Il diritto allo studio dietro le sbarre di via Burla

CONVENZIONE TRA L'ATENEO E L'ISTITUTO PENITENZIARIO, E IN FUTURO SI PENSA A UN POLO UNIVERSITARIO PER I DETENUTI

Cultura come strumentuniversità di parmao di emancipazione, non solo di formazione”. E’ questo il ‘motto’ che potrebbe sintetizzare la convenzione siglata tra l’Università di Parma e l’Istituto penitenziario di Parma e presentata martedì 28 novembre in Università alla presenza del rettore Paolo Andrei, del direttore degli Istituti penitenziari di Parma Carlo Berdini, della delegata dal rettore ai rapporti tra Università e carcere, Vincenza Pellegrino, e della referente degli studenti detenuti per l’Unità organizzativa Contributi, Diritto allo Studio e Benessere Studentesco dell’Ateneo Annalisa Andreetti. Il primo fine? Sancire una collaborazione triennale tra le istituzioni che opereranno in una forma di integrazione per garantire e tutelare il diritto allo studio degli studenti detenuti per poi – in prospettiva – arrivare a istituire un Polo Universitario Penitenziario.

UNA ‘TERZA MISSIONE’ – Così il rettore ha definito la convenzione siglata tra le due istituzioni. “L’Università – ha infatti sottolineato Andrei durante l’incontro con la stampa – attraverso le sue competenze e attività di ricerca e didattica, riesce ad incidere sul territorio di riferimento e ad essere elemento di sviluppo sociale oltre che economico e culturale”. Rivolgersi a persone che si trovano in uno stato di ‘povertà personale’ ma che vogliono reintegrarsi pienamente a livello sociale, non è solo un dovere legislativo ma anche, e soprattutto, morale. Nonostante il contesto storico attuale veda talvolta poco consenso intorno ai processi di piena integrazione, “Parma non si può dimenticare del carcere che è una realtà presente nella città stessa”, dichiara Andrei. Ma questo per la comunità “è un bel segnale di come si possano integrare le attività di formazione e quelle lavorative in un contesto, quale il penitenziario, dove ci sono persone che hanno voglia di ‘rinascere’ da un punto di vista culturale per guardare a un futuro migliore rispetto al passato dopo aver scontato la loro pena”, sottolinea il rettore, che conclude aggiungendo “il benessere studentesco non può essere limitato solo ad alcune categorie di studenti”.

CONCRETEZZA – L’ambizioso obbiettivo finale dichiarato della convenzione è istituire un Polo Universitario Penitenziario. Infatti, essendo quello di Parma un carcere di massima sicurezza, vi è un interesse sempre maggiore da parte soprattutto dei detenuti con lunghe pene a questa possibilità formativa. Inoltre, data la presenza di persone provenienti da varie università italiane, si vuole “mettere a sistema tutti questi interessi attraverso un sistema di rete più consolidato”, spiega Carlo Berdini. Tutto ciò sarà reso possibile dall’ampliamento del carcere che, in futuro, avrà un padiglione con 200 posti aggiuntivi e potrà quindi contare su una biblioteca fornita dall’Università. L’Ateneo inoltre, secondo la convenzione, si impegna a creare piattaforme informatiche, registrazioni e canali streaming per facilitare l’apprendimento delle lezioni e l’accesso ai materiali di studio dall’esterno.
Un altro segnale di concretezza e realizzabilità del progetto è dato dall’attenzione al territorio e a tutte le risorse formative e culturali che esso offre. “Queste convenzioni non vogliono essere una dichiarazione di intenti ma uno strumento che ha avuto delle ricadute operative”, sottolinea il direttore degli Istituti penitenziari, portando come esempio il successo che ha avuto la collaborazione con il Teatro Regio, che ha visto la realizzazione di corsi e spettacoli con la partecipazione dei detenuti. Collaborazioni passate e che dimostrano anche un’assoluta compatibilità tra esigenze ‘umane’ e di sicurezza, rendendo il progetto ancora più realizzabile persino agli occhi dei più scettici.

UN DIRITTO INALIENABILE – La legge 354 del 1975 afferma coma la cultura sia un pilastro fondamentale nella formazione e nell’emancipazione del detenuto, per questo ribadisce la tutela e la promozione del diritto allo studio che è antecedente alla pena ed è un esercizio di cittadinanza e democrazia previsto perfino dal 41 bis. Ma con ciò non si intende solo l’esenzione dalle tasse universitarie, facilitare l’iter amministrativo per i detenuti e garantire la presenza di docenti in carcere per tenere gli esami: “il diritto allo studio è il diritto al confronto in una dimensione collettiva – la classe -, è il diritto ad essere orientati al sapere e il diritto a sperimentare il supporto tra pari – il tutoraggio – perché l’apprendimento diventi reale”, precisa la docente Vincenza Pellegrino. Nonostante tutto ciò non sia facile, le istituzioni di Parma stanno facendo quadrato per rendere possibile la realizzazione di un progetto tanto ambizioso ponendone le basi nero su bianco.

uni e carcereLE INIZIATIVE – Tutto ciò si configura come un percorso graduale, a lungo termine e che parte da una piccola realtà. Ad oggi gli studenti in carcere sono 13 e sono tutti detenuti ‘a lungo termine’ ma c’è anche una crescente componente di detenuti ‘a medio termine’ che, volendo intraprendere un percorso culturale per diventare cittadini attivi prima di tornare liberi – dopo contesti migratori faticosi  – potrebbe portare il numero a crescere. Per questo i progetti contemplati nella convenzione si basano sulla sperimentazione di proposte adatte al contesto quali giornate di orientamento per vari settori di studio (ecologia, economia, veterinaria e sociologia), laboratori tra studenti detenuti e non, una didattica ad hoc basata sull’utilizzo dell’autobiografia. Tra le molte iniziative alcune sono già realtà come la possibilità di frequentare lezioni in aula di Politiche sociali e Sociologia dei processi culturali, o come la serie di seminari che si terrà nelle prossime settimane per sensibilizzare le persone alla figura del detenuto. “C’è un faticoso percorso da fare per aprire gli immaginari chiusi, ma è tutto sorprendentemente possibile”, aggiunge Vincenza Pellegrino. Inoltre in questi giorni la referente degli studenti detenuti sta lavorando a un bando per creare tutor professionali per i detenuti. Una figura “di supporto alle attività didattiche, che sia in continua comunicazione con gli studenti detenuti, per facilitare poi la comunicazione con i docenti e questo per favorire la progressione della carriera degli studenti detenuti iscritti”, spiega Annalisa Andreetti.

La difficoltà di un progetto così ambizioso è evidente poiché si cerca di imprimere il concetto di università in persone che difficilmente l’hanno vissuto o lo comprendono, come sottolinea chi lavora a stretto contatto con i detenuti, affermando che “bisogna avere coraggio e pazienza”. Ma queste iniziali differenze tra un ‘noi e loro’ vengono attenuate proprio creando contesti di vita quotidiana. Non rare sono le testimoniante di detenuti che, nei loro scritti autobiografici, fanno emergere i propri dubbi sul futuro e sulla vita fuori. “Spesso l’immaginario vuole mostrare il carcere come un ‘mondo altro’ ma è proprio questa comunanza di memorie e di vissuti in una differenza di destini che lo rende un posto estremamente vivibile, apribile e normale”, conclude Vincenza Pellegrino.

 

di Laura Storchi

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