L’ omicidio di identità: finalmente la legge per punire chi sfregia

PENA DI UN MINIMO DI 12 ANNI E AUMENTO DI 1/3 SE C'ERANO RELAZIONI TRA VITTIMA E CARNEFICE

dDiscussione sulla legge per l'omicidio di identitài Giovanni Zola |

“Non mi ha ammazzata, ma lo ha fatto lasciandomi viva. Confrontarsi ogni giorno con un volto che non ti appartiene, non trovare più la Carla di prima: è dura”. Così Carla Caiazzo si raccontava pochi mesi dopo il dramma di cui era stata vittima. Il fatto risale al febbraio del 2016 e il copione, purtroppo, non è nuovo. Una storia d’amore che arriva al capolinea, un ex geloso e possessivo, un gesto di violenza estremo. Certo sarebbe superficiale ricondurre ognuna di queste vicende a uno schema predefinito, ma si ritrovano, ahimè, alcuni punti di contatto come una forte predisposizione al controllo e alla violenza mentre altre variabili si presentano invece in forma sempre diversa. Nel caso della Caiazzo, il suo ex Pietro Pietropaoli le diede fuoco mentre questa era incinta della loro bambina, all’ottavo mese di gravidanza, sfigurandola e mettendo in grave pericolo la sua vita e quella che portava in grembo. La sua triste vicenda ricorda quella di Lucia Annibali o Gessica Notaro, sfregiate con l’acido da persone con cui avevano condiviso sentimenti e progetti. La condanna a Pietropaoli è arrivata pochi mesi fa: 18 anni di reclusione per tentato omicidio e stalking. Carla nel frattempo ha subito oltre dieci interventi ma, come ha dichiarato, ha perso la sua precedente identità, perché i tratti del volto sono alterati, irriconoscibili, distanti da ciò che rappresentavano un tempo.  

La proposta di legge giunta la scorsa settimana in Parlamento e sostenuta della senatrice Laura Puppato (esponente Pd),  è la risposta a drammi come questi, che vanno oltre la violenza, lo stalking, il tentativo di porre fine a una vita. Si introduce una volontà premeditata di distruggere l’identità e tutto quanto sia legato a essa. Deturpare un viso, alterarne i lineamenti, corrisponde in un certo senso ad azzerare il vissuto di una persona. Guardare il proprio volto allo specchio la mattina è un gesto istintivo, quasi banale, ma racchiude il riconoscimento del proprio io. Ragionando su questi aspetti si può comprendere il motivo dell’introduzione di un nuovo reato, quello dell’omicidio di identità, che miri a inasprire le pene e tutelare le vittime. Finora, in casi come questi, la giurisprudenza contemplava le condotte di lesioni (più o meno gravi) o tentato omicidio. La proposta di legge andrebbe dunque a colmare un vuoto esistente tra i due reati appena citati; non solo: l’introduzione nel codice penale degli articoli 577-bis, 577-ter, 577-quater, comporterebbe alcuni importanti cambiamenti. In primo luogo verrebbe  introdotta per il reato una pena minima di 12 anni. Nel caso di  una relazione tra vittima e aggressore poi la pena verrebbe aumentata da un terzo alla metà, e comporterebbe per il colpevole la perdita del diritto agli alimenti e all’eredità. Il testo prevede inoltre la creazione di un ‘Osservatorio permanente’ per le azioni di monitoraggio, prevenzione e contrasto del fenomeno. 

La proposta di legge rappresenta un importante riconoscimento al coraggio di donne come Lucia Annibali, Gessica Notaro, Carla Caiazzo; dà valore alla loro forza, alla tenacia con cui si battono per riavere una vita, pur consapevoli che le cicatrici, visibili o nascoste, non potranno essere cancellate. A testimonianza di ciò basti pensare che il testo in questione nasce dalla ferma volontà della Caiazzo, che già nel novembre 2016 scrisse una lettera al presidente Sergio Mattarella, chiedendogli di sollecitare il legislatore a trovare “una nuova figura di reato” per punire severamente “coloro che, nel loro intento delittuoso, colpiscono le donne e, soprattutto, le cancellano dalla società civile”.

presentazione della leggeUn aspetto della vicenda merita una particolare riflessione: la legge è stata firmata da 12 senatrici donne e ha ottenuto il sostegno unanime di tutti i gruppi parlamentari, cosa mai accaduta in questa legislatura. Il segnale è forte e significativo: un fronte coeso, oltre i confini politici, per reagire a una forma di violenza meschina e non tollerabile.  Una proposta tutta al femminile per un reato che in larga parte colpisce le donne. Su questo si sono concentrati nei giorni scorsi i maggiori quotidiani, trascurando però che non si tratta di un problema unicamente femminile. Esistono episodi, certo più rari, in cui a subire questa forma di violenza sono stati degli uomini, e il racconto della loro sofferenza meriterebbe la stessa attenzione e cura.  Sia chiaro: non si tratta di contestare la legge né di deresponsabilizzare in qualche misura gli uomini che compiono questa ingiustificabile e codarda forma di aggressione. Ma i media hanno il dovere di andare oltre le scelte simboliche, i loghi comuni e le notizie dal clic facile. In questo senso è da ritenere quantomeno singolare che la maggior parte dei quotidiani , parlando dell’argomento, non abbia minimamente citato ad esempio le storie di William Pezzullo o Pietro Barbini, due ragazzi sfregiati con l’acido dalle loro ex. Barbini, nel dicembre 2014, fu vittima di un’aggressione da parte di Martina Levato e dell’amante di lei, Alexander Boettcher. La coppia, intenzionata a punire tutti gli ex fidanzati della ragazza, attirarò Barbini a un appuntamento e lo colpì con l’acido in pieno volto. La storia di William risale invece al settembre 2012. Mentre, nella sera del 19, faceva rientro a casa, venne immobilizzato da due persone col passamontagna. Una di queste era la sua ex Elena, gli getto addosso una secchiata d’acido. 

Molte di queste storie, rileggendole alla luce di oggi, hanno un tratto che le accomuna: la forza con cui le vittime hanno saputo reagire. La tenacia della Caiazzo ha permesso che dalla sua esperienza nascesse una proposta di legge capace di colmare il vuoto presente finora. Pietro Barbini, che prima dell’aggressione era in procinto di laurearsi in economia a Boston, ha ripreso gli studi conseguendo, nel 2016, il titolo con lode. Lucia Annibali ha scritto un libro, ‘Io ci sono’, diventato poi una fiction Rai, in cui racconta la sua storia: una testimonianza coraggiosa e un segno di rinascita. Non tutti hanno però la capacità o le possibilità per ricominciare una nuova vita. C’è chi, come William Pezzullo, ha dovuto rinunciare al proprio sogno, il bar aperto poco prima dell’aggressione, per poter pagare le spese mediche. E ancora oggi fatica a trovare i soldi per le operazioni di cui avrebbe bisogno. Nessuna di queste vicende va dimenticata, e i giornali possono contribuire a far si che la strada per queste persone sia meno difficoltosa. La legge sull’omicidio di identità è in tal senso un importante passo in avanti. Ma, oltre a quello legislativo, è indispensabile colmare anche il vuoto di umanità che emerge da queste storie.  

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