Studenti di Medicina, uno su tre è depresso. E c’è chi pensa al suicidio
LO DICE UNO STUDIO INTERNAZIONALE, IL CONSIGLIO DELL'ESPERTO: NON CONTA SOLO LA PERFORMANCE
Ansia, stress da competizione, privazione del tempo, carico di studio ingente, poco contatto umano. Ecco le cause che portano all’insorgenza di sintomi depressivi in molti studenti di Medicina.
Questa spiacevole tendenza è stata oggetto dello studio pubblicato il 6 dicembre 2016 su ‘Jama’, prestigiosa rivista universitaria americana di ricerca medica, secondo la quale quasi un terzo degli studenti di Medicina soffre di depressione o presenta sintomi depressivi. E in alcuni casi c’è chi pensa persino al suicidio. L’articolo fa riferimento ad una meta-analisi che comprende 183 studi, condotti tra il 1982 ed il 2015, interessando 43 Paesi e coinvolgendo oltre 129mila studenti. I dati parlano chiaro: il 27,2% di loro (in un range fra il 9,3% e il 55,9%) soffre di sintomi depressivi e l’11,1% (in un range fra il 7,4% ed 24,2%) ha pensato al suicidio. La percentuale sale al 28,8 fra gli specializzandi, a conferma del fatto che queste problematiche possano ripercuotersi sul benessere psico-fisico dei futuri medici a tutti i livelli del processo di formazione e permanere anche alla conclusione dello stesso.
LA SITUAZIONE A PARMA – Anche a livello locale la problematica è molto sentita. Tra le cause principali del problema, raccontano alcuni studenti, vi è l’elevata competitività, fra coloro che dovrebbero definirsi colleghi, a rendere l’ambiente di facoltà ostile. “Ho intrapreso questo percorso- dichiara L., studentessa del quarto anno di Medicina a Parma,- con grandi aspettative soprattutto dal punto di vista umano. Fin dall’inizio, però, mi sono stupita nel constatare come già alla prima sessione d’esame si fosse instaurato un clima di competizione assolutamente malato. Il confronto deve esserci, ma nella prospettiva di un miglioramento”. Un’altra causa è la quasi totale subordinazione del proprio tempo allo studio: molti studenti dichiarano di esserne ossessionati, anche nei momenti di relax. “E’ il mio primo pensiero al mattino e l’ultimo la sera – continua L.-. Nel momento in cui il mio naso non sprofonda fra le pagine di un libro, la mente, quasi per necessità, considera tutto come una perdita di tempo: questa condizione mi porta a non apprezzare più nulla di ciò che di bello ho intorno”.
COME AFFRONTARE IL PROBLEMA – Nella cultura medica i disordini relativi alla salute mentale vengono solitamente trattati meno seriamente rispetto a quelli fisici. Questa attitudine si rispecchia nel fatto che la maggior parte degli studenti è restia a rivolgersi ad una figura professionale, mentre tanti altri aspettano molto tempo prima di farlo. “Inizialmente mi sono affidata alle mie sole forze- dichiara R., studentessa del quinto anno, sempre all’Università di Parma- ma quando ho cominciato a non alzarmi più dal letto, mi sono rivolta prima a psichiatri in ospedale e poi a una psicologa del Centro di Salute Mentale. Mi ha dato una grossa mano”. Analogo è il caso di C., del quinto anno, che ha deciso di rivolgersi allo studio di una psichiatra specializzata in analisi psicodinamica, la quale gli ha rivelato che gli studenti di Medicina sono la classe più rappresentata fra i suoi pazienti.
L’ESPERTO: NON CONTA SOLO LA PERFORMANCE – Secondo il dottor Marco Vettori, noto psicoterapeuta specializzato nella cura di depressione, ansie e attacchi di panico, i problemi che affliggono molti studenti di Medicina derivano dal fatto che gli stessi non vengano valutati come individui ma come ‘oggetti che devono dare dei risultati’.”Gli studenti non devono semplicemente ‘produrre’ -sostiene il dottor Vettori-, ma devono avere la possibilità di essere se stessi all’interno di un percorso formativo che permetta loro, in futuro, di aiutare gli altri. Il sistema è impostato per tenere conto solo delle performance e non delle necessità delle persone: è comprensibile ma molto pericoloso.” L’esperto suggerisce dunque di non considerare la professione medica come il risultato di nozioni e tecnicismi, ma anche (o meglio, soprattutto) come il risultato di un mondo di relazioni in continua crescita, sia coi colleghi che con docenti e pazienti.
POSSIBILI SOLUZIONI – Uno studio condotto da un team di ricercatori della Columbia University, anch’esso pubblicato sulla rivista ‘Jama’, suggerisce possibili soluzioni alla problematica. Un miglioramento potrebbe derivare dalla modifica del sistema di valutazione, mentre un ulteriore miglioramento verrebbe apportato da una riorganizzazione del programma accademico, ad esempio aumentando il numero di ore di frequentazione del reparto. Infine, si dovrebbe facilitare l’accesso per gli studenti all’assistenza e al supporto da parte di figure professionali competenti. Queste soluzioni andrebbero gradualmente a migliorare l’ambiente lavorativo in cui gli studenti si trovano quotidianamente, a conferma del fatto che l’inadeguatezza manifestata dagli stessi abbia origine principalmente da un sistema mal organizzato. Il primario campo d’azione per la lotta a questa condizione è, dunque, l’ambiente.
di Marco Rossi
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