Onde gravitazionali: così Parma ha collaborato alla scoperta dell’anno
PARMA, MILANO E WASHINGTON CONNESSE PER UN ANNUNCIO CHE SEGNERA' IL FUTURO DELLA SCIENZA
“Questo è un giorno di festa, per noi scienziati ma non solo”. Esordisce così Sebastiano Bernuzzi, professore associato e membro dell’equipe scientifica che ha condotto l’incontro sulle onde gravitazionali, tenutosi lunedì 16 ottobre al Campus di Scienze e Tecnologie dell’Università di Parma. Un appuntamento d’eccezione, come fa presagire l’annuncio di un collegamento in diretta da Washington. L’eccitazione è visibile sul suo volto e su quello dei colleghi, insieme ad una certa stanchezza che però non offusca la soddisfazione. Condizione che condividono con i luminari della Milano Bicocca, con cui si collegano subito in streaming, anche loro direttamente coinvolti nell’annuncio che il National Press Club di Washington ha in programma di fare per le 10 di mattina dell’ora locale, le 16 in Italia.
L’atmosfera che si respira nel Polo Didattico è quella delle grandi occasioni. La sala è piena di curiosi e giornalisti. Da come ne parlano gli esperti, si ha la sensazione di vivere un evento simile a quello provato il 20 luglio 1969, quando l’uomo atterrò per la prima volta sulla Luna. In effetti, potrebbe non essere un paragone tanto fantasioso. In fondo, tutto comincia sempre durante un’estate, nel nostro caso quella del 2017. Il 17 agosto di quest’anno, infatti, è stata rilevata una nuova emissione di onde gravitazionali a seguito di un’avvenuta singolarità nello spazio. Probabilmente una collisione di stelle a neutroni, ma al momento dell’evento nulla era ancora sicuro. Per questo è stato avviato un vasto progetto internazionale per appurarlo, con l’equipe di Parma che non ha smesso di lavorare un attimo insieme ai ricercatori di mezzo mondo in un clima concitato, come racconta Bernuzzi. “È stato folle. Finivamo all’una e alle cinque del mattino ricominciavamo. La comunicazione è stata fatta gran parte via Telecom ed email, quindi una cosa non banale. A lungo termine questa cosa non paga, ma nel breve si è costretti a buttarsi nella mischia. Il segreto è cercare di far coincidere la percezione individuale col lavoro di gruppo. E sono quasi tutti giovani.” Del resto, c’era una scadenza precisa, che andava rispettata. “Si voleva cercare di arrivare il più vicino possibile al momento di massa risonanza mediatica della scienza, ovvero il Nobel. Dietro a questi progetti ci stanno finanziamenti di milioni di euro, spesso giustificabili solo con le grandi scoperte”, spiegano in sala. Anche perché è proprio di Nobel che si tratta. In particolare, quello assegnato a Rainer Weiss, Barry Clark Barish e Kip Stephen Thorne lo scorso 3 ottobre, per i “loro contribuiti decisivi legati all’osservatorio Ligo e alla rilevazione delle onde gravitazionali”. Ci si riferisce ad un particolare evento avvenuto il 15 settembre del 2015 e annunciato nel febbraio seguente. E proprio a distanza di due anni si svolge la conferenza riguardo le onde gravitazionali che vede connesse Parma, Milano e Washington. Ma stavolta l’entità del rilevamento avvenuto in agosto oggetto della conferenza è ancora più importante. “Se confermassero che si tratta di stelle a neutroni – spiega Albino Perego, ricercatore post dottorato e membro dell’equipe di Parma – vorrebbe dire che Einstein aveva di nuovo ragione”.
E EINSTEIN AVEVA RAGIONE – Ormai sembra quasi una banalità rimarcarlo, una certezza a cui siamo abituati, tanto che nel linguaggio comune e nell’immaginario collettivo il nome del grande scienziato tedesco viene accomunato a prodigiose manifestazioni di ingegno o a cervelli dalle capacità straordinarie. E, dal settembre 2015, Einstein non solo è diventato ancora più presente nelle nostre esistenze di quanto già non fosse, ma ha anche stabilito un nuovo primato. È stato, infatti, il primo uomo a battere Einstein. Le onde gravitazionali di cui sentiamo tanto parlare erano state da lui teorizzate nel 1916, salvo poi venire ritrattate nella vecchiaia dal grande studioso stesso e infine accettate con riserva. Invece, aveva ragione. Le onde esistono davvero e dalla loro scoperta hanno sconvolto la comunità scientifica rimettendo in discussione il concetto stesso dello spazio. Ed è proprio di spazio che stiamo parlando. Anzi, dello spazio-tempo, la struttura che tiene insieme l’universo, in cui la nostra Terra occupa un’infinitesimale porzione. “Lo spazio tempo è un’entità dinamica la cui geometria è definita dalle masse che vi sono dentro e il loro movimento lo definisce a sua volta,” spiega al pubblico Bernuzzi. “In certi casi, si deforma e queste deformazioni possono propagarsi, come avviene in uno stagno”. Ovvero quando l’accelerazione in sinergia di due corpi dotati di massa, ad esempio dei buchi neri, crea una perturbazione simile a delle onde, movimenti elastici del tessuto cosmico. Queste variazioni sono appunto le onde gravitazionali.
