Crisi e Mibact: i restauratori rischiano l’estinzione

SOLO LA PASSIONE TIENE A GALLA UN ARTIGIANATO CHE AFFOGA

restauro“Il restauro costituisce il momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futuro”, Cesare Brandi.
Sono le parole dello storico restauratore senese, ricordato soprattutto per la raccolta ‘Teoria del restauro’ del 1963, che rappresenta uno dei più importanti punti di riferimento nell’ambito della disciplina. Brandi concepiva il restauro come esercizio critico: lo studioso d’arte è colui che definisce non solo la designazione e l’emanazione dell’opera, ma anche tutte le direttive che la assicurino e conservino senza manomissioni e aggiunte alla cultura del futuro. Una missione di fedeltà, altro che ‘riaggiustare’ ciò che il tempo ha rovinato. Forse è per questo che chi ormai è nel settore da anni sostiene che il suo mestiere sia il più bello del mondo e che non lo cambierebbe per nessuna ragione.

Passione, sì, ma la crisi sembra non dare tregua, come spiega Carla Tomasi, presidente dell’associazione di categoria, l’Ari: “Oggi, purtroppo, c’è una drammatica diminuzione del lavoro. Le imprese di restauro in Italia sono circa 500 ma quelle veramente operative sono meno della metà. In ambito pubblico c’è un restauratore ogni dieci soprintendenze”. E  i numeri dell’Autorità di vigilanza confermano la teoria della presidente: “Dal 2009 al 2011 gli appalti per progetti di restauro sono stati pochissimi, una ventina all’anno. Il momento, insomma, non è per nulla roseo. L’unica speranza è quella di puntare sull’alta qualità del nostro lavoro, sulla grande specializzazione dei restauratori italiani.”

Restauratori che però non sembrano tenuti in grande considerazione dal Ministero dei Beni Culturali. L’ultimo colpo al settore è stato inferto proprio dal Mibact, che nel 2016 ha pubblicato un elenco dei restauratori professionisti che accoglie solo i diplomati delle Scuole di alta formazione escludendo molti artigiani che praticano il mestiere da anni, con il conseguente appello al Tar di diverse categorie di settore.

La passione, però, non vuole saperne di arretrate e a Parma il mercato dell’Ospedale Vecchio torna ogni giovedì con cimeli d’antiquariato restaurati e non. La clientela, però, settimana dopo settimana diminuisce; sembra che la gente che vi passa si accontenti di osservare i prodotti in vendita per poi proseguire oltre. “Prima c’erano venti banchi – spiega un venditore –  adesso appena dieci; ormai il numero della gente che si ferma è preoccupantemente scarso. Però sono soddisfatto, perché noi facciamo il lavoro anche per passione e questo ci stimola ad andare avanti. Ma come attività è abbastanza marginale. Io, ad ogni modo, sono orgoglioso del mestiere che faccio, mestiere che ho imparato proprio sulla frequenza di questi mercatini. Non cambierei per niente ciò che ho fatto fino ad adesso“.

 SONY DSCSe dunque i mercatini non navigano in acque tranquille, stessa situazione vivono i      laboratori di restauro, ormai quasi fantasmi. La gente lavora praticamente per nulla,  perché ogni lavoro portato a termine non ha spesso altro destino se non quello di restare nella bottega del restauratore. Secondo Dario Bernini il mercato è ormai crollato a picco: “Il lavoro che  io svolgo è molto difficile, ma nonostante questo sono soddisfatto del mio mestiere,  perché è una passione che pratico fin da quando ero giovane. Molto meno per i risultati,  perché al momento il mercato va molto male. La gente non compra più niente“.

Stesso discorso vale per il restauratore Giorgio Arcari: ” Si fa molta fatica a vivere di restauro oggi. Il mercato va assolutamente male, tant’è che i margini di guadagno sono praticamente inesistenti. Il mio mestiere è molto impegnativo e faticoso e comporta grandi responsabilità, perché poi mi tiene impegnato per almeno 10 ore al giorno, ma vedere che il mercato vive questa crisi è un fattore molto deludente”.

Ancora più categorica la restauratrice Antonella Zoni: “Non si tratta di mercato, ma proprio del tipo di lavoro artigianale che sicuramente è stato penalizzato da tanti fattori, tipo il sistema fiscale che  è cambiato e non ti permette più lavorare. Ormai devi faticare molto per tenere aperto, per riuscire ad avere lavoro e per coprire le spese. Se fosse per me farei qualcos’altro anche perchè che non ci sarà alcun cambiamento: ma cosa? E’ un lavoro destinato a scomparire, come tutti gli altri lavori artigianali, perché ormai all’amministrazione non importa più il valorizzare questa attività, preferisce aprire centri commerciali. Questo sarà la morte dei centri storici, ma io continuerò ad andare avanti. Sono soddisfatta del mio lavoro ma non è stato gratificante, o quantomeno è stata una gratificazione mia”.

di Mattia Celio

rtigianato del Veneto

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