‘Tracce’ di M+A: “Vi diciamo tutto ma evitate il titolone”

AL VIA LA RASSEGNA TRACKS IN UN TEATRO REGIO MAI VISTO COSI'

15380646_687156018126444_6401097004399173884_nSi è aperto mercoledì 7 dicembre Tracks, il nuovo progetto del Regio di Parma per vivere, negli spazi del Teatro raramente aperti al pubblico, un mix tra arte, musica e linguaggi contemporanei. Diversi artisti si aggiungeranno al calendario di eventi che per ora ha contato solo il nome degli M+A, apripista della rassegna che si snoderà su altre quattro differenti serate: il 14 gennaio, il 10 febbraio, il 18 marzo e il 21 aprile. 

Esempio sostanzioso di quello che è e sarà Tracks si è rivelato il concerto di Michele Ducci e Alessandro Degli Angioli, gli M+A, due ragazzi di Forlì che con il loro genere ancora non troppo definito, compreso tra il pop e l’elettronica, l’ambient  e la tropical, hanno fatto ballare tutto il Teatro. Abituati alle opere liriche e alle grandi orchestre risulta impensabile “ballare” al Regio, ma qui si delinea la caratteristica principale della serata: gli spettatori vengono fatti accomodare direttamente sul palco dove, rigorosamente in piedi, si preparano al concerto. Un magnifico gioco di luci e suoni, un ritmo incalzante che porta tutti, seppur intimoriti dalla location ‘di classe’, a saltare e scatenarsi, sulle basi dei due album all’attivo del duo e dei loro due nuovi singoli usciti, che anticipano il terzo. Il tutto condito da uno sfondo di grande prestigio: la platea e i palchi del teatro d’opera, stavolta vuoti.

PIACERE, M+A – Michele, effetti e voce, e Alessandro, percussioni ed elettronica, si sono affidati ad un’etichetta inglese per il loro lavoro. Tastiere, percussioni, effetti vocali e collaborazioni importanti gli ingredienti del loro successo e delle loro performance live. E al termine della serata, con ormai un filo di voce residuo, si raccontano nel loro camerino.

Rolling Stone vi ha presentato come il gruppo che ha anticipato i Daft Punk: come si fa ad anticipare un genere musicale?

M– “Era una cosa colloquiale. Era un fatto effettivo che c’era stato questo parallelismo tra il nostro lavoro e il loro ma a noi piaceva come riflessione collaterale. […] Era molto interessante il fatto che in quel periodo, nonostante noi fossimo italiani e loro francesi, senza saperlo, si fosse arrivati ad una cosa simile. Come concetto avevano ripreso le batterie acustiche che noi avevamo ripreso. Quindi, più che come genere, si era ritornati ad un’idea di fare musica che poi è cambiata, si è trasformata.”
A– “Poi Rolling Stone ha preso quest’idea da due soldi e ci ha fatto il titolone.”

Quali sono le band che vi influenzano maggiormente?

A– “Cambiano ogni due mesi!”
M– “È un problema perchè abbiamo certi periodi in cui abbiamo molti riferimenti legati a certe cose, tre mesi dopo altre. Vanno dal pop, la  trap…”

Qual è il vostro rapporto con la musica pop commerciale? Avete paura del successo improvviso che hanno delle band giovani come voi?

A– “Successo? Dove?”
M– “Paura no, diciamolo: c’è un aspetto narcisistico nel fare queste cose. La paura del successo può essere complessa da gestire, ma se fai queste cose qui fa parte del pacchetto. Per quanto riguarda il pop, è la nostra direzione. L’idea di pescare cose dall’underground ma portarle ad un livello non più solo di nicchia.”

Puntate quindi ad un pubblico eterogeneo?

A– “Non puntiamo a nessun pubblico. Puntiamo a fare musica.”
M– “Quando fai queste cose, alla fine non ci si arriva mai, ma si tende sempre all’universale.”
A– “Sì, è un fatto piuttosto intrinseco al fare musica, però per un meccanismo un po’ italiano c’è questa cosa del ‘per chi fai la musica?’. Uno parte dicendo “voglio far musica”, poi chi se l’ascolta se l’ascolta.”

Perchè vi siete affidati ad un’etichetta inglese? Come vedete la scena musicale elettronica/pop in Italia?

M– “Se uno deve studiare qualcosa che sa che fanno molto bene fuori, va fuori a studiarlo. Per noi è stato uguale: volevamo far pop, ma facevamo in quel periodo elettronica di stampo inglese, quindi piuttosto che prendere un’etichetta italiana che non avrebbe né capito né saputo veicolare la cosa, abbiamo preferito andare direttamente lì. In Italia la musica è il problema minore. C’è un grossissimo problema strutturale, che adesso in certe cose sta venendo un po’ meno, legato alle case discografiche, un problema culturale, economico, perché Paesi dove il pop è fatto molto bene hanno una certa struttura. Ce ne siamo accorti a Londra: c’era tutto un business dietro, ‘sbaglio, vengo licenziato’, che è bruttissimo. Noi siamo abituati alla realtà italiana che ‘faccio un errore, va beh’, oppure fai otto ore di soundcheck e non ci sono le spie, non c’è il materiale.”

