La normalità del “diverso”

Intervista a Max Ulivieri

Project Manager nel campo del Turismo Accessibile a persone con disabilità. Docente e formatore di corsi per tour operator, agenzie di viaggi e guide turistiche. Responsabile del progetto “LoveGiver”. Curatore del libro “LoveAbility. L’assistenza sessuale per le persone con disabilità.” Maximiliano Ulivieri, classe 1970, è la figura di riferimento quando si tratta il tema del sesso legato alla disabilità.

Perché in Italia non si parla di sesso e disabilità?

In realtà non è vero che in Italia non se ne parla. Se ne parla molto. Dal 2013 ho fatto 67 convegni in tutta Italia. Ho partecipato a diverse trasmissioni TV, sono stato in RAI tre volte. Su Mediaset, a Forum, sono stato invitato come esperto del settore. Sono andato anche a Le Iene. Anche a La7. E non ho mai chiamato io per primo, mi hanno sempre chiamato. Quindi c’è una buona copertura TV. “Non se ne parla ma se ne parla”. Più che altro non c’è molta informazione, non c’è molta conoscenza. Fino a qualche anno fa sì, non se ne parlava. Adesso se ne parla ma non si agisce.

Quando ha realizzato che la figura del “LoveGiver”, ovvero l’assistente sessuale, era un progetto fondamentale da portare avanti?
Innanzitutto il termine LoveGiver è stato coniato da noi, prima non c’era nulla che avesse questo significato.

Nella mia vita ho vissuto questa problematica fino ai 28/29 anni. Sono cresciuto a Piombino e la difficoltà era il fatto che la prima conoscenza con qualcuno avvenisse tramite contatto visivo.
Prima non c’era Internet e non c’erano le possibilità che offre la tecnologia. Internet dà la possibilità di conoscere una persona prima interiormente. Ad esempio le prime chat: in cui si scriveva, si parlava e basta. Non c’erano foto. Internet mi ha dato modo di fare più conoscenze, di dare maggiore sviluppo alla mia vita relazionale e anche un inizio alla mia vita sessuale, grazie ai molteplici incontri favoriti dalla rete.

Intorno agli anni 2000 ho creato un blog che ho mantenuto in attività per diversi anni e, dopo l’ennesimo racconto di una famiglia il cui figlio disabile non ha potuto vivere nulla di sessuale, mi sono chiesto cosa facessero gli altri paesi europei.

Quali caratteristiche dovrebbe avere questa figura?

L’empatia è sicuramente la più importante. Saper “camminare con le mie scarpe”.
Poi è importante che questa persona, uomo o donna, viva la sessualità in maniera serena. Non abbia timori, non abbia tabù. Intendo dire che non deve vivere la sessualità con disagio. Deve essere una persona che vuole iniziare un percorso di conoscenza.

Perché una persona dovrebbe candidarsi come “LoveGiver”?
Io vivo ogni aspetto della sessualità in modo sereno, sono vivo e felice nella mia vita. Se una persona non vive così, il suo stile di vita è opposto: chiuso, triste, non c’è espressione della vita sessuale. Non è giusto. Allora la domanda che le persone devono porsi è: mi può interessare aiutare queste persone e il modo in cui affrontano la propria sessualità? Sì. No.
La persona che si candida deve avere consapevolezza: è importante il livello fisico così come è importante il livello psicologico. Se una persona sente questo, allora sa che c’è un modo concreto per aiutare e si candida. Deve sentire che è una cosa giusta e quindi vuole lottare per questo.

E se la persona si innamora del proprio “LoveGiver”?
E se si innamora del panettiere? O della fisioterapista? Voglio dire, può succedere. L’importante è essere sempre chiari: io sono questo e non sarò mai quest’altro. Il percorso si può interrompere. Ci

sarà sicuramente una piccola delusione vissuta dall’innamorato, ma pazienza.
Anche nella disabilità intellettiva l’operatore, dopo aver affrontato corsi di formazione, può cogliere dei segnali e interrompere il percorso o cambiare opetatore.

