In morte di Fabo: l’Italia ha una nuova vittima sulla coscienza

PERCHÈ SIAMO TUTTI RESPONSABILI

Eutanasia“Signor Presidente della Repubblica vorrei poter scegliere di morire, senza soffrire. [..] Fatemi uscire da questa gabbia, bloccato a letto e immerso in una notte senza fine.” È un grido di dolore lancinante e, allo stesso tempo, una richiesta d’aiuto quella lanciata due settimane fa da dj Fabo che aveva un solo desiderio: morire. Ormai il passato è l’unico tempo a disposizione perché Fabo, all’anagrafe Fabiano Antoniani, quel desiderio l’ha avverato da solo lunedì 27 febbraio alle 11.40 nella clinica svizzera Dignitas, dove gli è stata praticata l’eutanasia. Per essere precisi, Fabo ha consapevolmente scelto il ‘suicidio assistito’
perché ha autonomamente spinto con la bocca un pulsante per attivare la somministrazione del farmaco mortale, il pentobarbital, potente barbiturico diluito in acqua con una dose 4 volte superiore a quella letale; poi, ha scherzato e se ne è andato serenamente. Quella serenità che, in molti prima di lui, avevano richiesto a gran voce: Luana Englaro e Piergiorgio Welby per citarne solo alcuni. La stessa che gli era stata portata via da quasi tre anni quando, in una notte di giugno, un terribile incidente stradale l’aveva reso tetraplegico e cieco, incapace di nutrirsi autonomamente, non autosufficiente e dimenticato dal suo Stato a cui chiedeva di potersene andare dignitosamente. Fabo però non si è arreso e ha deciso di morire.Cappato_Eutanasia Una scelta coraggiosa per molti, un omicidio per altri. Aiutato da Marco Cappato, dirigente dell’associazione Luca Coscioni, che ora rischia fino a 12 anni di carcere per aver “rafforzato l’altrui proposito di suicidio” secondo l’articolo 580 del codice penale, quella di Fabo si inserisce come un ritornello già sentito in uno strumento accordato malamente, un altro tassello che allunga la lista di chi vuole porre fine a un incubo senza ritorno.
Quella di Fabo è una scelta emblematica in un Paese come l’Italia, in cui il diritto alla morte non è contemplato né garantito. Dal 2009 si parla di una legge sul biotestamento, ma la normativa italiana si assesta ancora una volta come fanalino di coda tra gli altri Stati europei perché, nonostante se ne sia iniziato a parlare già 8 anni fa con il caso di Eluana Englaro, solo da due anni si è arrivati a un disegno di legge che è stato rinviato tre volte negli ultimi mesi senza poter arrivare alla Camera.
Regole a parte, l’eutanasia ritorna ciclicamente sulle prime pagine dei quotidiani, un tema caldo impugnato dai politici solo quando la risonanza mediatica è talmente forte da poterla usare come scudo, per diventarne difensori ogni volta che ci si ricorda che l’Italia di strada ne deve fare ancora tanta. Attenzione però, in molti, in questi giorni, si sono fatti paladini della giustizia e hanno focalizzato la loro attenzione su un altro piano: ‘L’eutanasia è una scelta giusta o sbagliata?’ e qui sta proprio la chiave di volta. Che si voglia o no, l’eutanasia è una scelta a tutti gli effetti, legittima o meno che la si consideri. Non si entra nel merito di chi sta da una parte o dall’altra, ma dei diritti inalienabili della persona. È innegabile che, di fronte a una condizione di sofferenza infinita, nessuno si può arrogare il diritto di diventare giudice di ciò che non vive quotidianamente, delle difficoltà di una vita che non è ancora finita, ma formalmente è come se lo fosse. Avere la possibilità di scelta è, a suo modo, un atto di profondo amore e rispetto verso se stessi e chi condivide quel calvario, per risparmiare la prolungata agonia dello stare in vita artificialmente.
L’eutanasia però è anche una questione sociale dalla quale spesso rifuggiamo, che vediamo come un tema distante dalla nostra vita quotidiana, una possibilità remota con cui potremmo doverci rapportare senza avere gli strumenti né la conoscenza per affrontarla. È sempre un rischio però parlare di eutanasia perché si corre il pericolo di superare quella linea sottile tra la retorica e i personalismi che fanno collettivamente dire ‘tu non ci sei passato, non puoi permetterti di giudicare’. E la differenza è proprio questa: qui non riguarda la libertà di giudicare, ma di inneggiare quella libertà che difendiamo con strenua determinazione da secoli, che sia di pensiero, di espressione o fisica. Come Aristotele e Platone, così gli schiavi nella storia hanno sempre cercato di rovesciare un’esistenza di privazione e sottomissione in favore della libertà, così ogni uomo deve avere il diritto di autodeterminare liberamente chi essere e come vivere. E se un Paese non lo accetta né lo garantisce, si regredisce in una società che formalmente inneggia alla parità, ma che se la dimentica nella pratica, in una dittatura travestita da democrazia in cui lo Stato si definisce laico, ma arretra e sceglie cosa sia meglio a priori al posto di ciascun individuo.
Ora l’Italia ha una nuova vittima sulla coscienza, che si aggiunge al lungo elenco di chi non ha voce, né diritto, per mettere fine al proprio calvario. Non bisogna pensare all’Italia come a un’entità amorfa, ma a un insieme di responsabili: dai politici che continuanFabo_Eutanasiao a rimandare l’approvazione della legge alla Chiesa che non si slega dai formalismi e dalle tradizioni, da coloro che si permettono di giudicare la condizione di vita dominata dal dolore e dalla sofferenza a chi non fa niente e pensa che questo non sia un problema che lo riguarderà. Siamo tutti responsabili e assassini perché non siamo stati capaci di garantire a Fabiano, Eluana, Piergiorgio e a chi come loro, di vivere fino in fondo la propria vita e di scegliere liberamente come porle fine.
Il tema è sempre la scelta, essere ‘obbligati a’ o ‘liberi di’, ma a volte la libertà spaventa in Paese in cui è si fugge all’estero per trovare lavoro, adottare un bambino se non si è sposati, sposarsi se si ama una persona del nostro stesso sesso e da oggi anche morire. Fabo ci rende tutti un po’ più orfani e colpevoli in un Paese che sembra essersi dimenticato le parole di Lucilio: “Non è bene il vivere, ma il vivere bene”, ma verrebbe anche da aggiungere, avendo la possibilità di scegliere il proprio finale.

 

di Francesca Bottarelli

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