Calcio Italiano all’ anno 0? Ripartiamo dai giovani!

Ecco dove intervenire per salvare il nostro sport

Il calcio italiano è ai minimi storici. Il movimento calcistico del nostro paese sta vivendo una crisi di una portata paragonabile a quelle che hanno di recente investito la nostra politica e la nostra economia. Il fallimento della Nazionale Italiana di Calcio alle qualificazioni per il Campionato Mondiale di Russia 2018 è soltanto la punta di un iceberg, l’ultima diretta conseguenza di una crisi che ha ragioni ben più profonde di una scelta di formazione o di un commissario tecnico. Ragioni che in sostanza sono da ricercare al di là dei pessimi risultati della nostra Nazionale, proprio proprio per il fatto di esserne la causa!

calcio italiano giovani

Fonte immagine: ansa.it

La Serie A dei vari Del Piero, Baggio, Ronaldo, Totti, Zidane, Van Basten, Maldini, Baresi e così via non esiste più. Oggi la Serie A non è più l’ombelico del mondo del calcio come negli anni 90’ – 2000’. Ora il nostro campionato è letteralmente sovrastato per appeal dai campionati inglese, spagnolo e tedesco.

L’eliminazione dal mondiale subita dalla Svezia lo scorso 13 novembre brucia ancora. Eccome se brucia. Ma adesso è tempo di lasciarsi le lacrime alle spalle, e iniziare a reagire. Quando si vive un momento di crisi, per uscirne è necessario porsi domande scomode, guardare in faccia la realtà, e trovare il coraggio di darsi delle risposte. Una volta fatto questo bisognerà agire, senza perdere tempo, perché una rivoluzione nel nostro calcio ormai non è più rinviabile.

Ce ne sarebbero tanti di aspetti da migliorare nel calcio italiano per far sì che un giorno esso possa tornare ai fasti di un tempo. Ma c’è ne uno che, con ogni probabilità, merita particolare attenzione rispetto agli altri: i settori giovanili. Investire sul lungo periodo in modo tale da creare le basi per formare al meglio le nuove generazioni di calciatori del Bel Paese. Questo deve essere il primo passo da compiere per salvare il nostro sport.

Apriamo a questo punto una parentesi. Forse i calciofili meno incalliti non lo ricordano, o semplicemente non lo sanno, ma molti magari rammenteranno di quando l’Inter primavera, allenata da Andrea Stramaccioni, vinse la NextGen Series 2011-2012 (l’attuale UEFA Youth League). Si tratta in parole povere di una competizione calcistica europea per squadre giovanili Under-19, definita dagli addetti ai lavori una “Champions League dei giovani”.

In finale i nerazzurri sconfissero ai rigori l’Ajax dopo l’1-1 maturato nei 120 minuti tra tempi regolamentari e supplementari. Ecco, sapete quanti giocatori di quel magnifico gruppo riuscirono a passare in prima squadra? Zero. Neanche uno, al contrario dell’Ajax, che ne promosse ben 7, costituendo così le basi per i suoi futuri successi in terra nazionale.

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L’ Inter primavera di Stramaccioni festeggia la vittoria dell NextGen Series 2012. Fonte immagine: spaziointer.it

Da troppo tempo i club italiani hanno praticamente smesso di investire in modo considerevole nei settori giovanili. Secondo l’Osservatorio del Calcio, La Serie A è attualmente la competizione tra i 5 più importanti campionati europei dove in media i giovani sotto i 23 anni giocano meno. Nonostante alcuni miglioramenti notati nelle ultime 2/3 stagioni, negli ultimi anni in generale è quasi sempre stata preferita l’esperienza alla freschezza. Da questo punto di vista dunque si può affermare tranquillamente che l’Italia non è un paese per giovani.

Troppo spesso li si vede in panchina, troppo spesso non vengono valorizzati a dovere. Non a caso siamo tra i paesi europei in cui vengono inseriti meno giocatori dalle primavere alle prime squadre. Non sembra esserci nemmeno la pazienza per “aspettarle” queste nuove leve, una volta che arrivano in mezzo ai grandi.

Una soluzione può essere rappresentata dal cercare di rendere meno traumatico il passaggio dalla primavera alla prima squadra. Come? Prendendo esempio da Spagna e Germania. In questi paesi le cosiddette “squadre B”, di cui fanno parte i giocatori under-21 delle società militanti in prima divisione, partecipano al campionato di Serie B o C, invece di farne uno a parte, come succede in Italia. Il risultato è che in questo modo si formano calciatori più pronti e maturi per giocare in prima squadra quando vengono chiamati in causa. Qui in Italia invece un giovane emergente tra i 20 e i 23 anni è chiamato in un certo senso a bruciare le tappe, a colmare un gap, se vuole scongiurare l’eventualità di essere etichettato come “eterna promessa” e perdersi nel dimenticatoio.

Questa è in definitiva la sfida: escogitare un sistema che consenta di costruire i talenti in casa e agevolarne la crescita, invece di spendere soldi per cercare il fenomeno di turno altrove.

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il “Barcellona B” in allenamento

La Germania 15-20 anni fa avevano il campionato più soporifero d’Europa e un movimento calcistico in crisi. I tedeschi ne sono usciti avviando progetti a lunga scadenza, non solo riguardanti i settori giovanili, ma anche gli stadi e le strutture di allenamento. La lega calcio tedesca ha obbligato i club a creare delle “football academies”  per poter iscriversi alla Bundesliga.

Ci sono voluti anni, questo è vero, ma adesso i risultati sono sotto gli occhi di tutti: i vivai delle squadre sono praticamente delle accademie di primo livello, dove i ragazzi crescono sia sotto l’aspetto professionale che su quello umano; gli stadi sono strutture moderne, efficaci, e non rimangono mai semivuoti; la nazionale tedesca è fortissima, giovane e sempre competitiva. In generale il movimento calcistico tedesco risulta molto più attraente e prosperoso del nostro.

Ed è a quel tipo di modello a cui dobbiamo ispirarci. Prendiamo esempio da chi in passato ha vissuto problemi simili ai nostri e ne è uscito con successo. Investire nei vivai non certamente il solo e unico obiettivo da perseguire per salvare il nostro calcio. Occorre migliorare la qualità degli impianti sportivi, modernizzare gli stadi ed eliminare piaghe come razzismo e corruzione. Ad ogni modo iniziare a formare al meglio le nuove generazioni è il primo aspetto su cui concentrarsi, perché non si può pensare di progredire senza coinvolgere i giovani, perché senza i giovani semplicemente non c’è futuro.

di Lorenzo Bonuomo

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