“Questa vita non le stava più bene” Il ricordo di Jelena Radojev
LA MEMORIA DELLA SEGRETARIA DAL CARATTERE DIFFICILE MA DALL'ANIMO LABORIOSO E AFFETTUOSO
Giovedì 6 ottobre, Cremona. I quotidiani locali riportano la tragica scomparsa di una donna di 47 anni che si è tolta la vita a Nervi, un quartiere di Genova, lasciandosi annegare assieme al suo cane. Le tasche e la borsa piene di pietre e un biglietto che testimonia l’intenzione di farla finita.
La conferma del decesso arriva dal comando della Capitaneria di porto, dopo che marinai e sommozzatori hanno ritrovato il cadavere. Si tratta di Jelena Radojev, donna di origini serbe rimasta da tempo senza lavoro, che con l’Ateneo di Parma ha avuto un rapporto profondo, sincero e complesso lavorando a lungo nella segreteria di Italianistica.
“L’Università era diventata la sua casa – racconta Annamaria Cavalli, professoressa di Saggistica Italiana – amava questo posto: poteva stare in mezzo ai libri, continuare a studiare, stare con gli studenti. Per lei era diventata una ragione di vita, nonostante tutti i sacrifici e il guadagno appena sufficiente per vivere. Ma le andava bene così ed era contenta”.
Jelena Radojev, nata a Belgrado, vive in Italia da molto tempo. Risiede a Cremona, dove lavora per un’azienda che progetta siti informatici. Ha già due lauree, una in filosofia ed una in musicologia. Ma la passione per lo studio non è cessata. “L’ho conosciuta come studentessa, nei corsi di Filosofia e di Giornalismo, aveva già una quarantina d’anni – racconta Cavalli – durante questi incontri ho avuto modo di apprezzarne la sua grande cultura, era una persona straordinaria”. Al punto da conseguire altre due lauree, nel 2008 e nel 2011.
Nel frattempo, però, arrivano le prime difficoltà: licenziata dall’azienda cremonese, è in condizioni economiche precarie. “Non aveva un altrove a cui rivolgersi e qui da noi – racconta Marco Mezzadri, docente di Didattica della lingua italiana, legato a Jelena da una profonda stima – aveva trovato una sistemazione, un luogo stimolante. Era una gran bella testa, non solo pensante, ma anche stimolante; una donna sui generis, con un fortissimo senso della giustizia e quindi anche dell’ingiustizia. Sono giornate angoscianti per me, per il senso di impotenza”.
Così incomincia la sua seconda vita universitaria a Parma, lavorando nella segreteria didattica del Dipartimento di Italianistica dal 2009 fino al gennaio del 2015, dedicandosi con competenza agli studenti. “Aveva la passione per l’insegnamento, ‘sfogava’ questa attività dilungandosi con gli studenti in lunghe spiegazioni, anche dei programmi e dei loro contenuti – spiega Cavalli – e loro per riconoscenza le portavano fiori e dolci”.
Ma Jelena ha anche un lato del carattere a volte spigoloso, per niente accomodante. Per lei ci sono regole che vanno seguite, altre che non hanno senso. Non ammette che altri non facciano il loro dovere e non lavorino come lei. Forse per la sua provenienza serba, che le ha donato un’indole fiera o forse per il suo passato che l’ha irrigidita. “Era una persona sofferente, difficile da aiutare, intelligente e interessata a qualsiasi cosa – parla, emozionata e rotta dal pianto Rita Varriano, bibliotecaria di Italianistica – ricordo i suoi tanti talenti, ricordo Jelena con il suo carattere dolcissimo e nello stesso tempo durissimo, di quelli che lasciano il segno. Più volte abbiamo litigato e siamo entrate in conflitto perché lei era anarchica: non rispettava le regole se le riteneva ingiuste”. Jelena condivide qualsiasi cosa con gli altri; anche il lato peggiore, le paure più profonde, le tristezze mai finite. “Ho discusso con lei in modo forte alcune volte – riprende Cavalli – però quando una persona è così fragile e ha così poco dalla vita andavi oltre certe ruvidezze che ti dimostrava, bisognava farle del bene perché se lo meritava”.
