Marco Paolini: “La tecnologia ha un peso come se fosse una seconda natura”

IN "LE AVVENTURE DI NUMERO PRIMO" L'ATTORE IMMAGINA UN FUTURO DOVE UOMO E INTELLIGENZA ARTIFICIALE CONVIVONO

Sul palco pochi oggetti, quasi nulla, e addosso, semplici abiti da tutti i giorni. Riempire la scena e il cuore degli spettatori del Teatro delle Briciole, venerdì 16 febbraio, è spettato alla voce potente di Marco Paolini e alla sua incredibile presenza scenica. Attore e drammaturgo veneto, considerato uno dei più grandi del teatro italiano contemporaneo, Paolini ha fatto tappa a Parma con il suo nuovo spettacolo, proprio nel giorno della nomina della città a capitale italiana della cultura per il 2020. “Mi sento un po’ un ambasciatore – scherza a questo proposito l’attore – Come minimo mi aspetto che qualcuno mi offra un bicchiere di vino!”

Le avventure di Numero Primo‘, scritto a quattro mani con Gianfranco Bettin, è una favola immaginifica, “una storia che racconta di un futuro probabile fatto di cose, di bestie e di umani mescolati come si fa con le carte prima di giocare”, come hanno dichiarato gli autori. Scelta innovativa questa, per Paolini, le cui opere sono state sempre ambientate nel passato. “Sono troppo vecchio per guardare indietro – rivela ai nostri microfoni – puzzerei di retorica“. Lo spettacolo, infatti, si apre con una dichiarazione di intenti: “Guardare avanti, immaginare, è un buon esercizio, a condizione di non porsi il problema di imbroccare la risposta”. Ma come si fa a guardare avanti? All’attore spetta l’arduo compito di rendere verosimile sulla scena ciò che è finzione. Anche se, visti gli avvenimenti degli ultimi dieci anni, inimmaginabili per gli uomini del passato, a qualunque ipotesi futura va dato almeno il beneficio del dubbio, secondo gli autori.

Paolini sceglie di raccontare la storia di un uomo, Ettore Achille, fotografo free lance di guerra, che si ritrova ad accettare la richiesta di Hechnè, la donna che ha conosciuto online. Lei sta per morire e gli chiede di prendersi cura di suo figlio, Nicola, detto Numero Primo. Il piccolo ha sei anni e proprio come le scoperte tecnologiche, ha padre certo e madre “chissà”. Della tecnologia, infatti, si conoscono i padri, gli inventori, ma la madre resta incerta e questo, secondo Paolini, è causa di parte dello spaesamento che caratterizza il rapporto tra uomini e tecnologia, definita come “tutto ciò che quando sono nato non c’era”. Qual è il rapporto di ciascuno di noi con l’evoluzione delle tecnologie? Quanto tempo della nostra vita esse occupano? Quanto ci interessa sapere di loro? Quali domande ci poniamo e quali invece no a proposito del ritmo di adeguamento che ci impongono per stare al loro passo? E ancora, quanto sottile è il confine tra intelligenza biologica e intelligenza artificiale? Se c’è una direzione c’è anche una destinazione di tutto questo movimento? E se a cambiare rapidamente non fossero solo le cose e gli scenari intorno a noi, ma noi stessi, un po’ per scelta e un po’ per necessità? E in tal caso verso quale direzione o destinazione? Queste alcune delle domande fondamentali dalle quali gli autori sono partiti per scrivere lo spettacolo, che mescola il monologo dell’attore alle voci del Coro Giovanile Città di Thiene e alle musiche originali di Stefano Nanni e Mario Brunello.

Tra Gardaland, dove Ettore e il bambino si conoscono, e Trieste, dove sta la casa di nonno Italo, il viaggio dei due protagonisti attraversa il Veneto, passando per Mestre e Porto Marghera, la fabbrica di neve artificiale. Non a caso, un’ambientazione cara all’autore bellunese che nei suoi spettacoli spesso inserisce personaggi e inflessioni dialettali propri di questa regione. “Per me il Veneto è la lingua come struttura fondante della presenza scenica – dichiara – Un punto d’appoggio, ma anche, forse, un limite. Ormai servirebbe uno psicanalista per liberarmi”, commenta. Ma questo è ciò che rende veri i suoi personaggi: anche se vivono in un mondo nel quale le auto si guidano ormai da sole e gli animali robot si confondono con quelli reali, le relazioni e le emozioni narrate sono proprie dell’animo umano. Nel giro di cinquemila giorni, lasso di tempo simbolico di riferimento, un’intelligenza artificiale potrebbe vincere il premio Nobel. E Amazon potrebbe arrivare a vendere animali stampati in 3D da ricevere a casa propria in 45 minuti. Ma come spiega Paolini “è nella natura delle cose che crescono, prendere la mano ai genitori. La tecnologia ci è figlia e non è più una bambina. Come tutti gli adolescenti, dà dei problemi”.

Trattenendosi con noi a margine dello spettacolo, Paolini auspica che “Il teatro, malgrado non sia il modo più popolare di entrare in contatto con la cultura, sia la molla che faccia scattare negli spettatori la necessità di creare un’intelligenza plurale, capace di far fronte alle scosse tettoniche che ogni tanto natura e tecnologia provocano nell’animo umano, di cui entrambe fanno parte”.

 

di Emma Bardiani
riprese e regia di Michela Benvegnù
audio in presa diretta e montaggio di Enrico Nanni
foto di Duna Viezzoli

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