Sesso e disabilità: né leggi né educazione, le famiglie restano sole

E ALLA FINE L'UNICA RISORSA RESTA LA PROSTITUZIONE

sesso e disabilitàLa sessualità è una colonna portante della formazione dell’essere umano. Tocca le nostre emozioni, le nostre relazioni e il nostro piacere fisico. Una colonna che si costruisce e che scopriamo col tempo, con l’educazione e l’esperienza, fattori che una persona considerata disabile può vivere in maniera differente.
Ogni famiglia, infatti, soddisfa tutti i bisogni primari del bambino e rappresenta il primo contatto con il mondo adulto, è la prima fonte di educazione che un figlio riceve ma, spesso, qui la conoscenza del corpo e l’esperienza sessuale vengono messe in secondo piano o addirittura taciute. Per un disabile, che alla famiglia fa moltissimo affidamento, ciò che finisce in secondo piano rischia di restarci per sempre.

LE VOCI DI PARMA – Nella lotta per il riconoscimento dei diritti alla sessualità come bisogni primari della persona c’è anche Parma. L’associazione Marino Savini apre il tema alla città durante l’incontro dello scorso 29 gennaio all’Università di Parma attraverso le parole dei dottori Rocco Caccavari, Francesco Rovatti, Bruno Fontanesi e dei rappresentanti della cooperative sociali Avalon e TreMenti. Importante la partecipazione di Nicolò Cafagna, giornalista e blogger per il Fatto Quotidiano, ma anche disabile. Nel suo intervento sono riassunte tutte quelle difficoltà di cui non molti si prendono la responsabilità di discutere, con tutta la simpatia che caratterizza la sua persona.

 

 

Bruno Fontanesi, psichiatra e psicoterapeuta, concentra il suo intervento sulla difficile scelta degli psicofarmaci e su come questi influiscano anche sulla sfera emotiva, e di conseguenza sessuale ,dei pazienti che ne fanno uso. La depressione è il fenomeno più pericoloso. Terapie talmente invasive della sfera personale che devono tenere conto dei rapporti relazionali e per questo avere durata calcolata anche in base al ciclo sessuale. “Se vi è intenzione di avere rapporto durante il weekend, la cura sarà studiata per essere interrotta il venerdì e ricominciata il lunedì” spiega il dottor Fontanesi.

L’intenzione condivisa è quella di diffondere l’idea di un progetto educativo che “non cerchi soluzioni ma che trovi modi sensati per vivere al meglio i problemi connessi con la disabilità”, spiega Francesco Rovatti. Nel suo libro, ‘Sessualità e disabilità intellettiva’, Rovatti propone l’inserimento della sessualità all’interno percorso relazionale, basato quindi anche su tutti i rapporti che circondano il disabile, compresi genitori e operatori. I comportamenti che vengono definiti ‘anormali’, o meglio ancora ‘disfunzionali’, causati da necessità o bisogni che non vengono soddisfatti durante la crescita del ragazzo, non vanno repressi. Vanno studiati, approfonditi, per poter capire quali sono le cause. Un’educazione del disabile e di chi si relaziona con lui.

L’IMPORTANZA DELL’EDUCAZIONE – “Sarebbe un cambiamento di mentalità molto forte pensare ‘ok, allora i disabili non sono asessuati'” spiega in un’altra sede la dottoressa Silvia Mascolo, psicologa e psicoterapeuta. La famiglia fatica a macchiare l’idea angelica che il proprio figlio rappresenta, a maggior ragione con la presenza di una disabilità. Per questo motivo i famigliari non dovrebbero sostituirsi a figure professionali che accompagneranno il figlio durante la crescita in un percorso personalizzato: sono semplicemente diversi, provano emozioni e piacere in modo diverso e per questo certi argomenti sono e saranno sempre sensibili. All’interno poi della disabilità, esistono ulteriori differenze: non sarà uguale educare un ragazzo con una disabilità mentale e un ragazzo con una disabilità fisica; non sarà uguale educare un bambino affetto da sindrome di down e un bambino con distrofia muscolare.

