Viaggio nel cervello: tra falsi miti, emisferi e ‘network’ della creazione

NE USIAMO SOLO IL 60%, MOLTE LEGGENDE SUL SUO CONTO E TANTO DA SCOPRIRE SULL'ORGANO UMANO PIÙ STRAORDINARIO

CervelloIl cervello è il fulcro del nostro essere. Definisce la nostra personalità, custodisce i nostri ricordi e gestisce le nostre emozioni. Tutti gli altri organi, in teoria l’intero corpo umano, non sono fondamentali per continuare a esistere. Si possono modificare, sostituire o abbandonare. Chi penserebbe di essere un’altra persona dopo una circoncisione, un trapianto di cuore o una paralisi alle gambe? E invece, per assurdo, chi mai vorrebbe farsi trapiantare ricordi o modificare le proprie emozioni? Il cervello è insostituibile e immodificabile, se si vuole rimanere se stessi. Non é un caso che su di esso la scienza continui a indagare, che ancora oggi si debba comprenderlo nei suoi meccanismi più segreti e che continuino a fiorire leggende e bufale sul suo conto.

I FALSI MITI SUL CERVELLO – Il mito secondo cui sfrutteremmo solo il 10% del nostro cervello è una bufala ampiamente diffusa, priva di fondamento scientifico. Secondo lo psicologo canadese Barry L Beyerstein, se il 90% del cervello non fosse utilizzato eventuali danni in queste aree non avrebbero alcun effetto sull’individuo, mentre invece non esiste nessuna area del cervello che venendo danneggiata non provochi dei deficit. Anche la teoria dell’evoluzione va a sfavore di questo mito: infatti, secondo le leggi darwiniane, la parte inutilizzata sarebbe stata eliminata negli anni naturalmente. La tecnologia, attraverso le risonanze magnetiche che permettono di monitorare le attività cerebrali, rivela che, pur essendoci parti del cervello che lavorano di più di altre, tutte le aree son attive anche durante il sonno. Una possibile origine di questo falso mito è da ricercarsi nelle dichiarazioni dello psicologo americano William James che in ‘The energies of man’ (1907), dopo aver seguito lo sviluppo intellettivo del proprio figlio Sedis, affermava che stiamo facendo uso di solo una piccola parte delle nostre possibili risorse mentali e psicologiche. Questo concetto venne poi estrapolato e mal interpretato da Lowell Thomas, scrittore statunitense che attribuì all’affermazione di James un valore percentuale, quello del 10%. Diversi studi recenti hanno contribuito a sfatare questa teoria. Il professore Enrico Sasso, del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma, spiega che queste stime siano solo presuntive e che comunque a parità di ‘environment’ possa esservi una grande variazione interindividuale. “Il dato complessivo – afferma il docente – è che non siamo in grado di impiegare oltre il 60% delle capacità potenziali del nostro cervello e, in senso evolutivo, in futuro potremo forse guadagnare altre risorse inutilizzate o accedere ad altre aree specializzate in ombra attualmente”.  

PAROLA ALLA PSICHIATRA – Gli stimoli dati dall’ambiente esterno sono quindi importanti per lo sviluppo dell’attività cerebrale e proprio per questo diventano fondamentali nella psichiatria per la cura dei pazienti . “Il cervello dal punto di vista fisiologico è analizzato solo in relazione a determinate patologie ben precise, come per l’epilessia attraverso l’encefalogramma – spiega la neuropsichiatra Elena Manconi del CSM (Centro di Salute Mentale) di Oristano -. Ciò che conta è il colloquio che si basa sulla struttura psicologica del paziente, la relazione che ha con l’ambiente, le motivazioni consce e inconsce del suo comportamento, le strategie utilizzate per affrontare i problemi e le reti di sostegno a lui disponibili, come la famiglia.” Come in tutti i campi della medicina, esistono varie scuole di pensiero, differenti metodi e manuali di interviste codificate che esplorano le aree utili per la diagnosi: esami delle funzioni cognitive, descrizione dei sintomi, anamnesi e il dialogo con paziente e la famiglia. “La cosa più importante – continua la dottoressa – è instaurare una relazione. La relazione è fondamentale e già di per sé terapeutica.”

cervello-uomo-e-donnaUOMO-DONNA? SOLO QUESTIONE DI PESO E ORMONI – Il professor Sasso sfata anche un altro mito, quello che presume una differenza tra il cervello maschile e femminile come spiegazione della diversa percezione del dolore da parte dei due sessi. “Nessuno, a parte i pregiudizi e le valutazioni aneddotiche, ha dimostrato che vi sia differenza tra i sessi nella percezione del dolore che ha certamente una soglia individuale condizionata dal temperamento. L’unica differenza – risponde Sasso – è nel peso: il cervello maschile pesa circa 400 g in più di quello femminile ma ciò ovviamente non incide sulla qualità e sulle prestazioni. Esiste semmai una differenza dell’assetto endocrino che può giustificare influenze diverse sull’attività del cervello”.

