Da rifiuto a cura: perchè e come donare il cordone ombelicale
"A PARMA DONAZIONE AL DI SOTTO DEL 10%, TRA LE PARTORIENTI STRANIERE E' DIFFICLE INFORMARE"
Era il 1988 quando fu eseguito il primo trapianto di cellule staminali emopoietiche. Da allora sono stati eseguiti quasi 10mila trapianti, di cui 700 solo in Italia. Il sangue del cordone ombelicale, in passato gettato come scarto, ne costituisce una preziosa fonte alternativa e può essere conservato per curare malattie come la leucemia, i linfomi, l’aplasia midollare (non produzione di cellule del sangue), la talassemia e le immunodeficienze congenite. Gli ultimi dati completi e certi a livello nazionale risalgono al 2015, in cui sono stati effettuati 729 trapianti di cellule emopoietiche (tra midollo osseo, sangue periferico e sangue del cordone ombelicale). In Emilia Romagna, sempre nel 2015, sono avvenute 380 donazioni eterologhe, 24 autologhe e 2 dedicate. Ma che cos’è? Come funziona la donazione del cordone ombelicale? Soprattutto, perché donarlo?
Partiamo con ordine: il sangue del cordone ombelicale è quello residuo nella placenta e nel cordone in seguito alla sua recisione dopo la nascita. Insieme al midollo osseo e al sangue periferico, è ricco di cellule staminali emopoietiche, ovvero quel particolare tipo di cellule da cui vengono generati globuli bianchi e rossi e piastrine. Per questo la loro infusione è molto importante per curare le malattie del sangue come leucemie e linfomi, per aiutare i pazienti che hanno subito dei trapianti e per curare malattie genetiche, come anemia mediterranea e morbo di Cooley. Questo tipo di sangue ha una particolarità che lo rende più versatile rispetto alle altre due fonti principali di cellule emopoietiche: essendo raccolto appena dopo il parto è immaturo da un punto di vista immunologico, per cui supera quasi del tutto le barriere legate alla compatibilità. “Il trapianto è di solito a favore dei bambini di peso non superiore ai 30kg per via della poca quantità di cellule presenti in una sacca. Ultimamente si usa anche più di una sacca“, spiega Rita Lombardini, coordinatrice infermieristica della sala parto dell’Ospedale Maggiore di Parma.
L’ITER PER LA DONAZIONE – Le donne in gravidanza possono decidere di donare il sangue del cordone ombelicale consultando il reparto di ostetricia e ginecologia dove hanno deciso di partorire. “A Parma la donazione non è ancora molto diffusa – afferma Maria Giovenzana, presidente della sede di Parma di Adisco, Associazione donatrici italiane sangue cordone ombelicale -. Non si arriva nemmeno al 10%”, continua spiegando che qui molte partorienti sono straniere e che, per quanto il materiale informativo sia tradotto in molte lingue, è difficile informare. Sarebbe invece molto importante che le donazioni crescessero, soprattutto perchè, nel momento in cui ad ammalarsi sono bambini di altre etnie è quasi impossibile trovare donatori. “Tra le straniere, a donare sono per lo più le nord africane e le europee dell’est – aggiunge Rita Lombardini- perchè di solito capiscono meglio l’italiano. La mediazione culturale è impensabile perché c’è limitato uso anche nelle procedure base.” La futura mamma e, quando possibile, il futuro papà dovranno sottoporsi ad un colloquio con un medico per verificare che ci siano tutte le condizioni necessarie alla donazione. La procedura prevede la somministrazione di un questionario con domande di natura personale e riguardanti anche la storia medica delle famiglie di origine, fino ad arrivare ai nonni della coppia donatrice. Questo perchè ci sono alcune patologie che rendono impossibile la donazione, come: malattie autoimmuni, cardiovascolari, malattie organiche del sistema nervoso centrale, neoplasie, malattie della coagulazione, crisi di svenimento e convulsioni, malattie gastrointestinali, epatiche, urogenitali ematologiche, renali, metaboliche e respiratorie, diabete insulinodipendente e malattie infettive (Aids, epatite). Inoltre ci sono anche altri fattori ostetrico-neonatali che impediscono la donazione: febbre nella partoriente, rottura della membrana per più di 12 ore, gestazione inferiore alle 37 settimane, malformazioni congenite del neonato, tampone vaginale assente o positivo allo streptococco betaemolitico. Al momento del parto, se la madre è ancora favorevole, si eseguono dei test infettivologici obbligatori per legge. In un periodo di tempo che va dai 6 ai 12 mesi dopo il parto, la mamma e il bambino vengono sottoposti ad altri test, sempre al fine di valutare l’idoneità del sangue. Inoltre, la madre è tenuta a fornire alla banca che conserverà il sangue del cordone tutta la documentazione relativa allo stato di salute dell’infante. La donazione è anonima e gratuita e – è importante precisarlo – non toglie sangue al neonato, né comporta rischi per lui o per la madre.