Ma se già un secolo fa la loro esistenza era stata supposta, com’è possibile il clamore intorno all’effettiva scoperta? “Questa teoria non è solo nata 100 anni fa e basta. In realtà è sempre stato complesso da capire, se era un artificio matematico o fisica vera. La prima sfida era comprendere se era reale”, aggiunge Albino Perego. La scienza lavora su basi empiriche e formula ipotesi che, per essere dichiarate corrette, devono poi venire verificate sul campo. Un paradigma semplice, imparato da tutti noi sui banchi di scuola, che spiega l’importanza delle onde gravitazionali. “Con loro si potrebbe passare dalla teoria alla pratica”, spiega Bernuzzi. Ma come si riesce a farlo, nel dettaglio? Quella famosa prima volta del 15 settembre, gli astrofisici americani hanno rivelato le conseguenze di una fusione di buchi neri avvenuta a 1.3 miliardi di anni luce dalla Terra. Quest’analisi è stata possibile grazie a due particolari strumenti, gli interferometri Ligo (Laser Interferometer Gravitational-Wawe Observatory), situati uno a Livingston, in Louisiana, e uno ad Hanford, nello stato di Washington. Al resto del lavoro ha poi contributo Virgo, l’interferometro costruito dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare a Cascina, in provincia di Pisa, aiutando a confermare i dati. Si tratta di macchine capaci di effettuare una delle misurazioni più precise mai viste a memoria d’uomo, grazie a due bracci lunghi dai 3 ai 4 chilometri che calcolano la diffrazione di un raggio laser separato in due da uno specchio di 40 chili. La divergenza di velocità del raggio luminoso permette poi di individuare le onde gravitazionali, perché quando una di queste passa attraverso l’interferometro la perturbazione dello spazio-tempo si manifesta come un cambiamento della lunghezza relativa dei due bracci. E, adesso, Ligo e Virgo ne hanno trovato un’altra, insieme. Si tratta del quinto evento rilevato in questi due anni, ma, in ordine di qualità, è nettamente il migliore. “Questo è l’evento più forte di un’onda gravitazionale mai registrato”, racconta Francesco Zappa, terzo membro del team parmigiano, “sposta l’asticella per quanto riguarda i fenomeni del futuro che registreremo”.
DALLA TEORIA ALLA PRATICA, SI APRE UNA FINESTRA SUL COSMO – Il contributo italiano in particolare è stato fondamentale, tanto che questa scoperta la sentiamo un po’ più di nostra rispetto alle altre. Grazie a Virgo, che ha di recente subito un upgrade chiamato Advanced Virgo entrato in attività il primo agosto, è stato possibile individuare per la prima volta con estrema precisione la porzione di cielo in cui è avvenuto il fenomeno. Ciò ha permesso a tutti i dispositivi astronomici di concentrarsi sull’osservazione della singolarità. L’evento si è infatti scatenato a 130 milioni di anni di luce dalla Terra, nella galassia chiamata NGC4993, dalle parti della costellazione dell’Idra. E sembra proprio che si tratti, stando ai primi rilevamenti, di una collisione che ha visto al centro due stelle di neutroni, le più piccole e dense che esistano nel cosmo, grandi un massimo di 20 chilometri e un minimo di 10. Come il centro di Parma, per intenderci. Ma cosa succederebbe se dei corpi di questa categoria entrassero in contatto? “È una situazione simile a quella dei buchi neri, solo che qui abbiamo a che fare con della materia: dovrebbero emettere onde e neutrini, si fondono, si scaldano e potrebbero produrre un getto relativistico con cui espellono nello spazio una frazione della loro massa, insieme a elementi chimici come oro, platino e uranio”, spiega Perego. “Dovrebbero”, perchè quando si tratta di questi fenomeni che avvengono a milioni di anni luce dalla terra, si possono fare solo delle congetture sfruttando i dati disponibili. Ed è proprio questo il ruolo avuto nell’intera collaborazione internazionale Ligo-Virgo da Bernuzzi e il suo team. “Da diversi anni noi ci occupiamo dei modelli, elaborati sulla base delle informazioni ricavate dalle prime analisi, che poi dovranno essere verificati“. Compito impossibile, almeno prima che arrivassero le onde gravitazionali a dare consistenza a tutte le teorie, trasformandosi nella finestra che ci permette di osservare l’universo, come dicono gli esperti. “Se tutto fosse corretto – ripete con cautela Bernuzzi in attesa del collegamento dagli Usa – Potremmo vedere un fenomeno di questo tipo con i nostri telescopi e se sarà così vorrà dire che tutto questo esiste realmente.” Anche perché un simile evento non è mai stato osservato, fino ad ora. Il collegamento streaming abbandona Milano per connettersi al National Press Club di Washington. La sala della conferenza stampa, dall’altra parte del mondo, è gremita di giornalisti e scienziati. Uno dopo l’altro, si alternano davanti al microfono per annunciare e descrivere i particolari della scoperta. Tra questi spicca l’italiana Marica Branchesi, ricercatrice all’Università di Urbino. Bernuzzi e la sua equipe seguono con gli occhi emozionati, come se finalmente trovassero in quelle dichiarazioni la consacrazione di tutti i loro sforzi. Altro che il calcio. Quando la diretta si chiude, si gira verso il suo pubblico, qui a Parma. “È successo quello che ci aspettavamo – spiega il docente – l’evento ha per davvero protagonisti due stelle di neutroni e quasi tutte le conseguenze previste dai nostri modelli si sono verificate“. Sorride, insieme ai suoi colleghi. Davanti a loro, il pubblico applaude. Ma Bernuzzi e il suo team pensano già al futuro. “Questi dati sono importanti – aggiunge – anche se sono un attimo soppressi dal rumore. Andranno ripuliti per capire meglio la situazione. Ad esempio, non sappiamo ancora quanta energia gravitazionale è stata emessa e pensiamo di poter essere i primi a dare i numeri esatti, se qualcuno non ci batte. Tutto lavoro per i prossimi mesi”. Tuttavia, adesso non è il momento di pensarci. Adesso è il momento di celebrare la scoperta dell’anno. Sì, è davvero un giorno di festa.
di Elia Munao’
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