Italia “diseguale e ingessata”: futuro in povertà per un giovane su 10

RAPPORTO CARITAS, DATI E PERCHE' DI UNA CRISI CHE OGGI PAGANO GLI UNDER34

Povertà giovanileUno sguardo rivolto al presente invece che al domani. Sono tanti i giovani i cui orizzonti di vita sfumano nella prospettiva di arrivare alla fine della giornata. Una realtà, quella della povertà giovanileche colpisce da un giovane su dieci in Italia. Questo è quanto emerge dal rapporto pubblicato il 17 novembre dalla Caritas italiana riguardante la povertà giovanile e l’esclusione sociale in Italia, emblematicamente intitolato ‘Futuro Anteriore’. Dopo più di 20 anni dal primo rapporto sulla povertà, presentato nel 1996, la novità è che oggi è la fascia al di sotto di 34 anni ad essere penalizzata. Un divario tra generazioni; un dato allarmante per effetto di varie cause, vecchie e nuove: maggior retribuzione e alti livelli di protezione sociale per i più anziani, l’autonomia dalla famiglia di provenienza raggiunta sempre più tardi, una disoccupazione che non accenna a diminuire e che nel 2016 si attesta al 37,8% per la componente giovanile (15-24 anni) con un valore drasticamente quasi doppio alla media europea, oscillante tra il 15,9 e il 18,7%.

Under 34UNO SGUARDO AI DATI – La soglia di povertà assoluta definita nel report della Caritas è “il valore monetario del paniere di beni e servizi ritenuti essenziali per ciascuna famiglia, calcolata in base al numero e all’età dei componenti, alla ripartizione geografica e alla dimensione del comune di residenza”. In Italia vivono in questo stato quasi 5 milioni di persone, per un totale di circa 1 milione e mezzo di famiglie. Di tutti i poveri italiani, sono più di 2 milioni i giovani under 34 che vivono tale condizione, il 48,7%. Dal conteggio sono escluse alcune situazioni estreme di coloro che non risiedono formalmente nel Paese: i senza dimora, i profughi e i richiedenti asilo. Un dato preoccupante in crescita da 10 anni: l’incidenza della povertà nella fascia di età 18-34 è infatti passata dall’1,9% del 2007 al 10,4%. Una controtendenza rispetto all’Europa. Secondo un’indagine dell’Eurostat, dal 2010 al 2015 è diminuito il numero di giovani tra i 15 e i 24 anni a rischio di povertà economica – in parte imputabile alla riduzione in termini assoluti della popolazione target -. In Italia, invece, i ragazzi a rischio di povertà ed esclusione sociale nello stesso periodo sono aumentati del 12,9%. Un rischio che ora riguarda il 33,7% dei giovani italiani, il 6,4% in più rispetto a quanto accade nel resto d’Europa.

PovertàPERCHE’ I FIGLI STANNO PEGGIO DEI GENITORI – A quali fattori risale una così elevata povertà giovanile? “Le cause sono molteplici e in generale è la diseguaglianza nella società ad essere aumentata”: risponde così Franco Mosconi, docente di Economia e politica industriale all’Università di Parma. Questa crescente diseguaglianza è dovuta principalmente a tre cause. “La prima – spiega il professore – è la finanziarizzazione dell’economia che ha diviso la popolazione in due categorie: una fascia ristretta di persone che ha guadagnato molto e un’altra fascia predominante che non ha goduto di questi guadagni o addirittura è stata penalizzata. Ecco perché è importante ritornare alla manifattura, all’economia reale”.
In secondo luogo “il progresso tecnologico, che – pur essendo la conquista più grande dell’età contemporanea – ha premiato nel mondo del lavoro le persone con alte competenze, ma nel frattempo ha penalizzato chi non le possiede e si trova a svolgere spesso lavori sottopagati”. L’ultima causa della diseguaglianza è relativa alla minore presenza del welfare state nella vita collettiva. Questo “ha sempre rappresentato, dalla fine della seconda guerra mondiale in poi – spiega il professor Mosconi – un nobilissimo (nei fini) e grandissimo (nei mezzi) intervento della mano pubblica nell’economia e nella società per evitare eccessive diseguaglianze. In seguito alla crisi fiscale degli Stati e all’eccessivo indebitamento pubblico, lo stato sociale ha subito un po’ dappertutto, e certamente in Italia, un ridimensionamento. E quindi molte di quelle prestazioni universalistiche fornite dallo stato in ambiti quali la sanità, le pensioni, l’istruzione e le politiche attive per il lavoro sono state ridotte. Spesso, hanno pagato proprio i più deboli.”
Alla luce di tutto ciò, la situazione fotografata dal report è sintetizzata dalla frase emblematica “i figli stanno peggio dei genitori; i nipoti stanno peggio dei nonni”. Ma da allora a oggi, cosa ha inciso così negativamente sulle prospettive di crescita del Paese? “A quell’epoca – afferma Mosconi – l’Italia era nel pieno miracolo economico, il prodotto interno lordo cresceva al ritmo del 5% (e oltre) all’anno, le persone passavano dalla campagna alla città, c’era l’industrializzazione di massa, che per definizione dava la possibilità a tanta gente di lavorare. Al di là dei benefici economici immediati, ha significato per quella generazione vivere in un’epoca di aspettative crescenti”. Oggi invece il quadro economico è notevolmente cambiato: il Pil in Italia cresce, da almeno 15 anni, solamente all’1% o giù di lì, collocando l’Italia sempre in fondo alla classifica dei paesi Ue. “C’è dunque qualcosa che è andato storto in Italia”, commenta il professore. “Negli anni in cui l’economia cresceva la classe dirigente italiana ha commesso il gravissimo errore di aumentare il debito pubblico, anziché riformare le strutture collettive a cominciare da quelle del Welfare state. In quegli anni lì, anziché vivere al di sopra dei propri mezzi, il Paese avrebbe dovuto iniziare a pensare alle giovani generazioni. Il fatto che in Italia oggi si debba continuare a finanziare la montagna del debito – che è pari a oltre il 130% del Pil – porta via quelle decine e decine di miliardi all’anno che dovrebbero essere investiti nella scuola, nell’università, nella sanità, nelle pensioni e, oggi più di ieri, nelle nuove tecnologie e nella rivoluzione digitale”.

Il fatto che i giovani stiano peggio delle precedenti generazioni è “un fatto drammatico in primis dal punto di vista psicologico – commenta Mosconi  – e, naturalmente, dal punto di vista materiale perché i numeri del Rapporto Caritas ci dicono che troppi giovani non avendo una chance di studio e/o di lavoro, vivono in povertà. C’è qualcosa che non va nel nostro sistema educativo e nel nostro mercato del lavoro”. Fino alla sua generazione (quella dei cinquantenni), ricorda il professore – esisteva la concreta speranza di migliorare, con lo studio e il lavoro, le proprie condizioni di partenza. “Questo è quello che manca alle generazioni di oggi: oggi è difficile credere a questa prospettiva di vita in Italia, paese con una mobilità sociale tra le più basse d’Europa e largamente dominata dalle lobby, politiche o familiari che siano”. L’Italia è oggi un “paese sia diseguale che ingessato”, sostiene il professor Mosconi, che conclude citando da una parte la riflessione sul “prezzo della diseguaglianza” del Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz e dall’altra papa Francesco: “Così come il comandamento ‘non uccidere’ pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire ‘no a un’economia dell’esclusione e della inequità. Questa economia uccide”.

 

di Lara Boreri, Yara Al Zaitr e Jacopo Orlo 

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