Dialogo col vero protagonista di… Tre manifesti a Ebbing, Missouri

INTERVISTE IMPOSSIBILI: CONFESSIONI DI UNA RECENSIONE

Ci siamo da poco lasciati alle spalle l‘8 marzo e la cerimonia degli Oscar 2018, dunque quale modo migliore per unire le due celebrazioni se non con ‘Tre Manifesti a Ebbing, Missouri’? Il film, infatti, ha visto non solo Sam Rockwell portarsi a casa il premio come miglior attore non protagonista ma anche Frances Mcdormand guadagnarsi con una prestazione indimenticabile la statuetta come miglior attrice dedicata, non a caso, a tutte le firme rosa che contribuiscono a rendere grande il cinema nel mondo. E noi di ParmAteneo abbiamo deciso, per omaggiarla, di intervistare il vero protagonista del film… Anzi, i protagonisti.

Salve, volete presentarvi?

Primo Manifesto: In effetti è insolito per noi doverci presentare… Di solito, è il nostro lavoro presentare qualcosa agli altri.
Secondo Manifesto: Giusto. Ci perdoni l’imbarazzo, ma è una situazione insolita…
Terzo Manifesto: Ma che vi lamentate a fare!Finalmente possiamo parlare di noi stessi e non del messaggio che portiamo impresso sopra!

Permettete che lo faccia io, allora. Abbiamo con noi i tre manifesti che vengono affissi nel film alle porte di Ebbing dalla protagonista, Mildred Hayes. Buonasera.

1°M: Grazie a lei, è un piacere e un onore.
2°M: Le siamo molti grati per averci dato spazio con quest’intervista.
3°M: Era ora! Tutti a parlare di Frances Mcdormand… Ma se non fosse stato per noi avrebbe avuto ben pochi Oscar da vincere!

Visto che ha tirato in ballo l’argomento, partiamo proprio da qui: secondo voi, che l’avete avuta come collega, meritava di vincere?

1°M: Senza dubbio. Frances è una grandissima attrice che lavora da anni ad altissimi livelli a teatro, in televisione e al cinema. Non a caso questa era la quarta nomination e la sua seconda statuetta, dopo quella già vinta per Fargo. Forse sarebbe meglio chiedersi per quale motivo ne ha vinti solamente due.
2°M: Sono completamente d’accordo. Non esistono molte professioniste che possono vantarsi di un simile curriculum e di una così grande esperienza di ruoli e di situazioni diverse. E si vede. Mi ricordo quando girava le scene insieme a noi: si muoveva con una tale energia, una potenza inarrestabile che la faceva sembrare una forza della natura. I suoi gesti, le sue espressioni, il suo modo di indossare la parte. Dava un’enorme carica a tutti, sul set. Soprattutto a noi, che non avevamo un ruolo facile: stare fermi così a lungo è molto faticoso.
3°M: Sì, tutti ad elogiarla… Secondo me ha vinto solo perché è la moglie di uno dei fratelli Coen, anche se non mi ricordo mai quale…
2°M: Non essere malizioso, Terzo! Sai bene che se lo è meritato, non mettere in giro voci del genere su un giornale importante come questo!
3°M: Lo so, lo so, scherzavo… non fate quelle facce. A proposito, si può sapere perché devo essere io il Terzo Manifesto? Chi lo ha deciso?
1°M: Martin McDonagh. É lui che ha indicato come dovevamo essere posizionati rispetto alla strada per Ebbing.
3°M: Ah, sì? E lui chi è per decidere?
1°M: Il regista e lo sceneggiatore della pellicola in cui abbiamo lavorato e dovresti portare rispetto!

Scusate, ma sono costretto ad interrompervi. Lo spazio è limitato e abbiamo molte cose di cui parlare. Visto che parliamo di lui, com’è stato essere diretti da Martin McDonagh?

1°M: Un’esperienza sensazionale. Di lui finora si sapeva poco, perché è rimasto a lungo molto vicino agli ambienti della drammaturgia britannica, offrendosi al cinema solo in poche occasioni. Ma in realtà è un autore di grande talento e l’inattesa vittoria agli Oscar del 2008 con Six Shooter, per il miglior cortometraggio, lo aveva già fatto capire. Era solo questione di tempo prima che tornasse a far parlare di sé.
2°M: Esatto. Ha passato degli anni a crescere, ad evolversi, lavorando comunque su progetti apprezzati come In Bruges e 7 Psicopatici e Tre manifesti può essere sicuramente definito come la sua opera più matura, autoriale. Non solo per la padronanza, ormai totale, col mezzo cinema, ma anche per la sua estetica. Martin ha sviluppato e affinato ulteriormente la sua scrittura graffiante, le cui suggestioni per il noir e per la commedia nera lo rendono abbastanza unico nel panorama cinematografico.
3°M: Ma se ha copiato tutto dai fratelli Coen! Ha persino ingaggiato la moglie di uno di loro.

