‘Solo’ una questione di genere: quote rosa, tutela o discriminazione?

GARANTISCONO L’ACCESSO LAVORATIVO ALLE DONNE A SFAVORE DELLA MERITOCRAZIA: LA VERA PARITÀ È ANCORA UN MIRAGGIO

Trump_abortoUno studio ovale, la solita cravatta azzurra e lo sguardo chino mentre firma un decreto che blocca i fondi per l’aborto, circondato da soli uomini. Dall’altra parte del mondo, in Svezia, una stanza anonima e una donna con una penna in mano seduta a un tavolo, lo sguardo di sfida verso l’obiettivo, circondata da sole donne che la osservano con gli occhi bassi, una delle quali è incinta. Subito interpretata dall’opinione pubblica come un’esplicita risposta all’immagine che ritraeva il neo presidente degli Stati Uniti d’America mentre decideva ‘un affare da donne’ come l’aborto in presenza di soli uomini, Isabelle Lovin, vice premier svedese in un governo ad alta componente femminile, ha subito sottolineato il suo punto di vista sui social: “Siamo un governo femminista e questa foto lo dimostra”. A destare l’attenzione non è però stato solo l’argomento trattato o il dibattito emerso, ma la netta e preoccupante divisione che emerge dalle due foto: da una parte tutti uomini, dall’altra tutte donne. Non bisogna però stupirsi: in una squadra di 25 membri, solo 4 sono le donne nel gabinetto americano, a fronte della perfetta parità di genere del diligente governo svedese, che si contraddistingue con 12 donne e 12 uomini.

Governo svedese donneMa allora, nell’immagine che ritrae Donald Trump circondato dal suo entourage completamente maschile, la parità di genere a che punto sta? Le ‘quote rosa’, o più propriamente quote di genere, sono tornate alla ribalta rinnescando il dibattito tra pro e contro. Contrapposti tra loro, da una parte sono riemersi i più convinti sostenitori di uno strumento normativo che garantirebbe un accesso lavorativo facilitato alle donne, mentre dall’altra i più intransigenti oppositori che hanno nuovamente additato le quote rosa come un mezzo discriminatorio che vuole tutelare le donne come ‘fasce più deboli’. Atteggiamento femminista e bigotto per i primi, maschilista e paternalista per gli altri. Si va avanti come i gamberi, verrebbe da dire, perché dal 2005, anno in cui è stato realizzato in Italia il primo disegno di legge in materia, la normativa è cambiata, ma non si può dire lo stesso per i presupposti. Alla base rimane l’idea di garantire una presenza equilibrata di genere, dando la possibilità anche alle donne di entrare in politica, ricoprire ruoli dirigenziali o manageriali, ma anche semplicemente lavorare in una società quotata e nella pubblica amministrazione.

Proprio qui iniziano a vedersi i primi segni di cedimento: se ci deve essere una legge che disciplini questo tema, significa che l’accesso femminile al mondo del lavoro è ancora lontano dall’essere la normalità. Per evitare che le donne siano vittime di discriminazione ed esclusione, le quote rosa sono il mezzo per tutelare una presenza equilibrata, anche se quel divario che si crea sul posto di lavoro tra uomini e donne sembra relegato a una gabbia di posti riservati più che risolto. Sono le condizioni di acceso a una posizione assegnata sulla base della meritocrazia che dovrebbero diventare paritarie, non quote dettate a priori. Numeri alla mano e opinioni a parte, secondo gli ultimi dati raccolti dalla Commissione europea, la percentuale di donne ai vertici delle aziende è aumentata grazie alle quote rosa e l’empowerment femminile nei consigli di amministrazione delle maggiori imprese quotate in Europa è in netta crescita arrivando al 21,2% nel 2015 rispetto all’11,9% del 2010. Questo dato però nasconde un effetto ancor più distruttivo e catastrofico: le quote rosa garantiscono l’assunzione e la parità di genere, ma rischiano di sminuire il bagaglio di esperienze, competenze e abilità guadagnati con anni di studio e gavetta. 

Quote_rosa

Le quote rosa giocano infatti sul filo labile delle possibilità garantite: poco importano i meriti, è tutta una questione di genere. Questo non fa altro che aumentare quella discriminazione che tanto si voleva risolvere con la loro introduzione: l’obbligo di scegliere soggetti del genere sottorappresentato potrebbe penalizzare e discriminare individui più meritevoli, ma esclusi perché appartenenti all’altro genere. Poco importa se il merito e la competenza non sono distribuiti in percentuali uguali tra i sessi, le quote rose appaiono oggi più che mai un escamotage, una tacita conferma che dipinge le donne come esseri incapaci di guadagnarsi autonomamente l’accesso lavorativo o l’ingresso in politica, bisognose di essere tutelate come una specie protetta.

A settant’anni dal diritto di voto femminile, che ci ricorda come la forza delle donne sia stata proprio quella di non subordinarsi ad un assetto della società che le considerava inferiori, ma di reagire e superare una questione di genere in favore della civiltà, le quote rosa sono ancora necessarie? A malincuore, bisogna ammettere che saranno indispensabili fino a quando la maternità sarà un limite alla crescita lavorativa e farà notizia in tv o sui giornali che una donna ricopra un ruolo dirigenziale, che diventi sindaco, che allatti il proprio bimbo in una seduta del Parlamento o che sia avvenente rispetto alle capacità che possiede. Fino a quando le competenze e i meriti saranno subordinati a una questione di genere, le quote rosa saranno estremamente necessarie. Solo dopo un cambiamento della mentalità, si potrà ritenere superata questa visione retrograda e medievale in cui la donna risulta incapace di ritagliarsi le proprie possibilità, di meritarsi i propri successi, di ottenerli senza vie preferenziali. E allora, in vero stile ‘girl power’, rimbomba il mantra ripetuto in quella canzone che al tempo fece tanto scalpore, ma che oggi sembra essere più attuale che mai: “Siamo donne, oltre le gambe c’è (molto) di più.”

 

di Francesca Bottarelli

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