Dal ‘bambino farfalla’ alla sfida contro il rigetto: le rivoluzioni delle staminali
ALL'UNISTEMDAY 2018 IL PUNTO SUI TRAGUARDI DELLA RICERCA E NON SOLO
La storia di Hassan è la storia di 4 centimetri di pelle che hanno ridato la vita ad un ragazzino grazie alle cellule staminali.
Hassan ha 9 anni, è un rifugiato siriano che a causa delle bombe ha visto scorticarsi l’80% della sua pelle, e che nel 2017 ha subito il primo intervento di ricostruzione dell’epidermide su una superficie così ampia grazie ad un pugno di ‘cellule intelligenti’.
Al “bambino farfalla”, come è stato poi soprannominato, erano rimasti a malapena 4 centimetri della sua cute ‘originale’. Poi però, grazie all’intervento di un’equipe medica tedesca esperta di interventi con cellule staminali, nelle sale del Centro di Medicina Rigenerativa ‘Stefano Ferrari’ dell’Università di Modena, Hassan è potuto tornare alla sua vita normale. Oggi il suo passatempo preferito è prendere a calci un pallone: è questa una delle tante ‘magie’ di cui sono capaci le cellule staminali.
La storia del bambino farfalla è stata una delle tante raccontate lo scorso venerdì 16 marzo in occasione della decima edizione dell’UniStem Day, la giornata internazionale dedicata alle cellule staminali voluta dalla scienziata e senatrice a vita Elena Cattaneo. In 10 paesi d’Europa, ben 74 atenei sono stati coinvolti nell’appuntamento di divulgazione dell’enorme potere di questa ormai consolidata scoperta scientifica. A Parma, nell’Auditorium del plesso polifunzionale del Campus, centinaia di ragazzi provenienti dalle scuole superiori di Parma, Piacenza e Mantova hanno assistito alla mattinata di divulgazione per l’orientamento in uscita dalle scuole superiori.
Coordinata da Franco Bernini e Federico Quaini, docenti del Dipartimento di Scienze degli Alimenti e del Farmaco e di quello di Medicina Clinica e Chirurgia, la giornata si è sviluppata tra contributi e presentazioni tenute da professori ed esperti nel settore delle staminali e delle nuove frontiere della medicina contemporanea.
IL TEST PRESINTOMATICO – È stato il professor Antonio Percesepe a dare inizio alla conferenza, con un intervento volto a introdurre l’importanza del test presintomatico. Si tratta di un esame non troppo complicato che oggi permetterebbe la diagnosi di gravi problemi che potrebbero verificarsi in alcune circostanze (ad esempio prima del parto, o sulla base dell’analisi di problemi genetici), il tutto mediante la lettura di alcune sequenze di Dna.
Una pratica impensabile fino a non molto tempo fa. Se fino a ieri ci si accorgeva della sindrome di Down solo una volta dato alla vita un neonato, grazie a questo test, si può venirne a conoscenza ben prima. Il test presintomatico, inoltre, potrebbe prevedere il presentarsi di malattie lungo la propria esistenza, in modo da orientare il proprio stile di vita e da agire con delle cure preventive sul paziente.
DALLE MOLECOLE ALLA CURA DELLA LEUCEMIA – Giovanni Roti, esperto di ematologia e ricercatore nel Centro Trapianti di Midollo dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Parma, ha poi raccontato il percorso compiuto dall’800 nel campo delle ricerche ematologiche sulla leucemia, focalizzandosi sulle storie degli uomini che ne hanno radicalmente cambiato il volto.
Si è passati da un tempo in cui non si sapeva da cosa fosse composto il sangue, ad uno in cui anche i presidenti degli Stati Uniti si sono impegnati direttamente nella cosiddetta ‘War on Cancer’, come lo stesso Roosvelt l’ha soprannominata nell’ormai lontano 1937. Al tempo, i bambini malati di leucemia si lasciavano morire, non esistevano alcune cure e nulla poteva essere asportato. Grazie ad alcuni appassionati, uomini ancor prima che medici, come Sidney Farber, la medicina non si è arresa di fronte alla morte, arrivando adesso a poter garantire speranza per chi si trova di fronte il bianco muro della leucemia. “Oggi – afferma Roti – la leucemia mieloide cronica si può curare, e non solo col trapianto di midollo”.
