Pd, la scissione vista dai ‘nativi-democratici’ di Parma

"LE COLPE NON SONO SOLO DI RENZI": IL MOMENTO PIU' DIFFICILE DEL PARTITO SECONDO GD E DIPARTIMENTO GIOVANI

pdTogether we stand, divided we fall“. Insieme resistiamo, divisi cadiamo. Così cantavano i Pink Floyd in una delle loro più celebri canzoni, ‘Hey you’. Evidentemente, però, l’idea che solamente uniti si possa resistere non è condivisa -o quantomeno non è praticabile- proprio da tutti. Lo dimostrano i fatti che hanno recentemente interessato il Partito Democratico. Il momento fondamentale di questa (forse) inevitabile spaccatura è il 20 febbraio 2017, quando a un giorno dalle dimissioni di Matteo Renzi e conseguente nomina di Matteo Orfini a segretario ad interim, un gruppo di dirigenti e parlamentari guidati da Pier Luigi Bersani, Enrico Rossi e Roberto Speranza esce dal Pd e fonda ‘Articolo 1- Movimento democratici progressisti‘. Un nome che inevitabilmente ricorda un po’ la Dp (Democrazia Proletaria) della Prima Repubblica, partito schierato fortemente a sinistra, nato nel 1975 come coalizione elettorale e poi scioltosi nel 1991. Ma anche per questi ‘nuovi’ (sulla carta) i problemi già non mancano: il democratico Ernesto Carbone ha minacciato addirittura azioni legali dovute al fatto che il nome ‘Democratici e progressisti’ esisteva già e a lui si è affiancato Alessandro La Cava, presidente di ‘Art.1’. Come si dice in questi casi, però, è ancora tutto da vedere.

GDLA PAROLA AI GIOVANI – “Il Pd sta attraversando il momento più difficile della propria storia: questa difficoltà è vissuta e sofferta (…) anche da noi nativi democratici, noi ragazzi che siamo politicamente nati e cresciuti sotto le insegne di questo partito”. Inizia così l’appello che i Giovani Democratici, l’organizzazione giovanile del Pd, hanno rivolto ai dirigenti del partito prima del congresso, nella speranza che la scissione non fosse poi davvero l’unica strada possibile.  Alessandra Terenziani, segretaria Gd della provincia di Parma, spiega: “Abbiamo sperato fino in fondo che lo strappo potesse essere ricucito, proprio in nome dell’unità del partito e del rispetto per il lavoro di molti militanti che, come noi, ogni giorno ci mettiamo la faccia e tanto impegno. Abbiamo condiviso l’appello del nostro segretario nazionale Zunino in questo senso. Ma siamo tutti concordi sul prendere una direzione comune, che è quella di continuare a lavorare, come abbiamo sempre fatto, per portare avanti il progetto del Partito Democratico Partito che, da sempre, prende la sua ricchezza nella pluralità di idee e nel quale sentiamo ancora la nostra identità.”

