Per 3 giorni ho spento il telefono, scoprendomene dipendente

DAI MESSAGGI AI SOCIAL NETWORKS, SIAMO NOI AD AVERE IL CONTROLLO?

ludovic-toinel-349299“Insieme a te non ci sto più” cantava Caterina Caselli. Peccato che lei si riferisse ad un uomo mentre nel mio caso mi trovo a canticchiarla pensando al cellulare. Il lunedì mattina è già complicato di per sé, ma non c’è limite al peggio: in redazione, alla domanda “Chi prova a stare senza telefono il più a lungo possibile?” alzo la mano. Nel giro di pochi istanti mi maledico per il gesto avventato, ma ormai è fatta. Quanto resisterò? Un breve messaggio a casa per evitare che si scateni una crisi diplomatica tale da spingere mia madre a chiamare la Farnesina e il gioco è fatto. Schermo nero, gli orari di lavoro appuntati su un foglietto. Per il primo giorno mi concedo solo di dare un’occhiata alle email sul computer e leggere i giornali. Niente social network, men che meno Messenger. E in bocca al lupo.

TUTTI TRANNE TE – Dopo solo un’ora credo di averlo cercato già cinque volte. Le mani fremono e mi accorgo che tutti intorno a me hanno il telefono a portata di mano. Chi lo usa, chi lo tiene semplicemente a fianco come un amuleto. Cerco di distrarmi leggendo il giornale ma cominciano a prendere forma nella mia mente i peggiori scenari: qualcuno a casa ha bisogno, chiamano da lavoro per un cambio turno, perdo il treno, e dopo averlo perso la macchina non parte. In realtà potrebbe essere un lunedì come gli altri, a pensarci bene. La cosa che più mi infastidisce è pensare all’attesa e al viaggio in treno: nessun libro nello zaino, niente musica e relative cuffiette, che non sono semplici cuffie, ma quasi un segnale per l’esterno, un modo per far capire agli altri di non volere alcun contatto umano.

Viaggi mentali a parte – e la promessa di farmi vedere da uno bravo – arriva il vero primo problema. È ora di andare a lezione, ma c’è un però: dov’è l’aula? L’idea è quella di dirigermi verso il luogo più probabile e sperare di incontrare qualcuno. Prima o poi la troverò, quanto meno al termine della lezione mentre tutti escono. Fortuna vuole che qualcuno del mio corso sia seduto nella scrivania di fronte: “Vieni a lezione?”. Diciamo che potresti essere  la persona più antipatica sulla faccia della terra, ma rispetto a vagare come un’anima in pena sotto la pioggia, preferisco seguirti.
Quattro ore di lezione in cui non sai nemmeno come fare per distrarti quando sopraggiunge la noia. Uscire è fin troppo facile, tocca seguire. E anche in questo caso, tutti hanno il telefono sul banco, pronto ad essere guardato per un qualsivoglia motivo, anche solo per svagarsi.

Nelle ore successive la smania di controllare il telefono scema, fino a che la compagna di banco ti chiede dell’intervista nel pomeriggio. Aspetta: quale intervista? L’avevamo programmata due settimane fa, ma facendo sempre affidamento su quel dispositivo e le sue notifiche, me ne sono completamente dimenticata. Appuntamento saltato, non riesco. Lei demorde facilmente: “Non era importante, posso fare da sola”.
In realtà era solo una scusa per coprire il ritorno a sorpresa di un’amica dalla Spagna in stile ‘Carramba’. Poteva trovarne un’altra, ma giustamente avrebbe avuto qualche difficoltà a ripescarmi dopo essere scappata da lezione. Ad ogni modo resto a Parma, bisogna festeggiare. E qui si apre un altro problema: come diavolo avverto a casa. Chiedi in prestito un telefono, ovvio, ma il caso vuole che io abbia degli amici a conoscenza del mio esperimento talmente simpatici da obbligarmi a scendere per strada e chiedere al primo che passa. Il problema non è tanto chiedere, quanto incrociare qualcuno alle 10 di sera. Alla fine, proprio come anni prima quando ero puntualmente senza credito, trovo chi cede. Durante la serata appena trascorsa non mancano i momenti in cui tutti sono rivolti verso lo schermo del telefono e io, invece, mi rigiro le mani guardandoli in cagnesco. Condividiamo solo la partita, e forse sarebbe meglio non guardarla. L’istinto di prendere il telefono, accenderlo e vedere cosa stia succedendo da altre parti è forte. Soprattutto quando uno di loro comincia a leggere i commenti che arrivano da Twitter o Facebook. Invece no, sei lì ed esiste solo ciò che hai di fronte agli occhi. E qui comincio a chiedermi quanto siamo condizionati dai nostri smartphone, quanto quell’oggetto sia diventato parte integrante delle nostre giornate, addirittura del nostro corpo.