Peccato che in Italia la figura dell’educatore sessuale faccia fatica a inserirsi in ambienti scolastici ordinari, figurarsi in un progetto per ragazzi disabili.

rapporto di coppiaSEX THERAPIST E PROSTITUZIONE –  Il problema principale non è tanto il riconoscimento del bisogno di una figura che sia in grado di occuparsi di tutta la sfera emozionale del ragazzo ma anche, per soddisfare i bisogni che sente, che sia in grado di aiutarlo nella parte pratica dell’atto. Un tabù che non permette di affrontare la questione.

Esiste all’estero la figura del Sex therapist, ovvero un professionista che si occupa dell’appagamento del piacere fisico. Qui in Italia no. Le polemiche sulla nascita del mestiere del LoveGiver però, sono tutt’altro che silenziose. Questa nuova figura che cerca di affermarsi a livello nazionale è uno specialista formato sia a livello teorico che psicocorporeo per aiutare le persone con disabilità a sperimentare l’erotismo. Il tempo passato con questo professionista aiuterebbe il disabile non solo a raggiungere il piacere ma anche a diventare protagonista responsabile delle sue relazioni e quindi ad essere più consapevole di sè e del proprio corpo.

La prima critica mossa dall’opinione pubblica alla figura del Sex therapist è quella di fornire una prestazione a pagamento e quindi di somigliare alla prostituzione. Paradossalmente, però, in mancanza di alternative la prostituzione è proprio la risposta, incompleta, che molte famiglie danno al bisogno sessuale del figlio. La mancanza di una via legale per arrivare a soddisfare le proprie necessità, necessità che tutti sentiamo, porta molti a spingersi sulla via illegale. Una strada né sicura né controllata.

IL TEST –  Una strada che si incontra – per strada – anche a Parma. Il nostro piccolo esperimento è fatto da un dialogo semplice e per questo surreale.
“Ciao. Dovrei chiederti una cosa: ho un amico disabile, e mi chiedevo se tu fossi disposta a…”
Faccio 40 in macchina, altrimenti a casa sua sono 80. L’unica cosa che posso dirti è che se mi porti a casa sua sono 80, altrimenti non so.”
Solo che a casa sua, magari in cui vive con la famiglia, non si può certo fare… Uno sguardo e la prostituta capisce:
“Tu vorresti portarlo a casa mia? O casa di un’altra ragazza? Ci vorrebbe l’ascensore, ci vorrebbe il modo, e non so se sia possibile. Io abito al secondo piano e non ho l’ascensore, la mia amica abita anche lei al secondo piano e non ha l’ascensore. Non è facile.”

Certo, non è facile. C’è da salire le scale, c’è da avere una casa dove si possa stare tranquilli o una macchina da utilizzare. Magari non sarà facile, ma dalle risposte si nota che non è la prima volta che le viene posta questa domanda. Perché in fondo non è un problema lontano come pensiamo, ma quotidiano.
Eppure uno Stato come il nostro, laico, occidentale, evoluto, moderno, non ammette che esista, o forse semplicemente non vuole vederlo. E allora sta a noi parlarne. 

 

di Giulia Moro

1 Commento su Sesso e disabilità: né leggi né educazione, le famiglie restano sole

  1. Ho conosciuto Nicolò recentemente. Senza le sue considerazioni non avevo mai pensato ad un problema del genere. Forse, molti, come me, non l’hanno mai valutato per inconsapevolezza. Credo sia un bene parlarne e trovare al più presto una soluzione. Si tratta di un bisogno fisiologico, come la fame, il sonno, la sete. Non possiamo chiudere gli occhi e fare finta che non esista solo a causa di un bigottismo che dovrebbe essere ormai superato. natyan

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*