Caro (nuovo) rettore ti scrivo

ECCO COSA CI ASPETTIAMO DALL'UNIVERSITÀ DI DOMANI, IN MANO A PAOLO ANDREI

Paolo Andrei RettoreCaro (nuovo) rettore ti scrivo, non è il titolo di una canzone di Lucio Dalla, anche se ha tutte le carte in regola per esserlo.
Lo so, ti sarebbe piaciuto, soprattutto perché avrebbe parlato di speranza, fiducia e novità per il nuovo ciclo accademico che la tua elezione ha portato con sé. Sarebbe stato un incoraggiamento a regola d’arte per il sessenio che ti aspetta ma, almeno in parte, non sarà così. Avrai un compito difficile, caro rettore, di quelli per cui ti devi rimboccare le maniche, sudare e maledirti per esserti assunto questa responsabilità. Potrei dirti che l’Università non vede l’ora di ripartire, il personale è felice di farne parte e gli studenti sono entusiasti, ma non sarei sincera. E noi, caro rettore, da maggio abbiamo un estremo bisogno di sincerità e chiarezza.
Ci stiamo leccando le ferite che bruciano ancora e l’amarezza è l’unica cosa che proviamo per essere stati sotto le luci della ribalta. Non ci siamo per l’innovazione della ricerca, per un risultato ottenuto o per un progetto realizzato. Ci siamo stati in questi lunghi mesi per inchieste, illeciti e tangenti. Siamo stati nell’occhio del ciclone, su un’immeritata gogna mediatica che ci ha reso vulnerabili, che ci ha fatto vergognare di farne parte. Ripartire, caro rettore, sarà tutt’altro che semplice. Noi studenti siamo scettici per il futuro, preoccupati perché l’incertezza è stata un limbo ora difficile da lasciarsi alle spalle.
Ti sei mai fermato a chiedere ai tuoi studenti cosa si aspettano da quest’Università?
Ne troverai molti scoraggiati in partenza, al punto dal ripetersi da soli il solito ritornello “tanto non ci sono soldi”, convinti che il futuro dell’università pubblica equivalga a un procedere instabile e senza fondi su cui investire.
Caro rettore, io non devo farti vedere cosa è stato fatto di positivo e cosa funziona in quest’Università perché, anche se dalle mie parole può non sembrare, ci sono tante esperienze positive, potenzialità e progetti. Ma non bastano: ecco, caro rettore, cosa vorremmo e soprattutto cosa ci aspettiamo dall’Università di domani, prima che la stanchezza abbia la meglio.

Ci aspettiamo un’Università che non cerchi l’attenzione della città ma che sia fiera di rappresentarla . Ci aspettiamo un’Università che investa indistintamente su TUTTI i dipartimenti, sulla loro effettiva crescita e sul loro sviluppo. Ci aspettiamo un’Università riconosciuta per il suo prestigio, non per il numero degli scandali né degli indagati. Siamo stanchi di fronte alla convinzione diffusa di non chiedere per paura che non ci siano fondi da impiegare. Siamo stanchi che gli sforzi fatti nell’innovazione della ricerca siano troppo spesso dati per scontato. Siamo stanchi dei laboratori a numero chiuso di alcuni corsi, che sembrano più una televendita di pentole, in cui solo se rientri nelle prime 50 email e sei veloce ad iscriverti, riesci ad accaparrarti quell’opportunità. Siamo stanchi di aver letto i programmi di tutti i candidati e averci trovato in una percentuale imbarazzante la parola studenti. Siamo stanchi di sentire alcuni professori credere che il progetto Erasmus non sia proprio un valore aggiunto per l’Ateneo. Siamo esausti di essere ridicolizzati su pagine Facebook perché un candidato rettore liquida uno studente dell’Unipr che chiede un ricevimento con un saccente “Io ho altre cose a cui pensare”. Siamo stanchi, punto.Candidato_Rettore Email Perché neanche te lo scrivo che vorremmo un’Università più europea, inclusiva, dinamica, partecipativa, attiva e veloce, perché quello è il sogno di tutti. Noi però non abbiamo bisogno nè di sogni nè di promesse. Abbiamo bisogno di fatti, di concretezza, di trasparenza.
A Parma si direbbe che ‘ci stiamo lamentando del brodo grasso’, della fortuna che abbiamo e nella quale riusciamo comunque a trovare dei difetti. Ebbene, caro rettore, non è una questione di essere incontentabili di fronte alle opportunità, ma la necessità di migliorare ciò che ancora non funziona.
Scusa, caro rettore, se mi sono presa la libertà di darti del tu, ma credo che il cambiamento inizi anche da qui. Non abbiamo bisogno di chi si erge su un piano superiore, ma di qualcuno che voglia prenderci per mano e guidarci in questo percorso a ostacoli. Perché se sei lì, caro rettore, lo devi anche a tutti i tuoi studenti. Abbandona i soliti panni istituzionali e mettiti per una volta tra chi vive l’Università tutti i giorni, tra chi riceve uno stipendio da ricercatore e si chiede cosa l’abbia trattenuto dall’andarsene. Chiediti, caro rettore, chi se ne è già andato perché l’ha fatto. Prima di indossare la toga, fatti un esame di coscienza per non ripetere gli errori dei tuoi predecessori. Anche se inizi il tuo lavoro con le migliori intenzioni, noi siamo scottati dal passato e, nonostante l’entusiasmo della novità, non rischiare che il nostro scetticismo sia la discriminante del tuo mandato. Perché, caro rettore, ogni volta che si perde la fiducia, è sempre un po’ più difficile ripartire. Però, voglio darti il beneficio del dubbio: come direbbe il buon Lucio Dalla, “l’anno che sta arrivando tra un anno passerà, io mi sto preparando, è questa la novità.”

di Francesca Bottarelli

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