Ma chi si occupa del prelievo? “Il personale di ostetricia è tutto specializzato nella raccolta del sangue del cordone ombelicale – continua Lombradini -. Presso il Policlinico Sant’Orsola di Bologna abbiamo un corso con accreditamento in cui il personale va a formarsi.”
BANCHE DI CONSERVAZIONE E TRAPIANTI – Per conservare il sangue cordonale sono state costituite banche apposite. Attualmente a livello mondiale ne esistono circa 100, di cui 18 solo in Italia. Queste sono coordinate a livello centrale dal Centro nazionale sangue in collaborazione con il Centro nazionale trapianti e agiscono all’interno del Servizio sanitario nazionale. Le unità di sangue attualmente conservate in Italia sono 20mila. Nell’ospedale Sant’Orsola di Bologna è presente la banca regionale dell’Emilia Romagna. Nelle banche italiane vengono conservate le unità per scopo allogenico non familiare, ovvero sia a disposizione della collettività, finalità più diffusa, o familiare, quindi a favore dei parenti del donatore. Questa particolare prestazione, che viene definita per uso dedicato, deve essere richiesta presentando motivata documentazione clinica e viene offerta senza oneri per la famiglia. Interessa soprattutto quei nuclei famigliari in cui ci sia un elevato rischio di malattie genetiche, che potrebbero interessare futuri figli. E’ importante sottolineare che la possibilità di compatibilità all’interno di una stessa famiglia è pari al 25%.
In Italia, ma non nel resto del mondo, è invece vietata la conservazione per uso autologo, ovvero a favore del donatore stesso, perchè non ci sono evidenze scientifiche che questa forma di trapianto sia efficace. Anzi, soprattutto per quanto riguarda l’insorgenza di alcuni tipi di leucemie infantili, in alcuni casi è stato riscontrato che le alterazioni fossero già presenti nel cordone ombelicale. Per la cura delle malattie del sangue, tra cui le leucemie, è stato invece osservato che l’impiego di sangue eterologo accresca l’effetto immunologico e aumenti il successo dei trapianti.
Tra tutte le banche esistenti ci sono rapporti di cooperazione a livello mondiale. “Molti nostri cordoni vanno a finire in America, dove la pratica è più diffusa”, racconta Giovenzana. Esistono, soprattutto all’estero, molte banche private che consentono la conservazione del cordone ad uso autologo, ma il ministero de, nonostante permetta di esportare il sangue fuori dei confini nazionali a spese del donatore, difficilmente autorizza il rientro di cordoni dall’estero.
DONAZIONE PER LA RICERCA – Non tutti i cordoni che vengono donati, però, vengono anche banchizzati: “Se il cordone non ha un numero sufficiente di cellule per essere banchizzato – spiega la presidente di Adisco Parma – viene usato per la ricerca, che sta andando avanti molto bene. Basti pensare al gel piastrinico impiegato per la cura di piaghe e per i neonati prematuri.” Dietro consenso della madre, questo sangue, invece di essere scartato, può essere donato alla ricerca. Il gel piastrinico, ottenuto dal frazionamento del sangue intero, ricco di piastrine, responsabili della coagulazione del sangue, viene impiegato in molte branche della medicina: la chirurgia plastica, l’ortopedia, la chirurgia maxillo-facciale e per il trattamento di ulcere, del piede diabetico, delle piaghe da decubito e dell’epidermolisi bollosa.
La donazione del sangue del cordone ombelicale è un grande gesto di solidarietà, ancora non molto diffuso, ma capace di salvare molte vite, sia che venga impiegato per il trapianto, sia che venga usato per la ricerca.
di Silvia Stentella
Scrivi un commento