E infatti l’allontanamento dall’Università crea dei malesseri: prima, quando scaramucce tra colleghi avevano fatto crescere la tensione, e dopo, quando la cooperativa per cui Jelena lavora opera tagli al personale, coinvolgendo lei, che fatica ad accettare l’idea considerando la sua totale dedizione al lavoro. “Non era nella sua indole – commenta Cavalli – far passare le cose in silenzio. ‘Perchè non posso avere un riconoscimento per il lavoro che faccio? Vedrai che con le tue competenze qualcosa troverai, le dicevo“.
Perso il ruolo all’Università, Jelena ha il sussidio di disoccupazione, con il quale va avanti per un po’. Ma non basta. Terminato anche quello, cerca disperatamente di trovare un lavoro. Ha tante qualità, è disponibile a qualsiasi occupazione, purché non la tenesse troppo lontana da Hobbes, la sua amata cagnolina. Tutte le domande e i curricula non ricevono però risposta, neanche quelle in cui Jelena prova ad abbassare la sua età presentando una fotografia di qualche anno prima. Niente. Questione di cittadinanza, nonostante abbia il permesso di soggiorno illimitato. Questione di età, seppur con quattro lauree nel curriculum. L’Italia non le riconosce i meriti, non ha risposto a quel suo bisogno semplice, pulito di trovare un lavoro come sinonimo di dignità, un modo per vivere o comunque un tentativo per sopravvivere. Jelena si sente presa di mira dalla società e dalle circostanze sfavorevoli della vita e finisce in una depressione profonda. Un male oscuro dal quale nessuno riesce a farla riemergere. Si gioca il tutto per tutto. Quattro mesi fa inizia una protesta muta, uno sciopero della fame sotto i portici nella piazza del Comune di Cremona, con un cartello nel quale scrive 568, il numero dei giorni da disoccupata. Chiede di lavorare, non l’elemosina. “Ho continuato a sentirla dopo l’allontanamento e sono andata anche a Cremona: era molto felice se qualcuno andava a trovarla – racconta commossa Cavalli -. Ho cercato di seguirla, anche se in modo non regolare. Speravo, non sentendola, che le cose si fossero sistemate. Invece non è stato così”.
Jelena prova il suicidio, senza riuscirci. La seconda volta, però, gioca le sue carte in modo tale da non essere salvata. Questa vita non le stava più bene. Nervi, 6 ottobre. Ciò che rimane è una lettera, in cui dispone la sua volontà di cremazione, per il cane, oltre che per se stessa. Anche nella morte c’è stata una lucidità profonda, un tentativo di lasciare comunque tutto in ordine. Peccato che in quell’ordine non ci fosse più posto per lei; che l’Italia, che tanto le aveva dato, non le abbia garantito il diritto alla dignità del lavoro.
“Perché mai è così tragica la vita; così simile a una striscia di marciapiede che costeggia un abisso. Guardo giù; ho le vertigini; mi chiedo come farò ad arrivare alla fine.” Virginia Woolf, Diario di una scrittrice, su cui Jelena aveva lavorato per una delle sue molte tesi.
di Jacopo Orlo e Felicia Vinciguerra
L’articolo è bello e corrisponde a verità. Non era facile. Mi complimento.
Non era possibile probabilmente (né magari appropriato in questa occasione) segnalare anche le colpe di chi, invece di darle una mano, le mani ha preferito lavarsele; o addirittura di chi le ha fatto anzi la guerra, facendo leva sui suoi punti deboli (che erano il carattere “ciclotimico” e reattivo, e per converso il suo estremo bisogno d’affetto e sincerità); di chi l’ha indotta ad andarsene… Lei, preziosa collaboratrice, è stata allontanata. Lei!
Ero stato correlatore della sua ennesima (ed ultima) eccellente tesi comparatistica (tra Svevo, V. Woolf, Joyce)
Ma soprattutto sono stato, fino alla fine, suo amico. E lo sono ancora, affranto per la sua fine annunciata.
Era una donna di straordinaria intelligenza, sensibilità, generosità, che viveva per la letteratura, l’arte, la musica; e per gli amici (cani compresi). M’auguro (e credo) che lei mi abbia potuto considerare suo vero amico fino alla fine; anche se non mi basta a consolarmi della perdita.
Paolo Briganti