Differenziata, Parma fa scuola. E ora Dipartimento sulla sostenibilità
POLITICHE E INIZIATIVE PER RIDURRE LA PRODUZIONE DI RIFIUTI E TRASFORMARLI IN NUOVE RISORSE: WORKSHOP AL CAMPUS
In Emilia-Romagna i comuni che superano il 75% di raccolta differenziata passano da 19 a 41 in un anno. E Parma si distingue in Italia (ma anche in Europa) come primo capoluogo con oltre 150.000 abitanti sia la per raccolta differenziata che per minor smaltimento di rifiuto residuo. E’ quanto è emerso dal workshop “Scelte politiche sui rifiuti e impatto ambientale”, tenutosi lo scorso 7 dicembre al centro congressi “Santa Elisabetta”, organizzato dalla professoressa Monica Cocconi del dipartimento di Ingegneria industriale e dal Centro Acque dell’Università di Parma, in collaborazione col Cidea, Centro Interdipartimentale per l’Energia e l’Ambiente.
IL PRIMATO DI UNA REGIONE DIVISA IN DUE – “L’Emilia, per la gestione dei rifiuti, si dimostra da alcuni anni un territorio d’eccellenza a livello regionale, nazionale e non solo” afferma Maurizio Olivieri, vincitore del premio ‘Comuni Virtuosi’ come assessore del Comune di Montechiarugolo, aggiungendo: “Emergono però situazioni di grande disparità tra i comuni della regione”. Le differenze di risultato figurano, infatti, tra i piccoli comuni ed i capoluoghi dello stesso territorio e tra comuni con diversa distribuzione geografica. Ad esempio, in tutta l’Emilia ci sono ormai gruppi consistenti di comuni dagli ottimi risultati, mentre diventano rari nelle province della Romagna. Altre disparità di prestazioni si notano tra i capoluoghi: nel 2015 Parma, col 71% di raccolta differenziata, smaltisce 152 chilogrammi di rifiuto residuo per abitante, mentre le vicine Reggio Emilia e Piacenza mandano a smaltimento circa il doppio dei rifiuti pro capite. Sono inoltre 41 le amministrazioni sopra il 75% di RD e 52 i comuni che smaltiscono meno di 150 chili per abitante l’anno. Risultati ottenuti anche grazie alla legge regionale 16/2015 sui rifiuti e l’economia circolare, approvata poco più di un anno fa e che pone come obiettivi: il raggiungimento della quota di raccolta differenziata del 73%, una riduzione del 20/25% della produzione pro capite dei rifiuti urbani e una quantità di indifferenziato residuo inferiore a 150 chilogrammi per abitante. L’Emilia Romagna è la prima regione in Italia ad attuare un piano del genere, anticipando anche il “Pacchetto sull’economia circolare” della Commissione Europea. Con la LR 16/2015, nata da una proposta di iniziativa popolare, per la prima volta è entrato in funzione il meccanismo di premio economico, con cui i comuni che raggiungono una produzione di rifiuto residuo in chilogrammi per abitante annui inferiore al 70% della media regionale ricevono un bonus.
Per quanto riguarda la differenziata, le politiche degli ultimi anni hanno permesso una progressiva diminuzione di produzione regionale di rifiuti indifferenziati. secondo i dati Arpae, riportati dal professor Alberto Bellini dell’Università di Bologna, nel 2008 erano di circa 390 chilogrammi per abitante, mentre adesso sono quasi 280, con una conseguente riduzione di conferimento in discarica che ha fatto registrare un calo degli impatti ambientali. Impatti che per gli inceneritori rimangono alti, con una capacità regionale di trattamento di 1,2 milioni di tonnellate che non riesce neanche a soddisfare la richiesta territoriale. Seppur confrontando l’energia recuperata con l’incenerimento con quella risparmiata con il riciclo, dai dati dell’Environmental Protection Agency, per diversi materiali si nota che quest’ultima sia nettamente vantaggiosa.
IN ITALIA – Si aggira intorno ai 10 miliardi di euro all’anno per quanto riguarda il costo diretto della gestione dei rifiuti dei cittadini italiani, esclusi gli speciali. Sono circa 30 milioni le tonnellate di rifiuti urbani, sommati agli assimilati delle imprese (rifiuti ordinari delle aziende immessi nel circuito degli urbani, a discrezione comunale), prodotti in un anno in Italia. Di questi il 45,3 % viene differenziato alla fonte, per poi essere in buona parte recuperati o trasformati in materia prima seconda. Il 53,7% è invece indifferenziato, di cui 9 milioni di tonnellate vengono conferiti in discarica, in ‘eredità’ alle generazioni future, e 6,5 milioni sono destinati a incenerimento. E continuano le richieste di ampliamento delle discariche e di incremento del numero di inceneritori. Ad oggi, infatti, sono 40 gli impianti esistenti ed hanno una capacità superiore a 6.000.000 tonnellate. Le previsioni dello ‘Sblocca Italia’ indicano per un prossimo futuro un totale di 53 impianti con una capacità totale di 10.000.000 tonnellate. Considerata la continua crescita della popolazione mondiale e la disponibilità limitata di risorse, c’è un enorme spreco ingiustificato che genera un notevole impatto economico ambientale. È necessario, perciò, passare da un’economia lineare ad una più corretta economia circolare: un sistema in cui tutte le attività, a partire dalla produzione, siano organizzate in modo da ridurre lo scarto e renderlo una risorsa per assicurare il costante riutilizzo delle materie prime.
IL RUOLO DELL’UNIVERSITÀ’ DI PARMA – “Dalla definizione classica di sostenibilità di Brundtland del 1987 ad oggi -spiega il professor Alessio Malcevschi del Centro interdipartimentale di bioetica dell’Università di Parma e delegato del rettore per la sostenibilità– il termine si è ampliato ed articolato in maniera più complessa. E’ una scienza che tende a risolvere dei problemi e come tema è interdisciplinare e interdipartimentale. Fa parte del piano strategico dell’Ateneo e dall’anno prossimo l’Università di Parma avrà il Dipartimento di Sostenibilità. Ci sono diversi progetti in via di sviluppo proiettati verso un ateneo più sostenibile: uno fra tutti, Mastercampus, in cui, con la fondamentale partecipazione attiva e il coinvolgimento degli studenti, si vuole fare del campus un esempio di area eco-sostenibile.” “Il Cidea nasce alcuni anni fa da una collaborazione tra dipartimenti molto diversi tra loro –spiega invece il profossor Agostino Gambarotta, direttore del centro e delegato del rettore per l’energia-, ma con obiettivi riguardanti temi d’interesse comune: i problemi del consumo energetico, dell’esaurimento delle risorse e del nostro impatto sull’ambiente. Come università abbiamo il dovere di dare il nostro contributo in termini di attività di ricerca e sviluppo e di formazione e informazione.” Tra le iniziative portate avanti dall’università, una serie di progetti di ricerca sperimentale illustrati dal ricercatore Davide Imperiale e che riguardano metodi innovativi per la gestione dei rifiuti e lo sviluppo di tecnologie per la trasformazione di biomasse in char. Il biochar è ottenuto dal processo di decomposizione termochimica di materiali organici mediante applicazione di calore in totale assenza di ossigeno (pirolisi), senza combustione ed emissione dei composti ossidati che ne derivano. Può avere diversi utilizzi, ad esempio come fertilizzante, decontaminante e isolante.
di Federico Faraci
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