Giustizia Vs Impunità: perchè è così semplice farla franca in Italia?

TRA LE PIEGHE DEL LEGISLATORE ITALIANO, MISURA ALTERNATIVE E 'SVUOTA CARCERI'

imageSempre più spesso si sente parlare di giustizia inefficienteelevati tassi di impunità e scarcerazioni facili. La frase ‘due giorni e sono fuori’ è diventata ormai la vulgata ufficiale, condivisa da buona parte dei cittadini e anche da alcune forze politiche, dietro la quale mascherare tutti i problemi legati all’amministrazione della giustizia, giudicata di fatto inefficace soprattutto nei casi di microcriminalità a fronte dei tanti fenomeni di furto o spaccio che portano a considerare il tema sicurezza un fallimento da parte del Governo di turno. Ma quanto c’è di vero in tutto ciò? È così semplice scontare la propria venticinquesima ora fuori dalle sbarre? Siamo un paese troppo giustizialista oppure troppo garantista?

Per evitare di finire nel tunnel della mala informazione, abbiamo deciso di rivolgerci ad alcuni specialisti del settore. Massimiliano Lanzi, avvocato e docente di diritto penale comparato dell’Università di Parma, ricorda che la normativa penale impone una serie di filtri prima dell’ingresso in carcere. Un esempio su tutti è la sospensione condizionale della pena, vale a dire che una persona incensurata condannata ad una pena detentiva inferiore ai due anni non sconterà neanche un giorno dietro le sbarre a condizione che per cinque anni si trattenga dal commettere ulteriori reati. Se si supera tale ‘prova’ il reato è estinto.

“La regola generale – prosegue l’avvocato – è che fuori dai casi di condizionale, per le pene entro i tre anni, è difficile finire in galera perché vi sono diverse misure alternative, la più importante è l’affidamento in prova ai servizi sociali.” Tale passaggio viene compiuto dal Tribunale di sorveglianza, un organo composto non solo da magistrati ma anche da psicologi e criminologi appunto perchè è indispensabile verificare se “l’affidamento può avere degli effetti rieducativi, in conformità con la nostra Costituzione, maggiori rispetto a quelli che avrebbe la pena scontata in carcere”. Ovvio che una persona con precedenti penali avrà maggiori difficoltà ad accedere a questo tipo di pena alternativa.
Inoltre, persone che devono scontare un residuo di pena inferiore a due anni possono richiedere al Tribunale di sorveglianza gli arresti domiciliari.
Tale istituto, grazie alle modifiche introdotte dalla legge ex Cirielli, è stato esteso a tutti coloro che, compiuti settant’anni d’età, sono stati condannati per qualsiasi reato (eccetto quelli di tipo associativo, sessuali e contro la personalità individuale). Numerose volte è successo che personaggi di primo piano, coinvolti in grandi scandali finanziari o corruttivi, abbiano beneficiato di questa ‘normetta’ per evitare di scorgere le fredde stanze della fortezza dello Spielberg.

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Vi è però anche un rovescio della medaglia. L’avvocato penalista Andrea Franco, invece, fa notare che nel caso in cui a richiedere i domiciliari sia un immigrato irregolare, sprovvisto di fissa dimora, la persona sarà costretta a trascorrere in carcere i residui due anni di pena. Vi è quindi, se non un divario, quantomeno una sproporzione dettata appunto dalle differenti condizioni dei vari imputati. “Le regole – ribadisce l’avvocato veneziano – sono uguali per tutti però, personalmente, non ho mai visto grosse sofferenze tra i condannati eccellenti”.

Un caso molto interessante riguarda i cosiddetti reati tributari, commessi spesso dalla categoria dei colletti bianchi. In questo caso la normativa italiana è meno stringente “poiché – spiega l’avvocato Lanzi – si preferisce riscuotere i tributi piuttosto che condannare i mancati contribuenti; tutto ciò implica che il condannato dovrà pagare non solo l’imposta evasa ma anche sanzioni pecuniarie in sede amministrativa che però sono molto salate.” Un approccio molto simile a quello adottato in altri paesi europei ma in controtendenza rispetto agli Stati Uniti dove il “principio di effettività della pena è più stringente soprattutto in campo tributario.”

Ma a far discutere, giudicato come un vero e proprio “indulto mascherato”, è stato soprattutto il cosiddetto decreto ‘svuotacarceri’, un provvedimento-toppa emanato in tutta fretta dal Governo Letta per andare incontro agli obblighi imposti dalla sentenza Torreggiani della Corte europea dei diritti dell’uomo sul sovraffollamento carcerario. Tale normativa ha concesso rilevanti benefici ai detenuti tra cui quello che prevede l’affidamento ai servizi sociali per persone condannate fino a quattro anni (se nell’anno precedente la richiesta hanno mantenuto un comportamento “tale da ritenere che il provvedimento stesso contribuisca alla loro rieducazione”), inoltre è salito a settantacinque giorni per ogni semestre lo ‘sconto di pena’ concesso ai detenuti in caso di regolare condotta (che non vuol dire comportarsi bene, bensì non comportarsi male).
Una scelta, quella compiuta dal legislatore, sulla quale il professor Lanzi fornisce una spiegazione: “Le pene detentive brevi si cerca di non farle scontare in carcere poiché, generalmente, per coloro che commettono reati di minore offensività, il tasso di recidiva aumenta di molto se c’è un passaggio in carcere.” Posizione sostenuta anche da molti sociologi nel ‘900 che hanno ripetuto che “il carcere è l’università del crimine”.

Non tutti però condividono questa linea, l’ispettore Festa della Squadra mobile di Parma ha segnalato che il decreto ‘svuotacarceri’ in combinato disposto con il reato autonomo, introdotto per sanzionare alcuni fatti di ‘lieve entità’ legati allo spaccio di stupefacenti, sta rendendo molto ardua la lotta al traffico di droga nelle strade poiché rispetto al passato la certezza della pena è stata minata.

L’Italia è quindi un paese troppo garantista o troppo giustizialista? La risposta più sicura è racchiusa nelle parole dello scrittore americano William Gaddis: “Giustizia? Otterrai giustizia nell’altro mondo. In questo accontentati della legge.”

di Mattia Fossati 

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