Secondo voi, qual è la chiave del film? Si sono sprecate lodi e paragoni a pellicole molto blasonate, tra cui anche diversi lavori, non a caso, dei Coen, però i pareri a riguardo sono molto discordanti tra di loro, seppur unanimi nell’elogiarne la bellezza.

1°M: Non è facile rispondere. Come abbiamo detto prima, è una storia che ha dentro di sé tante cose e non è semplice indicarne una preponderante rispetto alle altre. Molti l’hanno visto come un film politico, che parla di quell’America “flyover country” che ha votato Trump. Ma credo che sia sbagliato inquadrarlo così perché questo non era l’obiettivo di McDonagh e si vede dalla totale assenza di retorica nella sceneggiatura. Inoltre, quando il film era in fase di pre produzione, il presidente non era ancora stato eletto. Può sfiorarlo alla lontana, magari, ma non credo che sia quello il senso.
2°M: Lo penso anch’io. Di per sé, Tre manifesti a Ebbing tocca molti temi, come la vita di una comunità di periferia dove tutti si conoscono, la difficoltà nel superare il dolore, o altri cruciali come il razzismo e l’omofobia, ma lo fa quasi per caso, raccontando una storia. Non c’è nessuna intenzione predeterminata, ci si arriva sempre per vie laterali. Questo è perché il film parla di così tante cose, che riesce a metterne dentro ancora di più e lo fa con naturalezza, senza pensarci. Proprio nella sua totalità trova lo spazio per mostrarci il particolare delle situazioni. Forse, a pensarci, l’obiettivo è quello di rappresentare una comunità, lontana e distante, che mostra la propria pazzia, quasi ai limiti del grottesco, in seguito ad un gesto che cerca di risollevarla dal punto di vista morale: ovvero l’affissione di noi, dei manifesti. É questo ha delle conseguenze imprevedibili, apparentemente folli, che scuotono l’intera Ebbing da un normale torpore – che poi ha ben poco di normale – e mette ciascuno di fronte alla realtà dei fatti.
3°M: E non dimentichiamoci l’aspetto migliore del film: Sam Rockwell nel ruolo del poliziotto scemo che picchia tutti senza motivo. Un mito!

A proposito di Sam Rockwell, la sua interpretazione gli ha permesso di vincere l’Oscar come miglior attore non protagonista. Credete che sia meritato?

1°M: Nella parte del poliziotto Dixon è bravissimo. All’inizio è veramente un personaggio odioso, brutto, ignorante, rozzo e anche razzista e omofobo. Poi però ha una svolta importante che ne dimostra la grande umanità nonostante i suoi limiti, un’umanità che proprio noi manifesti abbiamo fatto venire fuori. Una figura che non si dimentica.
2°M: Giustissimo. Senza trascurare poi il suo rapporto con lo sceriffo Willoughby, interpretato da Woody Harrelson. I due si rispettano profondamente e lo sceriffo ha permesso a Dixon di riscattarsi da una vita squallida, perché in lui è riuscito a vedere delle qualità francamente impensabili. Non a caso, Dixon lo guarda sempre con ammirazione ed è disposto a tutto pur di essere fiero di lui.
3°M: E non dimentichiamoci la scena in cui spacca la faccia a quel tipo e minaccia di spaccare la testa all’altro tipo. Bellissimo!

Ultima: un giudizio su questa cerimonia degli Oscar 2018?

1°M: Di sicuro è stato un anno importante, dal punto di vista cinematografico. Ci sono state molte perfomance di rilievo, come quella di Gary Oldman, la stessa Mcdormand, Rockwell e Allison Janney. Grandi lavori di grandi registi, come Del Toro, definitivamente consacrato con La Forma dell’Acqua, ma altri in rapida ascesa come Greta Geerwig e Luca Guadagnino, che finalmente fa parlare di sè, oltre al ritorno dei blasonatissimi Paul Thomas Anderson e Christopher Nolan. Senza dimenticare autentici kolossal come Dunkirk e Blade Runner 2049.
2°M: Ho la stessa opinione. Anche se con qualche riserva. È vero che dal punto di vista della qualità i film presentati non hanno affatto sfigurato, ma c’è stata, a mio avviso, una strana scollatura per quanto riguarda i temi trattati. Queste pellicole hanno un filo conduttore abbastanza evidente: quasi tutti trattano argomenti come gli umili, le periferie, storie dove i protagonisti sono donne forti, omosessuali e le minoranze che spesso si trovavano a lottare contro un sistema a loro avverso. Fa dunque sorridere pensare che questo cerimonia si è tenuta negli Stati Uniti di Trump, notoriamente contrario a tutto questo. Sembra quasi che il cinema sia scollegato dalla stessa realtà dove vive o che navighi volutamente controcorrente.
3°M: Non ho altro da aggiungere, questi due mi hanno rubato le parole di bocca.

 

Di Elia Munao’

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