Giovanni Sparano: “Una buona idea si può realizzare anche con pochissimi soldi, basta crederci”

LA MENTE DEL BAREZZI FESTIVAL RACCONTA LE SFIDE AFFRONTATE PER ARRIVARE ALLA DECIMA EDIZIONE DI UNO DEI PIU' CELEBRI EVENTI MUSICALI DI PARMA

Torna puntuale come ogni anno il Barezzi Festival, uno degli appuntamento che ha maggiormente contribuito ad accrescere il prestigio della scena musicale parmigiana. Giunto alla sua decima edizione, il Barezzi ospiterà dal 3 al 14 novembre nomi eccelsi del panorama internazionale e nostrano (da Philip Glass a Benjamin Clementine fino alla giovane band italiana Aucan), accogliendoli come da tradizione nei più bei teatri e centri culturali del territorio. Giovanni Sparano, ideatore e direttore artistico del festival, ne racconta i retroscena tra le difficoltà iniziali e le grandissime soddisfazioni conseguite.

Lei è cresciuto a Eboli per poi trasferirsi a Parma. Ha sempre voluto avviare un festival musicale oppure l’idea è nata dall’incontro con la realtà parmigiana?

“Io sono arrivato a Parma da studente; la mia cultura musicale era basica, nel mio paese non c’erano grandi momenti d’approfondimento. Per guadagnare qualcosa ho colto la possibilità di fare la comparsa ne ‘Il Trovatore’ e lì mi si è aperto un mondo nuovo. La mia sensibilità musicale è cresciuta, perché vivere un’opera è un’esperienza incredibile, soprattutto quando la regia e la recitazione si uniscono all’orchestra. Questo mi ha dato modo di appassionarmi alla lirica e alla vita di Giuseppe Verdi e quindi di Antonio Barezzi. Era il droghiere più ricco di Busseto, un filantropo pronto ad investire nei nuovi talenti e l’unico a credere in Verdi anche quando venne rifiutato dal conservatorio di Milano. Ne pagò anche gli studi. La figura di Verdi è emblematica e la sua vita è forse più interessante della sua musica: ha vissuto 90 anni e ha visto evolversi la realtà italiana, e non solo, a tutto tondo. Sicuramente la storia di Parma mi ha stimolato molto, anche perché in meridione non ci sono opportunità di mecenatismo importanti che possano dare la possibilità a nuovi talenti di esprimersi.

Come si è evoluto il festival dalla prima edizione a questa, che è la decima?

“Il Barezzi Festival è nato in un bar, 10 anni fa, come concorso per giovani musicisti affinché potessero avere uno spazio personale. Una delle regole era rifare un brano di musica lirica nello stile della band. La finale si teneva in piazza a Busseto e dopo quella serata ho avuto l’idea di creare un festival trasversale unito al concorso. Subito dopo abbiamo contattato Franco Battiato, perché l’idea era quella di affiancare al concorso dei nomi che si fossero confrontati con la musica colta: siamo andati a trovarlo a casa sua, a Milo, in Sicilia, e lui ha voluto parteciparvi gratuitamente. Le istituzioni ci appoggiarono e nacque il vero e proprio Barezzi: da allora ogni finanziamento che riceviamo lo investiamo nel budget per gli artisti e questo genere di spese”.

sparanoIl festival è stato anche in un certo senso un trampolino di lancio per molti giovani diventati poi noti nel panorama musicale attuale, come Calcutta e Thegiornalisti. Dunque non ha perso la sua volontà di lanciare nuove proposte.

“La vocazione principale del festival è quella di promuovere musica di qualità nei luoghi della lirica (Teatro Regio, Teatro Verdi di Busseto, il Ridotto, chiese sconsacrate). Bisogna quindi stare attenti a ciò che accade nel panorama musicale italiano e internazionale. Quest’anno ad esempio ci saranno L.A. Salami, gli Ornaments e Marianne Mirage. E lo sottoscrivo: secondo me sarà la prossima vincitrice di Sanremo Giovani. Sono tutti talenti incredibili. Quest’anno sarà anche molto più forte la sezione dedicata alla musica elettronica, un po’ trascurata in Italia. Vogliamo ricreare quello che era il teatro nell’Ottocento come posto d’incontro sociale, in cui discutere di temi politici e sociali e non solo ascoltare musica.”

Quali sono state le difficoltà che ha incontrato durante la realizzazione della prima edizione del festival? Ha ricevuto supporto da parte della città?

“In ogni festival bisogna affrontare problemi che siano di natura economica e non, l’importante è avere sempre una solida traccia su cui lavorare senza puntare esclusivamente a grandi nomi da pubblicizzare. In molti ormai acquistano i biglietti per il festival a scatola chiusa, credendo nel progetto e avendo apprezzato quanto fatto fino ad ora. Bisogna essere consapevoli che il ruolo delle istituzioni è di dare un contributo, non di finanziatori assoluti. Dipende tutto da te: sia la riuscita che l’eventuale fallimento.”