CervelloLATO ARTISTICO E LATO MATEMATICO? NON E’ COSI’ SEMPLICE – Molti studi sono stati intrapresi negli ultimi due secoli allo scopo di scoprire i meccanismi di funzionamento dei due emisferi e come questi entrino in gioco nel processo creativo e nell’elaborazione del pensiero. Nella seconda metà del XX secolo, un’equipe guidata dal neurobiologo statunitense Roger Sperry, svolse numerose ricerche sui pazienti ‘split-brain’ ovvero a cui, a seguito di forti epilessie, era stato reciso il corpo calloso centrale, una serie di fasci nervosi che collega i due emisferi. Da questi studi era venuto alla luce che l’emisfero destro fosse specializzato nella elaborazione visiva e spaziale delle immagini e nella interpretazione emotiva, al contrario quello sinistro si occupasse della concatenazione logica degli eventi e del pensiero e dei processi linguistici, interpretando in modo analitico la realtà circostante. Strumenti di ricerca molto recenti e all’avanguardia, come la risonanza magnetica funzionale e la tomografia ad emissione di positroni, ci consentono però, al giorno d’oggi, di monitorare le variazioni dell’attività celebrale e di comprendere più accuratamente il funzionamento del cervello, associando la funzione esaminata con un’area specifica dell’organo e dimostrando, quindi, come la teoria dell’emisfero destro e sinistro con compiti specifici appaia troppo semplicistica e incompleta.

Tra gli studi sul cervello condotti negli Stati Uniti da neuro scienziati di fama mondiale, particolare interesse hanno acquisito quelli di Stephen Kosslyn, neurobiologo cognitivo e docente ad Harvard che, nel suo libro ‘Top Brain, Bottom Brain: Harnessing the Power of the Four Cognitive Modes’, parla di un nuovo tipo di approccio che distingue fra “Cervello Alto” e “Cervello Basso”. Durante alcune ricerche sulla formazione di immagini mentali a occhi chiusi, Kosslyn ha scoperto una “via neurale” che coinvolge la parte superiore del cervello (lobo parietale e parte superiore del lobo frontale) atta a decidere strategie e obiettivi da perseguire interpretando le informazioni provenienti dall’ambiente esterno. Nella parte inferiore (sezione inferiore del lobo frontale e lobi temporale e occipitale) esiste invece un’altra “via neuronale”, che, confrontando le percezioni con informazioni in memoria, interpreta e classifica oggetti e situazioni.  In base all’utilizzo della parte superiore o inferiore del cervello, la “teoria delle modalità cognitive” delinea così quattro modalità di pensiero: dinamica, percettiva, stimolativa e adattiva.

IL PROCESSO CREATIVO, QUESTIONE DI NETWORK – Quali sezioni del cervello vengono attivate durante il processo creativo? A questa domanda hanno tentato di rispondere numerosi neuro scienziati come Jeremy Gray (Michigan State University), Adam Green ( Georgetown College), John Kounios (Drexel University, Philadelphia), Rex Jung (University of New Mexico), Kalina Christoff (University of British Columbia). Dai loro studi sono emerse tre aree, o network, che entrano in gioco nelle varie fasi del processo creativo. Svolgendo un’attività che richieda un’attenzione focalizzata, si attivano connessioni neuronali (Executive Attention Network) nella regione della corteccia prefrontale e nella parte posteriore del lobo parietale. Quando invece dobbiamo ricostruire immagini mentali di esperienze pregresse, ipotizzare progetti futuri o pianificare scenari alternativi a quelli attuali, vengono messe in azione aree profonde della corteccia prefrontale, del lobo temporale e varie zone della corteccia parietale (Imagination Network). Questa rete è coinvolta nelle relazioni sociali, quando cerchiamo di ricostruire cosa stia pensando il nostro interlocutore. L’altro network (Salience Network) sorveglia costantemente eventi esterni, flusso di coscienza interno, e, in base alle situazioni, dà la precedenza alle informazioni che ritiene più salienti per risolvere un problema. Vengono coinvolte la corteccia prefrontale mediale (cingolata anteriore) e la corteccia insulare anteriore. Questa rete, inoltre, attiva e regola l’alternanza delle altre due citate in precedenza. Rex Jung afferma che, una volta che il problema è stato identificato, avviene una riduzione dell’Executive attention network che rende più semplice l’immaginazione, l’intuizione e la formazione di nuove idee grazie all’Immagination network. A seconda poi della complessità degli stimoli e dei problemi posti dall’ambiente esterno, si verifica un bilanciamento fra l’Executive Attention Network e il Salience Network.

 

di Andrea Prandini, Alice Sedda, Marco Pisano

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