Alberto Nodolini, una vita di rivoluzioni tra moda, gusto e arte

ARRIVATO A MILANO "VOLEVO SCAPPARE", POI UNA CARRIERA LUNGA 38 ANNI TRA FOTOGRAFIA, EDITORIA E MODA A VOGUE ITALIA

Un guru dell’immagine, una guida nel campo del buon gusto e un punto di riferimento per migliaia di stilisti, fotografi ed artisti. Ha lavorato con le più importanti personalità, da icone dell’arte pop come Andy Warhol e Liechtenstein, a fotografi del calibro di Cesare Zavattini, Paul Strand e Helmut Newton. Determinazione, enorme conoscenza dell’estetica e duro lavoro: tutto questo si può riassumere sotto il nome di Alberto Nodolini che, dopo 32 anni di direzione artistica di Vogue Italia (dal 1968 in poi) e migliaia di altre collaborazioni, è senza dubbio un maestro indiscusso della carta patinata. “Il primo giorno che sono arrivato a Milano, ho detto che non ci sarei mai rimasto – ricorda, ripensando al suo primo ingresso nel mondo della moda e dell’editoria – ho cercato addirittura di scappare. Però il direttore artistico di allora ci teneva molto che lavorassi lì e alla fine sono rimasto per 38 anni“. Forse sono gli aggettivi con cui lui stesso si è descritto “incosciente, coraggioso e, forse non dovrei dirlo, ma credo di essere molto buono” ad averlo portato così lontano nella vita.

Oggi risiede a Parma, dove firma diversi progetti culturali ed è da poco entrato a far parte del cda del Teatro Regio, ma nonostante la sua carriera lo abbia visto viaggiare ed essere apprezzato oltreoceano, Nodolini è sempre tornato alla sua terra d’origine, vicino alla ‘sua’ Bassa e a quei territori e personaggi che sono rimasti parte di lui. “Io sono di origine luzzarese, la mia formazione è legata a quella di Cesare Zavattini e di Danilo Donati, forse il più grande costumista italiano e sin da piccolo sognavo di fare queste cose. Ero innamorato di questi due personaggi”. Spiega inoltre che, seppur possa apparire un paradosso, il legame con il suo paese natale si è approfondito, durante uno dei numerosi soggiorni negli Stati Uniti. “Ho rivisto Luzzara a New York, nelle foto di Paul Strand e mi sono commosso, perché ritrovai tutte quelle persone che conoscevo. Io ho seguito tutto il suo lavoro quando ero piccolino. Andavo in bicicletta e seguivo lui e Cesare Zavattini – racconta Nodolini, aggiungendo – In quel momento lì mi sono un po’ sentito critico nei miei confronti, perché non avevo capito all’epoca che cosa rappresentavano. Ci sono dei valori che non sono il momento e il posto, ma sono universali. Quelle erano delle persone vere, che avevano combattuto, che avevano faticato, che avevano perso i figli. Era un mondo contadino, ma portato a un livello onirico, a un immaginario collettivo. Però, l’ho ritrovato là negli Stati Uniti e forse avrei potuto pensarci prima”.

Durante tanti anni di lavoro in prima linea nel mondo della moda, Nodolini ha anche potuto vivere dall’interno i cambiamenti di un settore che è esploso col boom economico, con la pubblicità, e che spesso ha assunto il ruolo di specchio dell’evoluzione della società anche rispetto a temi come quello dell’immagine e della rappresentazione della donna sia in passerella, che sulle copertine. “Nel campo della moda, – commenta in proposito – venendo a mancare quei supporti, che erano l’invenzione del capo, l’immaginazione, l’équipe di lavoro, il tessuto e la costruzione dell’abito, si è puntato sulla donna come esibizione fisica. Questo ha deteriorato entrambi i sessi e la grande capacità femminile di rinnovare le cose. I giornali i loro demeriti li hanno”. Poi aggiunge: “Prima non era così, di ragazze bellissime ce n’erano ovviamente, ma erano costituzionalmente fatte in questo modo, non è che si privassero di qualcosa”.

Confrontando la sua generazione con i giovani di oggi, alle prese con la precarietà del lavoro, Nodolini si sofferma però su alcune differenze. “Mi sono accorto che molti giovani intraprendono dei lavori non per passione, ma per dovere fare qualcosa. Questo è un male. Io le cose che ho fatto, le ho scelte. Certo, anche io ho fatto delle gavette, ho passato anni con grandissime difficoltà, dove andavo agli eventi e speravo che ci fosse la cena o il pranzo perché così mangiavo. Però non ho mai tralasciato la mia idea di modo di lavorare e questo poi mi ha premiato. Tutto era in funzione di quello che volevo fare. – racconta Nodolini -. Oggi diventa tutto stranamente un accomodamento, cioè sono pochi gli obiettivi. Se tu parli con un giovane non è disposto a combattere per sé stesso, non c’è questa disponibilità oggi.”

 

di Emma Bardiani, Alice Gabbriellini e Jacopo Orlo

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