Rohingya, massacro silenzioso

MSF: 6700 UCCISI IN UN MESE, MOLTI BAMBINI

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Sono 6700 i Rohingya uccisi in un solo mese, tra il 25 agosto e il 24 settembre.
Tra questi più di 700 bambini al di sotto dei 5 anni.
Lo denuncia Medici senza Frontiere, a pochi giorni di distanza dalla visita del Papa in Bangladesh.

Ma procediamo per punti :
I Rohingya sono una minoranza mussulmana che conta circa 1 milione di persone in un Paese, la Birmania, in cui il 90% della popolazione è di fede buddhista.
Il popolo dei Rohingya vive soprattutto nello stato di Rakhine, nel nordovest del Myanmar (viene anche così chiamata la Repubblica di Birmania, situata nell’Asia sudorientale).
Da sempre considerati immigrati illegali del Bangladesh e quindi perseguitati.
Confinati in ghetti la loro libertà di movimento è fortemente limitata, negata la cittadinanza i Rohingya sono sottoposti a ogni forma di oppressione : sequestri arbitrari delle terre, distruzione delle abitazioni.
Usati come schiavi per la costruzione di strade e campi militari.
Il rapporto di Amnesty International del 2004 ci dice che nel 1978 oltre 200.000 Rohingya fuggono verso il Bangladesh a causa di una campagna militare che ha come scopo quello di “controllare ogni individuo vivente nello stato, distinguere i cittadini e gli stranieri in conformità con la legge e intraprendere azioni contro gli stranieri che si sono infiltrati nel paese illegalmente”.
Tali azioni si traducono in omicidi diffusi, stupri e distruzione di moschee.
Dal ’91 al ’92 altri 250.000 Rohingya scappano ancora in Bangladesh a causa dei continui soprusi.
La diaspora di questo popolo senza patria dura tutt’ora e si rivela spesso mortale.

Mohammed Shohayet

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Mohammed ha 16 mesi quando muore con la madre e il fratellino nel tentativo di attraversare il fiume Naf per fuggire in Bangladesh dalla Birmania.
La barca su cui viaggia affonda lo scorso dicembre, mentre i soldati sparano sui fuggitivi. Dovrebbe far paura la naturalezza con cui nasce spontaneo il paragone con il piccolo Aylan.
Entrambi figli di un mondo che vomita i suoi oppressi nel fango, dando la tanto comoda quanto ricercata possibilità all’Occidente di riscoprirsi umano e di indignarsi.
Un intero Occidente che tra poche settimane celebrerà la nascita di un Cristo che per venire al mondo è dovuto fuggire anch’egli da persecuzioni.
Un Occidente che dimentica in fretta e continua a ingurgitare voracemente il suo McBacon preso dagli affanni e dalle riflessioni su quanto possa essere stressante la corsa ai regali e la vita in città.

Oggi, sul palcoscenico del mondo noi occidentali siamo i soli protagonisti e i soli spettatori, e così, attraverso le nostre televisioni e i nostri giornali, non ascoltiamo che le nostre ragioni, non proviamo che il nostro dolore” ammoniva Terzani e d’altronde come dargli torto.
Il Papa ha pianto e ha chiesto perdono ai Rohingya a nome di tutti coloro che li perseguitano, ma sopratutto per l’indifferenza del mondo.
Indifferenza ancor più imperdonabile quella del Nobel Aung San Suu Kyi.
Prima paladina dei diritti umani e quindi perseguitata e osteggiata con ogni mezzo.
Nel 1991 si aggiudica il Nobel per la Pace, per le sue battaglie a favore della libertà e contro la repressione militare, che può ritirare solo nel 2012.
Nel 2015 vince le elezioni ed oggi come presidente della Birmania tace sul genocidio, sul quale cala un soffocante velo di negazionismo.

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image 3 Mohammad Ponir Hossain/Reuters Bangladesh on Nov. 12, 2017.

Dopo la violenta repressione condotta tra agosto e settembre di quest’anno altri 650.000 Rohingya sono fuggiti dal Myanmar verso il Bangladesh, dove oggi vivono in campi profughi ormai stracolmi e in scarse condizioni igieniche.

I Rohingya sono la minoranza più perseguitata al mondo.
Non hanno alcun diritto, nemmeno quello di essere chiamati con il loro nome.
Il ministero dell’informazione ha infatti vietato di utilizzare il termine Rohingya, obbligando l’uso più generico di ʻpopolazioni di origine islamicaʼ.
“È la parola che procura l’essere alla cosa” asseriva il filosofo tedesco Heiddger.
Nulla esiste, insomma, finché non ha un nome.
Negando, quindi, l’uso del nome Rohingya si nega a questo popolo la propria identità, e la sua stessa esistenza.
E se per parlare dei Rohingya vengono usati dati e numeri non è perché la storia di uno dei tanti bambini che annegano nel fango dell’indifferenza possa così essere sintetizzata.
Ma perché in un Mondo che ogni giorno perde d’umanità solo i numeri possono, forse, darci il senso di quanto pesi il nostro silenzio.
Secondo alcuni storici il nome Rohingya deriva dalla parola araba ʻRahmaʼ che significa ʻmisericordiaʼ.
Con il termine misericordia, diversamente da quanto si possa pensare, si fa riferimento a un sentimento di compassione attiva verso l’infelicità altrui, che spinge ad agire per alleviarla, che muove a soccorrere.
Ma probabilmente anche questo è stato dimenticato.

di Simona Pellegrini

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1 Commento su Rohingya, massacro silenzioso

  1. Bellissimo articolo!

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