Un mare di plastica

NEI NOSTRI OCEANI PIÚ BOTTIGLIETTE CHE PESCI

Almeno 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono in mare ogni anno; la maggior parte non è visibile ad occhio nudo, perché è sotto forma di microplastica, ma è comunque molto pericolosa: ingerita dalle creature marine arriva fino alle nostre tavole. Se non ci sarà un cambio di rotta, è probabile che entro il 2050, gli oceani potrebbero contenere più bottigliette che pesci. Secondo un dossier presentato a Davos, in Svizzera, durante il forum economico mondiale, ad oggi, nei nostri mari sarebbero presenti circa 150 milioni di tonnellate di materie plastiche. Tra le acque più inquinate ci sono quelle del Mediterraneo; il problema infatti non riguarda solo la spazzatura di grandi dimensioni, ma anche i rifiuti che non riusciamo a vedere; la concentrazione di microplastiche nelle nostre acque è addirittura maggiore di quella dell’Oceano Pacifico, Indiano e Atlantico, dove si sono formate vere e proprie ‘isole di plastica’. Queste isole non sono altro che enormi accumuli di spazzatura: i rifiuti si raggruppano in queste zone attratti dai vortici di corrente, alcune avrebbero raggiunto la dimensione di 10 milioni di chilometri quadrati. Se la spazzatura danneggia la flora e la fauna marina, ci saranno sicuramente ripercussioni anche sulla salute umana.

Le microplastiche

Secondo alcune ricerche pubblicate sulla rivista Science, più della metà della plastica che finisce nei mari proviene dal sud est asiatico; non parliamo soltanto di bottiglie o buste, la maggior parte della plastica che avvelena gli oceani si trova sotto forma di microplastica: minuscoli frammenti che provengono dai cosmetici o da prodotti legati all’igiene personale, ma che possono essere anche il risultato del deterioramento di rifiuti più grossi che, trovandosi nei mari da diverso tempo, iniziano a scomporsi. Gli scienziati ne hanno trovato traccia negli angoli più sperduti del pianeta, anche quelli più impensabili, come Artide e Antartide; queste particelle sono penetrate nelle rocce, nei ghiacciai, nei fondali marini, lasciando tracce anche nello stomaco di vari animali marini. Il Krill (piccoli crostacei), che ingerisce microplastiche, per poi trasformarle in nano plastiche, rappresenta una minaccia ambientale senza precedenti. Il Krill, attraverso la catena alimentare, costituisce l’alimento base di moltissime creature marine.

Esiste un rischio reale per l’uomo?

L’ingestione di materie plastiche non riguarda solamente gli animali marini, ma anche tutte le creature che vivono sul nostro pianeta. Risalendo la catena alimentare la plastica arriva nei nostri piatti, ogni volta che mangiamo pesci, molluschi o crostacei ingeriamo piccole quantità di plastica. Non si hanno ancora notizie certe su come e quanto la plastica sia nociva per il nostro organismo, ma probabilmente le sostanze chimiche presenti rappresentano un rischio concreto per la nostra salute.  Dalle prime ricerche sembra che alcune di queste sostanze possano interferire con il sistema endocrino e con lo sviluppo del feto, altre con il sistema immunitario, altre ancora sembrano essere collegate allo sviluppo di alcuni tipi di tumore

Mare Nostrum

 Ad oggi il Mediterraneo è letteralmente un ‘mare di plastica’. Ogni giorno finiscono nelle sue acque circa 700 tonnellate di rifiuti plastici. Il problema più grosso, come già accennato precedentemente, sono le microplastiche, frammenti inferiori ai 5 millimetri. In alcuni punti la concentrazione di queste minuscole particelle risulta essere la più alta al mondo; questo perché il Mediterraneo è un mare chiuso, una particella potrebbe avere un tempo di permanenze pari a mille anni; un altro problema è che sfociano nelle sue acque fiumi molto inquinati come il Po e il Danubio. Nelle acque del Mediterraneo sono stati ritrovati inquinanti di tutti i tipi, come ad esempio polietilene, polipropilene, vernici e anche biopolimeri, che teoricamente dovrebbero essere biodegradabili

Siamo ancora in tempo per rimediare? 

Per cercare di porre rimedio ad un problema così grave bisogna agire in fretta, individuando fin da subito soluzioni drastiche: da una parte bisognerebbe ridurre sensibilmente la produzione ed il consumo di materie plastiche, dall’altra bisognerebbe intervenire sui meccanismi di smaltimento e riciclo. In un certo senso ci si sta già muovendo in queste direzioni, ma ancora non basta. Ad Amsterdam è stato inaugurato il primo supermercato dotato di un corridoio ‘plastic-free’; il negozio offre circa 700 prodotti di largo consumo, come ad esempio carne, riso, frutta, verdura, latticini, tutti impacchettati, ma non negli involucri di plastica tradizionale. Tutto ciò che somiglia alla plastica è di origine vegetale, quindi biodegradabile. Il resto è in contenitori di più facile smaltimento, come vetro e cartone. L’idea che sta alla base di questo innovativo progetto fa capo all’organizzazione britannica “A Plastic Planet”, che già un anno fa aveva lanciato la campagna di sensibilizzazione ‘Plastic-Free Aisle’ (corridoio senza plastica), per enfatizzare il fatto che più del 40% del packaging in plastica è una peculiarità del settore alimentare. La filosofia sulla quale si fonda questa associazione è molto semplice, secondo il suo fondatore Sian Sutherland “Non c’è assolutamente nessuna logica nell’incartare in qualcosa di indistruttibile come la plastica qualcosa di effimero come il cibo. Gli involucri di cibo e bevande sono utili per qualche giorno, eppure lasciano una presenza sulla Terra per secoli”. Ma per raggiungere risultati concreti e duraturi non bastano azioni isolate, sono necessari interventi congiunti di istituzioni, cittadini e aziende, senza mai perdere di vista l’obiettivo, salvare noi stessi e il nostro pianeta. Un cambio di cultura dei rifiuti è necessario, capendo che la plastica, così come qualsiasi altro rifiuto, non deve mai essere abbandonata per strada o nei corsi d’acqua; ognuno di noi, da adesso, dovrebbe impegnarsi di più nella raccolta differenziata e in azioni volte a limitare gli sprechi quotidiani.

di Amedeo Sicuro

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