI DEL CONFLITTO RITRATTI DEL PADRE DEL FOTOGIORNALISMO
Ha visto il mondo e documentato ben cinque conflitti del secolo scorso che lo hanno insanguinato, in una vita da eterno girovago che, dall’Ungheria, lo ha portato ovunque insieme alla sua speciale lente d’osservazione. Ma anche dopo essere scomparso, Robert Capa (Budapest, 1913 – Provincia di Thai Binh, 1954) non ha mai smesso di viaggiare. I suoi lavori hanno attraversato oceani e continenti, veicolando il ricordo dei catastrofici eventi di cui è stato testimone. Ora arriva a Parma, in una mostra inaugurata venerdì 7 ottobre, a Palazzo Pigorini, battezzata, non a caso, ‘Robert Capa in Italia 1943 – 1944′. Si tratta dunque di una sorta di ritorno per il grande fotoreporter, che ha raccontato con i suoi scatti alcuni degli anni cruciali della Seconda Guerra Mondiale nel nostro paese e lo sbarco degli Alleati.
La mostra raccoglie 78 fotografie provenienti dalla serie Robert Capa Master Selection III conservata a Budapest e resterà aperta fino al 15 gennaio 2017. Organizzata dalla Fratelli Alinari Fondazione per la Storia della Fotografia con il supporto del Museo Nazionale Ungherese di Budapest, il contributo del Comune di Parma, della Regione Emilia Romagna e il sostegno del Lions Club Parma Maria Luigia, l’esposizione è stata curata da Beatrix Lengyel e caldeggiata dal Ministero delle Risorse Umane d’Ungheria, dal Consolato Onorario Ungherese di Bologna e dall’Associazione Culturale Italia-Ungheria.
Proprio Erzsebet Miliczky, console d’Ungheria per la Regione ER, durante l’inaugurazione ha sottolineato come “la mostra fotografica di Capa è dedicata a rappresentare gli orrori della guerra attraverso il vissuto dei civili e attraverso i paesi ridotti in macerie: uno straordinario modo per tener viva la memoria di tutti sugli orrori della guerra“. “Un’esposizione di scatti ritraente un’emozionante quotidianità”, ha aggiunto l’assessore alla Cultura del Comune di Parma Laura Maria Ferraris ringraziando il Lions Club Maria Luigia per l’apporto all’iniziativa, “meravigliosa occasione per la nostra città”. “Sostenere questa esposizione di elevato valore artistico – ha spiegato Ilaria de Goracuchi, presidente Lions Club Parma – rappresenta per noi una forma di promozione della pace, fondamento sulla quale si basa la nostra associazione. Anche per questo la sosteniamo con tanto convincimento. ”
TRA PIEGHE DEL DOLORE E INTIMITA’ – E certamente tutti gli scatti in esposizione fanno riflettere sulla crudeltà della guerra che si insidia nelle esistenze quotidiane rendendole tragiche e insopportabili. Basti pensare all’immagine napoletana che ritrae due vecchi e un bambino in coda per l’acqua: i volti affranti e rassegnati, in piedi in fila indiana, sono stati immortalati in una attesa infinita. Tutto pare esprimere la fatica di vivere in quei giorni. Era l’ottobre del 1943, da poco erano trascorse le Quattro giornate di Napoli, si respirava un’aria di maggiore speranza ma la città era stata devastata e ci sarebbe voluto del tempo prima di tornare alla normalità.
Tante sono le manifestazioni di dolore raccontate in questi scatti (dalla donna ferita e curata da un soldato americano, alla bambina traumatizzata portata in braccio da un uomo), tanti i morti e i feriti. Chi veniva colpito in battaglia veniva poi curato con mezzi di fortuna sul ciglio di una strada o all’interno di una stalla. Emblematico è il trasporto delle salme di ragazzi e bambini che avevano combattuto per la libertà della capitale partenopea. Una bara malmessa, in legno, con il piede del piccolo defunto che si intravede tra le assi, viene portata via dai concittadini ed è lo stesso Capa, nelle sue memorie, a scrivere lo scatto: “Questi bambini […] avevano rubato armi e proiettili e combattuto i tedeschi per quei giorni durante i quali eravamo rimasti immobilizzati al valico di Chiunzi. I piedi di questi bambini furono il mio autentico benvenuto all’Europa, la terra dove ero nato.”
Il reporter fotografa anche personalità importanti di quegli anni, come il filosofo Benedetto Croce a Capri nel ’43, oltre che Theodore Roosvelt, figlio del presidente americano e, secondo le testimonianze di Capa, “sempre presente dove la battaglia era più dura”.
