Bindi: “Le mafie in Emilia hanno fatto un salto di qualità”

PRESENTATO A PARMA IL NUOVO CODICE ANTIMAFIA: NUOVI STRUMENTI E MISURE PER COMBATTERE LE INFILTRAZIONI

Il nuovo codice antimafia è realtà. Dopo quattro anni di lavoro, il Parlamento – grazie alla spinta propulsiva della Commissione parlamentare antimafia – ha approvato la nuova normativa per il contrasto alla criminalità organizzata. “Un regalo al paese“: così lo ha definito la presidente della commissione Rosy Bindi, presente a Parma in occasione del convegno svoltosi a Palazzo del Governatore il 16 marzo ‘La Riforma del Codice Antimafia e la gestione dei beni confiscati per un futuro di legalità e giustizia’, organizzato dall’Ateneo insieme all’Associazione Il Borgo, Aiga – Associazione Giovani Avvocati (sezioni di Parma e Reggio Emilia e Coordinamento Emilia Romagna) e Unione Giovani Dottori Commercialisti. “Vivere queste giornate è parte integrante del nostro essere una comunità”, ha sottolineando il rettore Paolo Andrei aprendo i lavori.

Il dato è chiaro: la mafia, in questi ultimi anni, è cambiata. La normativa, invece, no. “Ed è questa la ragione – spiega Giorgio Pagliari, docente all’UniPr, ex senatore in quota Pd e relatore della legge al Senato – dell’estensione del codice antimafia anche ai fenomeni corruttivi.” L’infiltrazione della mafia nella pubblica amministrazione e la corruzione sistemica presente nel nostro Paese hanno spinto il Parlamento ad adottare misure più stringenti per il contrasto di questi fenomeni. “Serve un’alleanza virtuosa contro i poteri occulti” – ha ribadito il sindaco Federico Pizzarotti in apertura della giornata sottolineando i tanti segnali che testimoniano la presenza della mafia nel territorio. Insomma: gli oltre 2oo Comuni italiani sciolti per infiltrazioni mafiose e il riciclaggio di denaro nelle aziende del Nord sono stati il campanello d’allarme per l’adozione di misure straordinarie, tra cui quelle in tema di sequestro. Ora sarà possibile sottrarre i beni che risultano sproporzionati al reddito dichiarato o all’attività economica svolta da una persona se sussistono sufficienti indizi che essi siano il frutto di un’attività illecita.

LA LEGISLAZIONE – L’Italia, è vero, è il Paese di Riina e Provenzano; ma è anche la patria di persone del calibro di Falcone, Borsellino e tanti altri. Figure che in pochi hanno il vanto di avere; così come la nostra legislazione antimafia è un ‘unicum’ al mondo a causa del travagliato passato del Paese. La riforma della legge antimafia si inserisce, infatti, in un contesto legislativo che negli anni si è andato ad ampliare con l’introduzione nell’ordinamento della legge Foia, sulla trasparenza, di quella sui contratti pubblici e della legge Madia. La legge 161/2017, seppur definita da Bindi un “regalo all’Italia”, non è certo perfetta ma si impegna a provare ad “estirpare alla radice” la mafia nel nostro Paese tramite non solo la lotta al fenomeno, ma all’illegalità in generale. Ed è questo, secondo il presidente del circolo Il Borgo Giuseppe Luciani, uno dei tasti da toccare: “si deve parlare di cultura della legalità poiché è la base della nostra democrazia”.

Una delle modifiche più significative in termini sociali è l’uso degli strumenti utilizzati contro le organizzazioni – quali controllo, sequestri, confische –  anche negli altri ambiti della vita sociale.
Forse per il rischio del pervenire di una grande responsabilità, molti politici però si sono tirati indietro al momento del ‘sì’ alla legge, approvata in Senato con soli 169 voti favorevoli, 5 contrari provenienti dai partiti di centrodestra e tutti gli altri, tra cui il Movimento 5 stelle, astenuti o usciti dall’aula. Questo è il vero problema dello Stato: uno scarso senso di legalità è diffuso e si fa complice della mafia che “è diversa dal terrorismo perchè non va contro lo Stato, anzi. Capisce e fa gli interessi del proprio interlocutore“, afferma ancora la parlamentare Bindi. A volte lo si fa perchè si è vittime, altre volte per una vera e propria collusione volontaria, altre ancora per negligenza: ma tutte queste azioni, grandi o piccole che siano, vanno ad agevolare non solo il fenomeno ma anche il consenso. Spesso, infatti, si ha l’impressione che quella sia la via più facile, perchè in un sistema come il nostro ormai impregnato in diversi settori dalla mafia, si arriva a credere che questa dia lavoro, aiuti le persone mentre, dall’altra parte, lo Stato esattore esasperi la crisi e la disoccupazione, ad esempio, con la chiusura delle aziende interdette. E’ questo il vero problema della società: “La riforma è sì imperfetta ma gli articoli si possono modificare. Però non si è pronti a fare il salto verso la lotta all’illegalità diffusa“, dichiara Rosy Bindi.

