Sono straniero, non strano.
ESSERE FIGLI DI GENITORI STRANIERI IN ITALIA
“Una persona straniera anche se nata in Italia rimane pur sempre una persona straniera”, questo il parere di chi è contrario nel dare la cittadinanza ai figli di immigrati nati in Italia. Dopo la caduta della legge sullo ius soli in Senato, molti giovani stranieri hanno deciso di scrivere una lettera al presidente Mattarella spiegando l’importanza di ottenere la cittadinanza. Essere italiani per poter essere di fatto parte della società ed esercitare in essa i propri diritti e doveri in quanto cittadini. Il problema di molte persone che non riescono ad accettare la legge sullo ius soli è questo: non riuscire ad accettare che una persona con una cultura diversa dalla propria possa essere considerata italiana. Da sempre infatti in tutto il mondo l’accettazione del diverso è stato un processo problematico e complesso. Così oggi, le parole come extracomunitario, immigrato e straniero vengono utilizzate con toni dispregiativi per sottolineare la diversità dell’altro. Lasciati da parte i giochi di parole, essere straniero non significa essere strano. Eppure spesso chiamiamo qualcuno straniero proprio per indicarne la stranezza e l’estraneità rispetto al nostro mondo.
Ma cosa significa esattamente essere figli di stranieri in Italia?
Significa ricevere una doppia cultura, quella di un padre e una madre che vengono da altre terre, e quella dello stato in cui si nasce e/o cresce. Essere figli di genitori che migrano da paesi lontani, con altre culture e tradizioni e crescere su un territorio che te ne trasmette diverse può essere problematico. Certo non si può negare il fatto che avere più culture sia un arricchimento, ma siamo sicuri che non sia motivo anche di crisi identitarie? Definire la propria personalità è – soprattutto in età adolescenziale – una fase molto delicata, ma essenziale della vita di una persona. Vivere senza sapere o decidere chi siamo è praticamente impossibile, dunque essere immersi sempre in realtà contrastanti può essere problematico. Non poche volte si sente riflettere i giovani stranieri su chi essere o non essere. Questo accade perché spesso la difficoltà a posizionare sé stessi rispetto al mondo in cui si vive può portare a reali momenti di esasperazione.
Ci sono dei casi in cui una cultura ti offre una cosa e la seconda te ne offre un’altra, magari opposta. In queste circostanze specifiche decidere di mantenerle entrambe diventa quasi impossibile. Se i tuoi genitori ti dicono che per la loro cultura ‘non si beve’ e ti trovi in una società in cui brindare è un rito quotidiano, lì allora dovrai scegliere. E quasi mai una scelta non comporta nessuna conseguenza. In molti casi così i giovani si sentono abbandonati, in base alle loro scelte, una volta da una parte e una volta dall’altra. Incompresi da coloro che li circondano, spesso si sentono soli, trovando l’unica consolazione nella compagnia di chi, come loro, si trova a vivere uno stato interiore di multiculturalità. Quelle che vengono chiamate oggi: le seconde generazioni. Oltre al fatto di trovarsi sommersi da due mondi a volte i giovani si trovano anche a vivere situazioni di disagio e di solitudine, poiché nessuna delle due parti monoculturali li capirà pienamente.
Sei italiano o arabo, turco, francese..? Essere multiculturali è possibile, la cosa importante però è capire bene una cosa: diventando multiculturali non si potrà essere mai né al 100% italiani, né al 100% arabi, turchi, rumeni o francesi. Avere la pretesa che una persona scelga di far parte solo di una delle due culture che la circondano è segno di arroganza. Cosa fare quindi? Innanzitutto lasciare la libertà ad ogni persona di costruire la propria identità e i propri valori prendendo ciò che ritiene giusto da ogni cultura. E questo vuol dire non avere l’arroganza di pensare di essere solo noi nel giusto, ma soprattutto riconoscere i pari diritti di tutti di scegliere chi essere o non essere nella vita.
di Yara Al Zaitr
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