Un laureato su 4 non legge né libri né giornali: si chiude ‘l’età della carta’?

PIERGAETANO MARCHETTI, ACHILLE MAURI E I NUMERI DI UNA CRISI SENZA RITORNO

Qual è il futuro del libro e del giornaleIn Italia il 60% della popolazione non legge. Né quotidiani, né libri. E leggere un quotidiano non significa necessariamente acquistarlo”. Questo è il panorama desolante che emerge sulle abitudini di lettura degli italiani, secondo le parole di Piergaetano Marchetti e Achille Mauri,  protagonisti indiscussi nel panorama della stampa e dell’editoria italiana e cofondatori del progetto culturale BookCity Milano. Entrambi il 28 novembre sono stati ospiti dell’incontro ‘Qual è il futuro del libro e del giornale?’ organizzato al complesso Monumentale della Pilotta all’interno della rassegna ‘La cultura batte il tempo’. Un vivace confronto a due voci, moderato da Isotta Piazza  docente di Letteratura contemporanea e sistemi editoriali dell’Università di Parma -, focalizzato sul comprendere quali siano le sorti prossime della stampa e dell’editoria italiana, in uno sguardo che mantiene un certo ottimismo in prospettiva, seppur con la piena consapevolezza che alla recente crisi economica che ha colpito editoria e stampa, oggi si aggiunge una crisi strutturale legata al modo in cui la diffusione di smartphone e dispositivi mobili connessi a internet, ha cambiato radicalmente il modo in cui il pubblico si intrattiene, legge, si informa.

“Al progressivo crollo di vendite registrato durante gli anni ’90, i quotidiani hanno ovviato inizialmente con i collaterali, associando libri e gadget all’acquisto dei giornali. Terminato questo effetto palliativo, le copie vendute son tornare a diminuire”, ha ricordato Isotta Piazza, facendo un rapido excursus sulla situazione economica che hanno attraversato  i giornali nello scorso ventennio. Avvicinandosi ai nostri giorni, Marchetti ha invece utilizzato un’efficace metafora bellica per spiegare che mentre “i giornali si apprestano a combattere con il fioretto la guerra della guerra dell’informazione, Facebook e Google sfoderano i carri armati”. I numeri parlano da sé: secondo i dati riportati dall’attuale presidente della Fondazione Corriere della Sera, negli ultimi 3 anni la vendita di quotidiani cartacei è diminuita del 27% e del 23% quella degli abbonamenti. Considerando che attualmente il 90% dei proventi arriva dalla carta, in Italia il digitale, almeno per il momento, si sta rivelando un flop. Su internet le testate reagiscono utilizzando la politica del ‘premium’, concedendo una base di articoli accessibili gratuitamente, il resto a pagamento. Ma non è abbastanza per risollevare il settore. Secondo Marchetti, internet è percepito idealmente come un bene comune, pertanto diventa difficile per  i quotidiani convincere gli utenti ad accettare l’idea di pagare per leggere un quotidiano on line, come invece accade di norma all’estero per gli organi d’informazione online. Solo “settorializzando” l’offerta dei contenuti, come spiega Marchetti, è possibile creare nuovi prodotti culturali specializzati che permettano di raggiungere nuovi lettori, dando così maggior respiro ai giornali. Nonostante questi aspetti, il futuro del giornale non appare comunque del tutto segnato. “Dalla storia della comunicazione impariamo che un mezzo che non ha mai annullato l’altro. Il giornale sopravvivrà – afferma convinto Marchetti -, continuerà ad essere uno strumento diffuso on line e su carta. Quello cartaceo, avrà un prezzo superiore a quello di un caffè, intercettando il bisogno di un pubblico che sarà disposto a pagare di più pur di avere un’informazione di qualità e un maggiore approfondimento”.

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Se il futuro del giornale appare non roseo e in via di definizione, l’editoria italiana va discretamente meglio. “Laddove ci siano investimenti volti a sostenere la catena che costruisce la cultura, l’editoria è in salute. Se  l’industria italiana produce il 6% del Pil, l’editoria porta a casa il 2%”. I numeri riportati da Achille Mauri trovano conferma anche nell’ultimo rapporto all’Associazione Italiana Editori che attesta a 2,561 miliardi di euro il fatturato complessivo del mercato del libro nuovo nel 2016, con una crescita dell’1,2% rispetto all’anno precedente. Un dato decisamente positivo ma non a tal punto da permettere agli editori di stare del tutto sereni, soprattutto se si confrontano queste cifre con quelle del 2011, quando il fatturato era di 3,1 miliardi di euro. E se per la stampa l’antagonista per eccellenza rimane internet, per l’editoria il nemico principale incarna la figura del ‘bancario che non legge’. “Una persona che non ha il tempo di leggere, non riesce a immaginare che un altro possa farlo. Mai farsi prestare soldi da un bancario che non legge! – ironizza Achille Mauri – Sarà il primo a riprenderseli”. Nel nostro Paese il basso indice di lettura costituisce il principale problema di crescita dell’editoria nazionale: significa avere un mercato più piccolo rispetto a quello delle altre editorie continentali con cui si confronta. Un aspetto ancor più vero se lo si incrocia con i dati Ocs-Pisa, riportati nell’ultimo rapporto dall’Associazione Italiana Editori, sulle competenze di comprensione dei testi e con quelli sulla lettura di libri dei ceti dirigenti e professionali (il 39% non legge alcun libro nel tempo libero) e dei laureati (25% di non lettori).
Nonostante ciò, l’editoria italiana regge rimanendo una realtà economica interessante anche per il mercato estero. Come infatti riporta il rapporto dell’Aei, a fronte di un mercato interno ristretto, “gli editori italiani puntano sulla valorizzazione di un «copy in Italy» di eccellenze editoriali, che in alcuni settori (ragazzi, illustrati, lifestyle, alcuni segmenti della narrativa,ecc) esprime al meglio la varietà e l’articolazione dell’offerta di qualità dell’editoria italiana”.

 

di Matteo Cultrera

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