La malattia di cui non si parla (sul serio): così si cura la follia

CHIUSI I MANICOMI, COME SI COMBATTONO I DISTURBI PSICHIATRICI?

 

“Conosce il professor Basaglia? Vada a trovarlo”.

Era il 1970 e Mario Tommasini era già la personalità ardente che come tale è passata alla storia. Quando, per combattere le sue battaglie nel nome del manicomio di Colorno, gli fu suggerito di incontrare Franco Basaglia lui non ci pensò su due volte. Così si cambiano le sorti dell’umanità: su due piedi.

Fatta la conoscenza del compagno Tommasini, Basaglia divenne direttore del Manicomio di Colorno, dal 1970 al 1971, segnando a Parma un crocevia essenziale sia per la sua storia personale che per quella dell’Italia tutta. Giungendo a quella storica svolta che è stata la Legge Basaglia del 1978, con cui in Italia vennero definitivamente chiusi tutti i manicomi.

In fondo, l’intuizione che egli ebbe era figlia di un modo diverso di guardare alla psichiatria: non solo la ‘classica’ impostazione positivista, scientifica e strumentale. Al contrario, Tommasini pensava qualcosa che tenesse conto prima di tutto della psychè, lo spirito, l’anima, il vero oggetto delle cure. Ovviamente,  lo scienziato sapeva che non si poteva e non si doveva fare a meno dell’analisi oggettiva dei sintomi, ma secondo l’impostazione fenomenologica, il paziente non poteva essere studiato solo dall’esterno.

“Comprendere significa avvicinarsi all’esperienza vivente nei suoi stessi termini – affermava Basaglia – mobilitando non il semplice intelletto, ma tutte le capacità intuitive del nostro animo, per penetrarne l’intima essenza senza ridurla ad ipotesi casuali precostituite”.

Il Centro Salute Mentale di Parma è oggi un punto di riferimento importante nel panorama italiano per la sua storia e per la sua avanguardia nel campo delle cure psichiatriche.

Il polo rientra tra le tante competenze dell’AUSL di Parma e, in particolar modo, si occupa di assistenza a malattie mentali e dipendenze patologiche, tutelando la salute mentale e le forme di dipendenza delle fasce infantili agli adulti.

Stando ai numeri, sono ben 17.135 le persone che nel 2016 hanno ricevuto almeno una prestazione da parte dei servizi del Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale-Dipendenze Patologiche (DAI SM-DP) dell’AUSL di Parma, presenti su tutto il territorio provinciale.

Un numero importante, se visto dall’esterno, ma che non può non far scaturire una questione: cos’è concretamente la follia? E’ in qualche modo possibile darne una definizione o identificarne i sintomi?

Il professor Carlo Marchesi, medico psichiatra del centro e docente dell’Università di Parma: “Per rispondere ci vorrebbe un corso di psichiatria – afferma scherzosamente -. Le potrei dire di gravi alterazioni comportamentali, un paziente che non riesce ad essere autonomo, ma qui già si va a finire in una serie di ambiguità da cui non si esce. Fondamentalmente parliamo di un paziente con delle alterazioni comportamentali talmente gravi che non riesce ad avere una vita autonoma. Ma le manifestazioni sono tantissime, dalla schizofrenia ai disturbi deliranti, quelli dell’umore estremamente gravi e tanti altri. ”

E quando ci si accorge che una persona vicina assume comportamenti molto oltre la soglia della normalità bisognerebbe portarlo da uno psichiatra e farla curare. Molto banalmente, ma è così. Ci sono dei manuali di mille pagine per tentare di arrivare a una diagnosi – afferma Marchesi -, dei criteri di classificazione che partono dai sintomi e dai segni. Non esiste nessun esame strumentale che ci permette di fare una diagnosi, l’attendibilità sta nel riuscire ad applicare quello che sappiamo e vedere se il paziente soddisfa i criteri di cui siamo a conoscenza“.

Poi vengono le cure:”Farmacologiche e non farmacologiche, a seconda del tipo di disturbo: in alcuni sono indispensabili le cure farmacologiche, in altri possono essere meno rilevanti e può essere più efficace la terapia psicologica”. Si va così dai farmaci più disparati, dagli antidepressivi ad ampio spettro a quelli per i disturbi alimentari, fino agli inibitori delle reazioni: “E’ da tener presente però che nel caso di disturbi veramente gravi, senza terapia farmacologica i miglioramenti sono davvero difficili da ottenere. Parliamo di miglioramenti sintomatologici, fondamentalmente. Che il paziente riesca a fare una vita migliore di quella che farebbe senza nessun trattamento”.

Oggi poi, a 40 anni dalla chiusura dei manicomi “è cambiata completamente l’impostazione. Intanto questi sono malati, e come malati vanno trattati. E se io lo tratto, se riesco a impostare una terapia, non è necessario che loro rimangano per lungo tempo ricoverati. Tenga presente che da noi in ospedale, nei nostri due reparti, la degenza media è di massimo due settimane. Poi ritornano alla loro vita, ovviamente curati e seguiti costantemente dai servizi territoriali.”

Può essere una scelta pericolosa? “Ci sono alcuni pazienti che possono commettere dei reati – sottolinea Marchesi, tentando di isolare alcuni casi specifici – ma questo è un numero assolutamente minimo, marginale. La pedofilia, ad esempio, è un disturbo ma molto lontano dai disturbi gravi che siamo abituati a trattare. La pedofilia è una parte di quei disturbi, ma non rientra nelle categorie di disturbi mentali gravi. Anche perché poi i pedofili vanno a finire in galera. Possono anche essere curati, ma quello non può essere visto come un disturbo psichico grave”.

Sulla questione dei disturbi psichiatrici è intervenuta anche la dott.ssa Amalia Prunotto, psicologa e psichiatra: “La pericolosità dei malati mentali è un aspetto di pregiudizio. Noi abbiamo paura della malattia mentale perché temiamo che questa persona non abbia segni inibitori, che sia fuori controllo, ma siamo noi a collegare la malattia mentale a quelle situazioni. Fortunatamente non è molto alta l’incidenza di atto criminale perché si è un malato mentale. Più probabile invece imbattersi in persone ‘ritirate dal mondo’ perché non riescono ad adattarsi alla vita quotidiana, e questo finisce per coinvolgere anche la famiglia, che guarda con timore il malato mentale a causa dei suoi numerosi comportamenti inadeguati.”

A volte è proprio nella famiglia che, secondo ma dottoressa Prunotto, si possono trovare alcune cause dei disagi mentali, con la patologia psichiatrica che può verificarsi sia per questioni genetiche che ambientali. Non fanno eccezione le brutte esperienze: “Se fin dall’inizio c’è una base di vulnerabilità, rispetto ad un disagio psicologico, sicuramente le esperienze traumatiche possono rappresentare una situazione di sofferenza. Non c’è però una correlazione diretta, però è indubbio che giochi un ruolo determinante anche nell’autostima della vittima, perché si mostra incapace di fronteggiare le situazioni più dolorose e complesse. Vale sia per bambini che per adulti.”

Oggi è quindi centrale lo sforzo di dare un senso e una dignità a ciò che 40 anni fa, sbrigativamente, veniva dissolto nell’etichetta di matto. E’ necessario pensare a persone che hanno una precisa storia, anche se sofferenti, ragionando non solo per categorie astratte come quelle dei manuali diagnostici ma capendo che il disagio mentale grave non riguarda solo l’individuo ma tutte le sue relazioni.

di Pasquale Ancona e Mattia Celio

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