La spaccatura secondo Stefano Bargiacchi, studente attivo nei Gd, ha messo in crisi le generazioni nativo-democratiche che tuttavia non hanno faticato a decidere di restare nel partito anziché seguire nuove correnti. “Personaggi come Speranza o Bersani – dice -, nonostante siano innegabilmente di rilievo da un punto di vista politico, hanno già in un certo senso dato tutto e per una questione anagrafica è difficile che possano capire realmente come essere vicini ai più giovani”. Eugenio Moscatelli, studente di Ingegneria e tesserato Gd, sostiene invece che la scissione vada avanti silenziosamente da tempo e questo sia stato un atto finale riguardante soprattutto i quadri dirigenti. “Il problema della nostra classe dirigente -spiega- è che manca della capacità di fare un’analisi politica da oggi in poi”. Per evitare la scissione, i Giovani democratici si sono anche definiti i ‘caschi blu‘ del partito, sottolineando, sempre nel comunicato ufficiale, che “il vero punto di questo congresso non è quando si fa, ma come si fa. Il congresso non può limitarsi ad una sbrigativa scelta del ‘capo’ ma deve essere un momento di elaborazione di un programma il più condiviso possibile e che rappresenti il faro dell’azione politica“. Della stessa opinione è Rocco Guevara, studente di Economia, nonché segretario di circolo di Parma Centro del gruppo Dipartimento Giovani Pd, nato nel 2015 con l’obiettivo quello di rendere la città quanto più possibile a misura di studente. “Io non credo che questo risultato fosse così scontato come credono alcuni, anzi, abbiamo sperato fino all’ultimo che le cose potessero risolversi diversamente perché non si può certo dire che sia un fatto positivo per il Pd. Se si è arrivati a tanto -sottolinea Rocco- le colpe sono sicuramente da dividere. Ma noi restiamo un gruppo unito: un partito è fatto da più persone, non da una sola. Quindi in questo momento, al di là di chi sia e chi sarà il segretario, resta fondamentale il gruppo che lavora, come fosse una fabbrica di capitale umano.”

UN RUOLO DA CONTENDERE – Scissione: un risultato quindi inaspettato per alcuni, ma non per tutti. “Nel corso degli ultimi sei mesi ci sono stati due appuntamenti referendari e per entrambi nel Pd c’era chi faceva campagna per il sì e chi per il no” sostiene Matteo Broso, studente a Bologna e responsabile giovani della segreteria cittadina di Parma. “Questo può sembrare paradossale -aggiunge- ma in un certo senso è anche un valore aggiunto: il Pd rappresenta una grande identità politica nel Paese e che, seppure divisa in più correnti, permette al suo interno questo livello di pluralismo e dibattito. Lo scopo è arrivare a una sintesi -continua- e, seppure si tratti di un processo estremamente complesso, già solo il fatto che esista un contenitore che permetta di provarci, secondo me rappresenta un grande valore per la politica italiana. Anche perché la domanda fondamentale è: un partito che non è democratico al suo interno può produrre democrazia?

emiliano-renziNel frattempo, se da un lato Andrea Orlando sostiene di essere l’unico in grado di mantenere unito il partito, anche Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia e fino all’ultimo in linea con gli scissionisti, ha deciso di restare nel Pd e sfidare Renzi per la conquista della segreteria. “Io personalmente sosterrò Andrea Orlando. Nella mia storia politica non sono mai stata renziana -riprende Alessandra Terenziani-; credo, come molti, che nell’ultimo periodo si siano fatti errori, da tutte le parti in causa e non solo da Renzi. Perciò ritengo sia giusto faccia un passo indietro. Orlando è una persona con molte qualità e lo ritengo adatto a guidare il partito” . “Il problema di Renzi è stato a mio parere un problema di accountability, ma Emiliano non è la persona giusta -commenta invece Stefano-. E’ un candidato che piace al popolo ma alle volte suona quasi populista e, paradossalmente, è molto poco di sinistra quando dice che i partiti e i politici non dovrebbero essere finanziati”.  Dello stesso parere anche Eugenio: “In questo modo si destina la carriera politica solo a chi se la può permettere economicamente.”

A prescindere da quanti e quali siano i candidati al ruolo di segretario di partito, una cosa, è certa: “Quando ci sarà il congresso si vedrà quale leader sarà in grado di interpretare meglio l’idea di sinistra degli appartenenti al partito -conclude Matteo-, ma il fatto che ci siano più candidati non è negativo: la possibilità di contendersi la leadership è un altro grande elemento di natura democratica che al momento esiste solo in questo partito. Il ruolo non è ereditario, come è stato ad esempio nel caso del Movimento 5 Stelle alla morte di Casaleggio, ma contendibile E’ una cosa che diamo per scontato ma significa che la sinistra ha la possibilità di auto-rinnovarsi.”

di Fiorella Di Cillo

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