Il conflitto in Italia regala anche momenti di intimità, ritratti con quella particolare sensibilità che denota Capa. Ecco dunque un soldato addormentato vicino ad una jeep. A seguire due autisti donna, appoggiate all’ambulanza durante una pausa, lavorano a maglia. In Sicilia, forse, vi è la scena più intensa tra tutte con un uomo che parla ad una bambina. Entrambi sorridono, sembrano spensierati. Sono seduti in un ambiente degradato, lei su una vecchia sedia e lui su alcuni piumoni ripiegati, ma insieme formano un angolo di serenità, un piccolo momento protetto dagli orrori della guerra.
Sicuramente una mostra da non perdere, che ripercorre momenti drammatici del nostro paese, dalla Sicilia a Napoli e Cassino, e che colpisce per la veridicità e per la forza dei temi trattati.
In esposizione nelle teche sono disponibli anche alcune copie originali di Life e, a terminare il percorso di visita, un’installazione video in cui scorrono tutte le fotografie presentate durante la rassegna.
IL PADRE DEL FOTOGIORNALISMO – Pseudonimo di Endre Ernȏ Friedmann, Robert Capa ha fatto la storia del fotogiornalismo di guerra dello scorso secolo: dagli anni del secondo conflitto mondiale, alla guerra civile spagnola fino ad arrivare al Vietnam.
Costretto a fuggire dall’Ungheria sotto il regime nazista, negli anni ‘30, Robert Capa si reca prima in Germania, dove inizia a lavorare presso l’agenzia fotografica di Dephot, sotto Simon Guttam, e in seguito a Parigi, dove documenta le proteste di piazza. Nel frattempo inizia una relazione con una collega tedesca, Gerda Taro, anch’essa conosciuta in tutto il mondo per le sue testimonianze belliche. Assieme a Gerda, Capa andrà in Spagna a documentare la guerra civile. Lì scatterà una delle sue foto più celebri e controverse: quella del miliziano ferito a morte, immortalato nell’attimo in cui cade a terra. Uno scatto tutt’ora oggetto di dibattito: molti esperti sono scettici sulla sua veridicità e si chiedono se la scena rappresenti realmente la morte di un soldato lealista (si ipotizza un certo Federico Borrel Garcìa) o se l’atto sia stato inscenato da Capa stesso per creare una fotografia ad effetto. A proposito dello scatto, Capa asserì che fosse impossibile durante le battaglie scattare foto usando trucchi o sotterfugi, in quanto le immagini si presentavano davanti senza bisogno di cercarle o ricrearle.
Dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, si trasferisce negli Stati Uniti, dove inizia a collaborare per Life e a realizzare importanti servizi fotografici sulle truppe alleate in Gran Bretagna, in Nord Africa e Italia. Qui segue lo sbarco degli alleati in Sicilia e la liberazione di Napoli. Nella città di Troina, in Sicilia, scatta una delle sue foto più note: quella che ritrae il soldato americano e il contadino che gli indica la strada per Sperlinga, un paese vicino.
Nel ’44 realizza per Life 106 fotografie sullo sbarco in Normandia, nella spiaggia di Omaha Beach. Una serie purtroppo rovinata irreversibilmente da un tecnico dell’agenzia di Londra, il quale lasciò aperto il cassetto dove i negativi stavano asciugando. Solo 11 foto si salvarono e vennero pubblicate da Life: secondo la rivista le immagini erano fuori fuoco perché le mani del fotografo tremavano al momento degli scatti. In realtà Capa affermò di non essere riuscito ad inquadrare l’obiettivo durante gli scontri.
In seguito, assieme ai colleghi Henry Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger e William Vandivert, Capa fonda l’agenzia fotografica Magnum, di cui diventerà presidente e con la quale promuoverà l’ascesa di tanti giovani fotografi emergenti.
Tappa successiva, negli anni ’50 è Israele dove segue gli eventi della dichiarazione d’indipendenza e le vicende dei primi profughi. Accusato di comunismo durante il maccartismo, gli viene ritirato il passaporto americano. Ciò gli impedirà per un periodo di svolgere servizi in giro per il mondo.
La sua ultima meta sarà il Vietnam per seguire la guerra per conto di Life. In Indocina, mentre è al seguito di un contingente di militari francesi nel delta del fiume Rosso, Capa rimane ucciso da una mina antiuomo.
di Martina Innocenti, Silvia Ruffaldi, Elia Munaò
Foto di Martina Innocenti e Filippo Zbogar
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