Lavorate maggiormente in Inghilterra?

M– “In realtà il prossimo disco uscirà con Sugar, italiana. Chiaramente da ogni parte c’è un problema, una criticità e il problema che avevamo noi era che vivevamo troppo di quella cosa che gli italiani han molto, cioè dire “faccio il grande in Italia perchè son stato all’estero”, anche se magari all’estero non mi conosce nessuno. Invece abbiam detto, morendoci dietro perchè è un delirio: ‘proviamo a fare quelle cose che i Daft Punk hanno fatto in Francia’. Proviamo a far esplodere da dentro il meccanismo.”

Dove vi trovate meglio?

M– “Per l’aspetto tecnico e di produzione in Inghilterra perchè obbiettivamente c’è una preparazione maggiore per le cose che facciamo noi.”
A– “Anche qui c’è qua gente valida, solo che è specializzata a fare un certo genere di musica…”
M- “Per i concerti invece dipende dalle volte. Dipende sempre da come è gestito il locale.”

I vostri video e i vostri live sono molto curati a livello artistico: chi se ne occupa?

A– “Facciamo tutto noi, dalle grafiche ai video, alla sceneggiatura, alle luci. Solo che questo risente del fatto che facciamo tutto noi, è sempre un po’ fatto alla meno peggio, per come la vediamo noi. Siamo molto critici verso il nostro prodotto, quindi ogni cosa che facciamo ci fa schifo.”
M– “Noi sappiamo come abbiamo fatto quel video: zero euro, io che tengo la telecamera… Lo guardo e dico: “E’ venuto bene!” Uno da fuori che non sa questa cosa dice: “Mm, bellino, però…” Speriamo nel trovare qualcuno che ci aiuti, anche se poi c’è sempre il trauma che magari non lo fanno come vogliamo noi.”
A– “Quando ci siamo affidati a terzi in musica erano più le volte che dicevamo dei ‘no’ che ‘sì’.

Questa è un’altra vostra caratteristica.

A– “È più una malattia che abbiamo noi, non è questione di fare dei problemi.”
M– “C’è sempre un po’ una delusione. Abbiamo fatto prove con dei musicisti molto bravi, che a noi piacevano anche quando eravamo ragazzini ed è stato sempre un trauma perché speravamo sempre di dire ‘ok, finalmente abbiamo un produttore’. E tutte le volte il prodotto non ci piaceva.”

Siete il primo gruppo che si è esibito per la rassegna musicale Tracks del Teatro Regio di Parma. Com’è andato il concerto? Preferite i grandi palchi o atmosfere un po’ più intime come questa?

A– “Molto bello, a prescindere da come te la giocavi il palchetto contenuto sul palco vero era già di per sé particolare. Mi piace l’idea di fare un concerto elettronico abbastanza spinto in un teatro così. Stasera la gente ha ballato molto, più del previsto. Essendo in un teatro all’inizio c’era un approccio un po’ da spettacolo: quando siamo entrati e la gente era a sedere.”
M– “Il teatro ha dei tempi completamente diversi da quelli di un club. Per preparare e allestire un soundcheck, la risposta sonora che dà un teatro è diversa da quella di un club. Abituarsi a fare i suoni per una cosa del genere con un set del genere è molto più difficile.
A– “La cosa più difficile è stata suonare col palco in discesa!”
M– “Sembrava di esser su una nave!”
A– “A parte questo, a noi piace molto entrare in situazioni in cui non c’entriamo molto. Abbiamo detto di ‘sì’ alla Biennale tre mesi fa. Sono sempre situazioni più difficili però allo stesso tempo ti rimane anche un po’ più il ricordo. Ci piace anche infilarci in situazioni un po’ bizzarre.”

Voi siete anche studenti. Come riuscite a conciliare le due cose?

M– “Non abbiamo vita sociale! No, obbiettivamente, per come siam fatti, non troppo difficile perchè non abbiamo mai avuto questa vita sociale incredibile. Era quello che ci piaceva fare quindi, dovendo scegliere,  sceglevamo quelle due cose piuttosto che altre.”
A– “Dovresti rinunciare a delle altre cose per conciliare studio e musica, ma non avendole mai avute… Se io avessi un figlio direi ‘non ti azzardare!’.”
M– “Se ti piace quello che fai lo fai volentieri. Ricordo ancora i tempi in cui io non avevo la patente ed era lui che mi portava, erano dei concerti post scuola. Se ti piace trovi il modo per farlo.”
A– “Però quando guardi indietro dici ‘come ho fatto?'”

 

di Vittorio Signifredi

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