Organizzare un festival musicale comporta spese non barezzi-festivalindifferenti: in quanto tempo organizzate il Barezzi e dove reperite i fondi necessari?

“Il Barezzi è nato come un festival familiare, mentre ora ci sono figure professionali che si occupano dell’organizzazione e ci stiamo già muovendo per l’edizione del prossimo anno. E’ come una costruzione di mattoni, uno sull’altro. I finanziamenti sono cresciuti col tempo perché la proposta artistica, da Battiato a Gualazzi ai Calexico, si è evoluta. Non abbiamo mai promosso edizioni che stravolgessero la struttura iniziale del festival. Quest’anno abbiamo tre nomi importanti come Philip Glass, Benjamin Clementine, gli Aaron. Le basi sono solide: ci sono istituzioni e organizzazioni che ci supportano, ma soprattutto il pubblico: basti pensare che ancora il 60% delle entrate è rappresentato dai biglietti venduti.”

Un il Barezzi ormai non promuove solo musica. Quest’anno tra ci sarà anche l’attore Elio Germano: come scegliete gli ospiti?

“Elio Germano sarà accompagnato da un grandissimo musicista che è Theo Teardo e rifaranno un’opera di Louis Ferdinand Céline, con l’accompagnamento di un quintetto d’archi, in pieno ‘tema Barezzi’. Molto bella è poi la storia del pianista siriano che si esibirà il 6 novembre, Aeham Ahmad, diventato famoso senza saperlo: suonava il piano verticale nel campo di Yarmouk, in Siria, poi bombardato dall’Isis, per allietare i bambini del posto. I video delle sue esibizioni in mezzo alle macerie hanno fatto il giro del mondo e sono diventati virali ma lui ne ha scoperto l’esistenza solo quando è arrivato in Germania dopo essere scappato dalla sua terra. L’ho contattato, invitato e farà uno spettacolo esclusivo in Italia durante il Barezzi, al Teatro Pallavicino di Zibello. La parola chiave è esclusività: molti degli ospiti hanno come unica data italiana quella di Parma, una città che ha una posizione strategica ma soffre la concorrenza di Milano e Bologna. Quindi dal punto di vista artistico abbiamo come scopo quello di garantire al pubblico eventi unici ed irripetibili.”

Un’altra novità di queste ultime edizioni è il Barezzi Snug: un’iniziativa che coinvolge i ristoratori parmensi. Una specie di pausa pranzo accompagnata da esibizioni degli allievi del conservatorio: come l’avete organizzato?

“Prima il Barezzi era una rassegna spalmata nel tempo, ora con l’avvento di uno sponsor importante, che ci ha dato l’opportunità di crescere ancora, abbiamo creato una rete che coinvolge i posti anche nascosti dell’ambito alimentare parmigiano. Snug vuol dire nascosto e caldo, accogliente direi. Quindi portiamo in questi posti unici gli ospiti che accogliamo e all’ora di pranzo viene proposto un menù apposito, mentre in sottofondo suonano gli studenti. Non sono veri e propri concerti, ma accompagnamenti musicali proprio come accadeva nell’Ottocento.”

sparano2Lei ha studiato all’Università di Parma: come ricorda quel periodo? Oggi direbbe che i suoi studi sono stati utili anche all’organizzazione del Barezzi?

“Io ho studiato Giurisprudenza, dopo aver fatto il liceo classico: gli studi umanistici aiutano molto ad avere la mente pronta e aperta alle problematiche, a dare un senso alle cose. Giurisprudenza amplifica questo concetto. Le lauree, se intese in questo modo, servono. Il problema è che oggi si studia più per avere un posto di lavoro che per cambiare la propria personalità e migliorare, mentre invece dovrebbe essere un percorso personale. Parma mi ha adottato dal 1998, qui mi sono trovato benissimo, è ricca di possibilità per chiunque e qui mi sono realizzato.”

Consiglierebbe ai ragazzi di seguire le proprie idee, come ha fatto lei? 

Se si ha in mente un’idea o un progetto, si può fare anche con pochissimi soldi. Non sempre questi sono garanzia di successo. Per quanto mi riguarda è stato tutto conseguenziale. Nel Barezzi c’è molto di me e della mia esperienza e ogni anno quella che era l’idea di 10 anni fa è la stessa di oggi: portare grandi artisti in grandi luoghi della storia. Philip Glass ha accettato di partecipare solo dopo aver visto il luogo in cui si sarebbe esibito e cioè il Teatro Regio, è emblematico. I luoghi che abbiamo ci vengono invidiati e imitati da tutti, mentre noi tendiamo a non apprezzarli sufficientemente. Io non ho seguito corsi per diventare manager, ma ha funzionato comunque. Possiedo un bar, quello è il mio lavoro, mentre questa è una grande passione. Non posso dare grandi consigli, ma sicuramente crederci e trovare una strada propria è fondamentale.

di Fiorella Di Cillo, Rocco Lapenta

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