Quali sono le maggiori difficoltà che incontra una famiglia di una persona disabile quando si parla di sesso e disabilità?
Dipende dalla disabilità, se fisica o intellettiva. In entrambe c’è sempre una sorta di iper protezione, c’è un po’ più di affetto perché si pensa che la persona disabile sia fragile.

Hanno sempre quella paura che nessuno li aiuti come fanno loro. Quella consapevolezza che “come lo aiuta la mamma non lo aiuterà nessuno”.

Cosa possono fare ad oggi, concretamente, questa famiglie per aiutare i loro familiari disabili ad avere una sana vita sessuale?
Sicuramente prendere atto che esiste questo fatto: ogni persona, disabile e non, ha degli impulsi sessuali ed è giusto che possa viverli nel modo più sereno possibile.

Per quanto riguarda il fare concreto, ci sono casi e casi. Per alcune famiglie è inconcepibile il “LoveGiver”. Ma per me è inconcepibile questo! La sessualità è una cosa normale ed è una cosa ovvia. Ci sono madri che arrivano a masturbare i loro stessi figli o che cercano prostitute. È aberrante.

Una persona deve godere del proprio corpo, scoprirne i piaceri, anche quello dell’autoerotismo. Quando non può farlo da solo è giusto che venga aiutata. Ci devono essere le possibilità.
La disabilità esiste, ma non deve essere un problema. Ci sono persone comuni che vedono la sessualità dei disabili come una cosa speciale e non se ne sentono all’altezza. Per cui diventa fondamentale l’educazione: l’assistente studia la parte psicologica per imparare ad approcciarsi, ma non c’è nulla di “difficile” o di “speciale”.

Ha incontrato delle resistenze da parte delle Istituzioni? E perché secondo Lei?

Resistenze sì, ma da una parte le scuso perché per discutere di un argomento c’è bisogno che le persone si facciano sentire in modo costante. Da parte delle grandi associazioni non c’è grossa presa di posizione che potrebbe cambiare le cose. Ed è questo il problema: fa si che le Istituzioni non capiscano l’enormità del problema.

Quindi accuso di più le associazioni: quelle grandi fanno orecchie da mercante perché sono legate al mondo politico tramite fondi. Questo argomento fa discutere e non si prendono il rischio.

Secondo Lei, perché il nostro paese è in ritardo su questo tema rispetto ad altri paesi europei quali Olanda, Germania, e Svizzera?
Questi tre Paesi sono avanti su tante cose, sessualità compresa. Nelle scuole, per esempio, se ne parla. Si mostrano video, si parla dei diversi generi. C’è anche la prostituzione legale, la sessualità è aperta.

Per quanto riguarda la Svizzera, c’è da specificare: nei cantoni confinanti con l’Italia c’è una maggiore difficoltà. In quelli confinanti con la Germania ci sono meno resistenze.
Quello che mi domando è: in Italia abbiamo la Chiesa ed è cosi oppure siamo così e quindi abbiamo la Chiesa?

Io penso che una persona che vive la propria sessualità in maniera libera e serena sia inattaccabile.

Quali sono i maggiori pregiudizi o tabù con cui si è scontrato? Come combatterli?

Per combattere i pregiudizi bisogna parlarne apertamente.
Le persone danno per scontato moltissime cose, ad esempio che l’unione debba essere tra due persone. Ma dov’è scritto? È dato per scontato.
Se si parla di Chiesa va bene, è scritto. Ma la Chiesa non è la legge suprema, non deve e non può decidere per tutti. Alcune decisioni sono strettamente personali che ogni persona potrebbe e vorrebbe vivere in modo diverso. Ad esempio come morire.

Sulla sessualità è uguale: dare per scontato cose che non lo sono. La figura del “LoveGiver” ci deve essere. Poi non sono mica tutti obbligati a ricorrervi. Ma deve esserci la possibilità.
Io penso che vietare non risolva nulla, il problema rimane. Parlarne e creare informazione è quindi un dovere.

 

di Fabiola Stevani

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