Dialogo col vero protagonista di… Chiamami col tuo nome

INTERVISTE IMPOSSIBILI: CONFESSIONI DI UNA RECENSIONE

Il 2018, iniziato da poco più di tre mesi, dal punto di vista filmico è già stato un anno pieno di sorprese, come confermato dalla cerimonia degli Oscar. Tra tutti i film premiati, c’è n’è uno che si sarebbe meritato la statuetta – purtroppo inesistente – di pellicola rivelazione: ‘Chiamami col tuo nome’, di Luca Guadagnino, vincitore dell’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale. E noi di ParmAteneo siamo riusciti ad intervistare il suo vero protagonista… Anzi, LA sua vera protagonista.

Salve, si vuole presentare?
É una sensazione strana, non sono abituata. Di solito, faccio parte del mondo delle cose silenziose, nascoste, invisibili, che non si presentano e che rimangono, volutamente, ai margini dell’attenzione. Ma, data l’occasione, credo che sia doveroso farlo. Salve, io sono l’Intimità, quella particolare forma di vicinanza che permette alle persone di entrare in contatto tra loro.

Può parlarci brevemente del suo ruolo?
La mia presenza consente agli esseri umani di condividere non solo sentimenti, pensieri e ricordi, ma anche di avvicinarli affinché si possa creare un legame tra la parte profonda di entrambi, quella nascosta e che identifica davvero gli individui; l’essenza che si cela dietro tutti quegli strati di pelle e organi degli uomini e delle donne.

Com’è stata contattata per una parte in ‘Chiamami col tuo nome’?
In realtà, è stata una cosa abbastanza naturale. Un film del genere non poteva certo fare a meno di me. Si tratta, del resto, della storia d’amore tra due giovani omosessuali che si ritrovano sullo sfondo di una magnifica estate italiana del 1983, a Crema. Uno, Elio, ha diciassette anni ed è un ragazzo timido, introverso, sensibile, amante delle letture e con uno spiccato talento per la musica. L’altro, Oliver, ha ventiquattro anni, è intelligente, spigliato e intraprendente. Era ovvio che, tra loro, dovessi esserci io, per raccontare al meglio il sentimento che li lega.

Visto che li ha citati, parliamo un po’ di Timothée Chalamet e Armie Hammer, rispettivamente Elio e Oliver. La loro interpretazione ha incantato gli spettatori ed è stato un plebiscito in particolare per Chalamet, che ha portato a casa diverse candidature per i premi più prestigiosi, tra cui una agli Oscar. Come giudica il loro lavoro?
Hanno fatto qualcosa di straordinario e penso che anche loro se ne siano accorti, oltre al pubblico. Hammer parlava di questa come una delle esperienze più creative e soddisfacenti che abbia mai fatto e non è difficile credergli, dopo averlo visto sullo schermo. Ma, alla fine, non è una sorpresa perché aveva già avuto parti difficili come questa in J.Edgar e Final Portrait. Impossibile, invece, pensare che Timothée potesse realizzare una prestazione capace di calamitare l’attenzione di mezzo mondo.

Era anche difficile immaginare che Luca Guadagnino passasse dal semi anonimato al ristretto circolo di grande regista italiano contemporaneo, dove molti lo hanno proiettato, insieme a Garrone, Virzì, Sorrentino…
Guardi, non ne ho idea, perché non seguo molto il cinema, anche se mi capita di collaborare spesso per lavoro. Devo dire che, tra tutti quelli con cui ho lavorato, Guadagnino mi ha fatto una grande impressione. Si vede che è una persona sensibile, curiosa e piena di cultura, tutte qualità che ha confermato ogni giorno sul set e scegliendo, tra l’altro, gran parte delle location. Cosa che lo ha avvantaggiato molto visto che lui vive a Crema, nei cui dintorni è stato ambientato il film. Di sicuro, quello che ha realizzato con Chiamami col tuo nome non è passato inosservato e ha fatto capire a tutti che Guadagnino ha delle capacità fuori dal comune. E credo che non dovremo aspettare tanto per ammirarle di nuovo.

Ha citato Crema: in effetti, nel film si percepisce – forse come non accadeva da un po’ – una fenomenale “estate italiana” fatta di sole, fiumi, campagne soleggiate e notti passate a ballare. Crede che questa ambientazione così ricercata possa essere stato uno dei punti di forza?
Senza dubbio. Guadagnino sembra agire a metà tra due tendenze contrapposte: mostrare una certa fedeltà storica, tangibile in ogni inquadratura, e la voglia di trasformare il contesto in mero sfondo alla storia dei due protagonisti. Il risultato è che finisce per creare una sorta di non luogo che pare sospeso nel tempo e nello spazio, quasi fosse un periodo indefinibile, sognante e magico, esattamente come l’amore che provano l’uno per l’altro come Elio e Oliver.

A proposito… Lei ha visto da vicino il rapporto amoroso tra i protagonisti e ha collaborato alla resa finale. Può essere questo il più grande pregio del film?
Io credo di sì perché siamo riusciti, dopo intense sessioni di prove e agendo per tentativi, a raccontare il sentimento con la più grande normalità possibile, senza eccedere e senza retorica. Alla fine, va parecchio controcorrente rispetto alle altre storie sulle relazioni omosessuali proprio perché decide, fin da subito, di lasciar perdere certi luoghi comuni, alcuni poi di pessimo gusto. C’è così una narrazione sussurrata, lenta, silenziosa, che nasconde una sensibilità prima inedita e che ha qualcosa di fortemente universale. Non a caso, Chiamami col tuo nome non è un film sull’amore gay ma è un film sull’amore in generale.

Forse è anche per questo che lo script di James Ivory è stato premiato come miglior sceneggiatura non originale agli Oscar 2018…
Può essere. Sicuramente, si tratta di un grande adattamento, al limite della perfezione, del romanzo di Andrè Aciman. Ci vuole mestiere per trasformare un libro in un soggetto per il cinema e Ivory è in questo un maestro, uno dei migliori nel suo campo fin dagli anni 60′. Del resto, basta vederlo per rendersi conto che Chiamami col tuo nome ha nei dialoghi, nella sua struttura narrativa e delle sue suggestioni letterarie uno dei propri vanti.

Si parla di un possibile seguito e Guadagnino ha detto di aver già cominciato a parlare con Aciman per battere tutte le strade possibili. Lei che ne pensa?
Dipende. Luca ha confidato che, mentre finiva di girare, aveva la sensazione che i personaggi volessero ancora raccontare qualcosa, che non avessero finito di mostrarsi agli occhi della cinepresa. Credo che quando un autore ha quanto sentore sia doveroso continuare, ma il rischio di cadere in una trappola è comunque dietro l’angolo. In ogni caso, spero di essere contatta anche per il sequel!

 

Di Elia Munao’

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