COME FUNZIONANO LE CELLULE STAMINALI? – A spiegare per grandi linee il funzionamento e il comportamento delle staminali sono stati Lucia Prezioso e Franco Aversa. Supportata da un video, la dottoressa Prezioso, medico ematologo del Centro trapianti del midollo osseo, ha illustrato come funziona la raccolta delle cellule, sia nel caso di trapianti autologi che eterologi. Attraverso quello che potrebbe apparire un semplice prelievo di sangue in quantità molto elevate, le cellule vengono filtrate da una macchina, consentendo poi al sangue di tornare nelle vene del paziente (nel preciso caso di un trapianto autologo).
Una volta raccolte le cellule, in un quantitativo che si calcola in milioni, la chemioterapia agisce sui tumori, distruggendoli nella loro interezza, preparando il paziente alla rinfusione delle stesse per la ricostruzione del midollo spinale. A proposito del trapianto, l’ematologa ha ricordato la rete internazionale di donatori che fa capo alla Ibmdr (Registro Italiano Donatori di Midollo Osseo), che si occupa proprio di ricercare i donatori estranei le cui percentuali di reperimento si aggirano attorno al 50 – 60%, tentando di aggirare il problema della difficile reperibilità.
“OFFRIRE UN DONATORE A TUTTI” – Dal primo trapianto di staminali, datato 1968, la medicina è molto progredita. Oggi siamo di fronte ad una nuova era nella quale, data la difficoltà di reperire donatori di midollo, si può rendere compatibile anche un donatore che non lo è del tutto. Franco Aversa, direttore del centro, ha approfondito proprio le modalità grazie alle quali, oggi, si è potuta superare la barriera della istocompatibilità.
Pioniere della materia, Aversa ha infatti spiegato che è possibile rendere “utilizzabile” un donatore che non lo è al 100%, superando i problemi del rigetto del midollo del ricevente da un lato e, dall’altro, la difesa dei Linfociti T (del donatore) delegati alla difesa da agenti esterni: quella che viene definita ‘malattia del trapianto contro ricevente’. È su questa linea sottile che si agisce, ampliando notevolmente il numero di donatori possibili ed aumentando, quindi, le possibilità di guarigione.
Superare la barriera della istocompatibilità è stata la sfida degli anni ’80.
“La nostra storia parte da lontano – afferma Aversa – da quando cercavamo di capire perché le cellule di un donatore e di un ricevente non vanno d’accordo quando non sono compatibili. Dovevamo agire non sui farmaci, ma capire come rendere tollerabili questi due sistemi. Allora abbiamo capito che la cellula staminale si difende da sola dall’aggressione del rigetto dei linfociti del ricevente. E così è nato il concetto di cellula che impedisce al nemico di riconoscerla e di ucciderla. Bisognava quindi andare a prendere queste cellule, che sono in un numero percentuale piuttosto esiguo, e farle aumentare numericamente per avere più probabilità di puntare ad un trapianto, senza far aumentare il numero dei linfociti T”.
Così a metà degli anni ’90 si è riusciti, per la prima volta al mondo, a ribaltare il concetto dell’istocompatibilità, raggiungendo il 100% di attecchimento. “Una vittoria di una sfida importante. È stata una rivoluzione. Per la prima volta si riusciva a partire da un concetto, cioè il paziente che aveva bisogno di un trapianto, e nonostante della disponibilità del momento, riuscire in ogni caso ad arrivare al trapianto”.
LE STAMINALI DEL CORDONE OMBELICALE – Un enorme potenziale poco sfruttato è, inoltre, quello offerto dalle cellule staminali presenti nel cordone ombelicale. A parlarne è stata Rita Lombardini, referente per le donazioni di sangue cordonale autologo ed eterologo dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Parma. Nel suo intervento ha sottolineato l’importanza di raccogliere il sangue presente nel cordone in quanto percentualmente ricco di cellule staminali e quindi potenzialmente utilissimo per i trapianti. Il problema, però, come afferma Lombardini, è relativo alla libertà e di conseguenza alle violazioni che potrebbero scattare nella pratica stessa. Difatti il processo burocratico risulta essere molto complicato, perché tentando di tutelare le libertà delle donne, si limita molto il numero di cordoni a cui avere accesso. A questa problematica etica, però, si aggiunge anche una relativa alla informazione nel merito: solo conoscendo la reale importanza di questa necessità si potrebbe pesare la solidarietà che il gesto richiede.