SUD VS NORD – Oggi il fenomeno mafioso non può essere relegato, anche nell’immaginario collettivo, solo al sud. Al nord forse non si è abituati alle manifestazioni eclatanti quali sparatorie, fatti di sangue ed esplosioni che ha vissuto il Mezzogiorno ma “la mafia è più pericolosa e strisciante che al sud perchè va ad infiltrarsi nelle imprese“, sottolinea il viceprefetto di Parma Vincenzo Pasqua. Ribadisce il concetto anche la presidente Bindi che sottolinea come “in Emilia le mafie hanno fatto un salto di qualità; si è saltata la politica per trattare direttamente con la classe imprenditoriale ed economica del territorio”.

Tuttavia la riforma della legge antimafia si è mossa anche da questo punto di vista disciplinando l’istituto del controllo giurisdizionale delle aziende: strumento con il quale il Tribunale può richiedere documenti e svolgere azioni investigative nei confronti delle imprese nelle quali si può desumere il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose. Una volta accertati questi dati, se l’azienda può essere salvata si procede a una bonifica della stessa per essere poi rimessa sul mercato, altrimenti si dà il via al sequestro o alla confisca.
Questi ultimi sono temi fondamentali della legge 161/2017 che vogliono far sì che la lotta e la riconversione diventino poi uno strumento di occupazione. La professoressa Pellegrini, docente dell’Università di Bologna, cita il caso di un ristorante di Milano sequestrato alla mafia che ora dà lavoro ai diversamente abili come esempio di come “sanare un’azienda mafiosa è sanare l’economia, la concorrenza, il territorio“. Proprio per questo la legge si impegna ad agire sul territorio non solo tramite il sequestro o la confisca, ma anche attraverso la conservazione e la custodia del bene contro i rischi di vandalismo ed usura nel tempo e l’informazione agli enti delle possibilità di finanziamenti per la riconversione da parte dello Stato. Tutto ciò è stato affermato con il Protocollo di intesa sulla gestione dei beni sequestrati alla mafia, già attivo formalmente, dopo la sua firma a Bologna, in tutta l’Emilia Romagna e che sta per essere approvato in tutti i Tribunali provinciali della regione per una sua più concreta attuazione. “Nonostante una normativa completa e aggiornata infatti, non si riesce a prevenire ed evitare determinati fenomeni. Bisogna quindi cercare di far rete, di avere una maggiore sinergia e collaborazione tra tutti gli enti locali e regionali, per accelerare i processi di ridestinazione dei beni confiscati alle mafie affinchè questi tornino alla collettività”, afferma Paola Ranieri, presidente della commissione consiliare Cultura del Comune di Parma.
Sotto questo punto di vista, Parma è molto attiva sia nell’attuazione dell’amministrazione trasparente che di queste collaborazioni: infatti è stato da poco deliberato dal Consiglio comunale il Piano triennale di prevenzione alla corruzione e alla trasparenza, un bene confiscato alla mafia è stato trasferito a titolo gratuito al patrimonio dell’ente ed è inoltre presente nel progetto di Parma2020 il rilancio del centro studi sulla legalità.

In conclusione dell’incontro Rosy Bindi ha affermato che la politica è l’antidoto contro la mafia. Lo è sicuramente quando non tratta con essa, quando non le chiede voti e quando non bacia le mani di Andreotti, Cuffaro e Dell’Utri. Ma c’è un altro passo da compiere perchè, come ricorda la presidente della commissione antimafia, “è un guaio delegare a qualcuno la lotta alla mafia, perché è indispensabile un senso di responsabilità collettivo anche della cittadinanza.”

 

di Laura Storchi e Mattia Fossati

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