priscilla-du-preez-216790MALEDETTE SVEGLIE – A fine serata resto a dormire a casa di un’amica e mi preoccupo relativamente poco della sveglia. Ho passato tutto il giorno a chiedere che ore fossero a chiunque avessi sotto mano, arrivando al punto di ripromettermi di comprare finalmente un orologio da polso. Siamo in tre, prima o poi ci sveglieremo. Il caso vuole, però, che prima di spegnere il telefono non abbia disattivato nemmeno una delle innumerevoli sveglie programmate (altro problema, oltre allo psicanalista, è svegliarsi). Risultato: alle 6 del mattino parte la prima, svegliando la poverina che dorme nella stessa stanza in cui ho lasciato lo zaino. Ma fosse l’unica! Il biglietto che trovo sul tavolo della cucina la mattina seguente mi fa capire che le ha sentite tutte. Riesco a spegnerne solo una, ma ormai è un po’ tardi. È il secondo giorno senza telefono, ma non ne sento l’esigenza. Il viaggio di ritorno in treno sembra durare un’eternità e attorno a me il silenzio la fa da padrone. Gli altri passeggeri sono immersi nei loro pensieri o, per la maggior parte, nello schermo del loro telefono. Una scena attira la mia attenzione: squilla un cellulare tra il gruppetto seduto nella fila accanto e il diretto interessato sbuffa chiedendosi chi lo stia cercando. Anche i colleghi seduti accanto estraggono il telefono dalla tasca. Non hanno notifiche, forse un riflesso incondizionato.
Arrivata a casa cerco la piccola agenda rossa su cui ho segnato tutti i numeri della rubrica e provo a fare un giro di chiamate dal telefono fisso, ma su quattro persone non uno che risponda. Credono sia un call center. Finalmente un’anima pia risponde, sorpresa di sentire me dall’altro capo. Anche lei, ammetterà la sera successiva, credeva fosse la Vodafone.
Poco prima di cena mi perdo in chicchere con mia madre: “Hai riacceso il telefono?“, chiede. Le spiego che in realtà dovrei cercare di rimanere senza per almeno una settimana. Questa cosa non le va a genio: aveva bisogno di me e non sapeva come trovarmi. Alla domanda su come si facesse ai loro tempi, segue qualche secondo di silenzio. “Era diverso, ormai siamo abituati così“, risponde. Fine della discussione. Prometto di riaccenderlo il giorno dopo, verso fine giornata.

dipendenzeSOLO TRE GIORNI – Alla fine sono durata solo tre giorni, una vera Caporetto. Dopo averlo acceso sembrava stesse per scoppiare, ha cominciato a vibrare compulsivamente. Un centinaio di messaggi in diverse chat di Whatsapp, alcuni messaggi in segreteria, svariate notifiche su Facebook, Twitter e Instagram. Qualcuno chiedeva dove fossi finita, altri sentenziavano che fossi fuggita e tanti saluti. Solo le mie amiche più strette erano tranquille, tanto a volte capita. In tre giorni, la domanda più frequente è stata: “Come sta andando? Ci riesci?“.  Qualche risata, qualche commento del tipo “Io non ci riuscirei“.
Ripenso ad un articolo uscito circa un anno fa sul Washington Post la cui autrice, una studentessa di New York, decideva di spegnere il cellulare per una settimana, per vedere l’effetto che fa. In alcune cose mi ci sono ritrovata, ma la differenza di età si fa sentire. A sedici anni l’unica preoccupazione che hai è quella di andare e venire da scuola, percorrendo lo stesso tratto. Ma su di una cosa concordo: i social network sono la cosa di cui potremmo effettivamente fare a meno. Penso a quelle fatidiche notifiche rosse, in tre giorni solo due erano veramente utili. Le altre erano superflue, era l’applicazione a creare un bisogno nei fatti effimero. Un modo per tenerti ancorato alla bacheca. Le notizie sui giornali potevo trovarle da me, senza il bisogno di un post. Non avevo bisogno di sapere che tal dei tali aveva pubblicato una foto “dopo tanto tempo”. Per certi versi queste piattaforme sono effettivamente utili per restare in contatto, tuttavia dov’è il confine? Dipende da molti fattori, ma spogliati della loro utilità tout court, fino a che punto siamo noi a decidere e non loro a creare un’esigenza? Credo non regga più la scusa del “lo uso per ammazzare il tempo”: siamo costantemente stimolati da notifiche e nel momento in cui non ci sono le cerchiamo. La comunicazione non ha vincoli, né spaziali né temporali. E in certi casi, isolandoci, non siamo noi a percepire il disagio, quanto gli altri. Discorso a parte, ma per certi versi simile, riguarda i messaggi: possiamo esserci visti dieci minuti prima, ma nel momento in cui abbiamo bisogno di chiedere qualsiasi cosa mandiamo un messaggio. Non conta che sia un’urgenza o meno, quanto l’immediatezza, la possibilità di poterlo chiedere subito e senza dover aspettare. Fermandoci un secondo a riflettere ci renderemmo conto che non è fondamentale avere subito una risposta, si può aspettare il giorno seguente, eppure. Quante conversazioni fine a se stesse abbiamo con persone che sappiamo di vedere la mattina seguente a lezione? Fin dove si spinge il nostro bisogno di sapere cosa stanno facendo gli altri, benché lo si possa chiedere il giorno dopo? Con ciò non voglio dire che siano inutili: rendono la vita più facile, non prendiamoci in giro. Ma tutto diventa prioritario, tutto subito

È vero che tre giorni sono pochi per sentenziare, e me ne guardo, ma esser passata da un estremo all’altro mi ha fatto capire di avere una dipendenza. Di non avere più il controllo. Ho disattivato tutte le notifiche e il telefono resta nello zaino.

 

di Carlotta Pervilli

 

1 Commento su Per 3 giorni ho spento il telefono, scoprendomene dipendente

  1. Buongiorno ragazzi.Articolo simpatico ed analitico, a tratti divertente.Da parte di una mamma ultra cinquantenne, commento che ai nostri tempi,era sicuramente più facile.Non ci era chiesto di avere il dono dell’ubiquità, con a voi!!!.Mi spiego: o eravamo a scuola o eravamo al lavoro.Reperibile al tel.fisso di tali luoghi e, con orari regolari e fissi. Meno ansie da prestazione, corse e stress.Voi dovete essere bionici.

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