Inoltre, non meno incisive sono le limitazioni dovute alle singolarità di natura sociale, legate alla razza oltre che all’ignoranza strumentale di alcune donne che, pur volendo contribuire, non possono rispondere a tutti i quesiti che la pratica burocratica impone loro per donare. “Una donna di origini nigeriane – racconta Lombardini -aveva superato tutte le stringenti limitazioni, ma nel compilare la propria scheda non sapeva dire il motivo per cui i suoi genitori erano morti. In Nigeria si muore senza sapere perché”.
Il prelievo delle staminali da un singolo cordone ombelicale non è abbastanza per un adulto, ma nel caso di un bambino, il loro utilizzo potrebbe essere davvero salvifico, sia che si tratti di una eventualità legata al proprio figlio che a un sincero gesto di solidarietà. D’impatto, a questo proposito, è stato sicuramente un video esplicativo proiettato per il pubblico: una ripresa ad effetto del processo di prelievo, in quei 120 secondi immediatamente successivi al parto che possono davvero fare la differenza.
LE STAMINALI DEL CANCRO – Molto esplicativo è stato il successivo intervento tenuto da Annarosa Laeri, dell’Istituto Superiore di Sanità. Partendo dalla definizione stessa di tumore, Laeri ha descritto cosa si intende quando si parla di tumore, dalle differenti famiglie ai vari trattamenti da attuare. L’approccio migliore, quello più funzionale, com’è noto è quello multidisciplinare, nel quale si coadiuva la terapia chirurgica di asportazione delle masse alla chemioterapia per infusione. Il problema però si presenta nel momento in cui ci si imbatte nelle staminali del cancro: in quel momento non basterà più aggredire solamente la malattia o solamente le staminali, ma si renderà necessario agire con terapie che vadano a colpire entrambe le formazioni. Anche in questo caso, alla forza della spiegazione dell’esperta, si è aggiunto un video esplicativo nel quale le parole hanno preso corpo e sostanza per mezzo delle immagini.
ALIMENTAZIONE FA RIMA CON PREVENZIONE – L’ultimo intervento della mattinata è stato affidato a Daniela Martini, ricercatrice per il Dipartimento di Scienze degli Alimenti e del Farmaco dell’UniPr. Nel suo approfondimento Martini ha tenuto a sottolineare quanto e come non tutto quello che apparentemente può sembrare informazione corretta, nella realtà dei fatti non lo sia. Nell’epoca delle fake news, in questo campo è prima di tutto alle pubblicazioni di natura scientifica che bisogna far riferimento, soprattutto nel merito di una scienza difficile seppure molto discussa come l’alimentazione. “Chiunque di noi cerca informazioni online sulla salute ma non tutto quello che troviamo è vero”. Tante testate che possono essere autorevoli in molti campi, finiscono per non esserlo nel merito dell’alimentazione, e per questo la disinformazione è particolarmente diffusa. Inoltre, la ricercatrice ha illustrato il concetto di alimentazione come cura e limitazione delle malattie, per mezzo della “dietoterapia”, cioè sfruttando l’azione benefica che molti alimenti hanno in campo puramente medico e scientifico. L’alimentazione che si fa prevenzione e cura.
La giornata si è poi conclusa, nel pomeriggio, con la visita ai laboratori di ricerca dell’Azienda Ospedaliero/Universitaria di Parma da parte degli studenti che si sono accostati in prima persona al lavoro quotidiano di scienziati e ricercatori. Pane di cui si ha un assoluto bisogno, in un’Italia in cui spazio e investimenti adeguati alla ricerca, in un futuro nemmeno tanto lontano, potrebbero fare davvero la differenza.
di Pasquale Ancona
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